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Ri)letture/ L´intimo segreto degli oggetti

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

1
MAR
2013

 

“Proust e gli oggetti” è una raccolta di saggi che fa interagire critica letteraria, filosofia, psicologia, storia dell’arte, aprendo uno spiraglio magico attraverso il quale entrare nell’officina proustiana dando la parola agli oggetti. Tra gli autori, anche un martinese
 
 
I lettori di Marcel Proust da sempre si dividono  in due schieramenti: gli innamorati dell'autore della Recherche e i detrattori che lo tacciano di lungaggini descrittive, citando la sua affezionata cameriera Céleste che sosteneva che la Recherche non è opera da leggersi alla stazione quando siamo tra un treno e l'altro, a meno che non intendiamo attraversare le steppe siberiane, e il fratello Robert che asseriva che per leggere quel romanzo si dovrebbe essere costretti a letto con un arto fratturato. Leggere Proust e gli oggetti, (Le Càriti Editore), a cura di Giuseppe Girimonti Greco, Sabrina Martina e Marco Piazza,  se amiamo lo scrittore francese, ce lo fa amare di più, se, al contrario, siamo tra i detrattori, ci incuriosisce, in quanto ci offre la possibilità di accostarci ai testi proustiani da un altro punto di vista, quello degli oggetti disseminati come intriganti indizi da decifrare lungo tutta la Recherche. Insomma, una lettura alternativa che nel tempo attuale offre interessanti argomenti di riflessione. Oggi, infatti, se tra le parole e gli oggetti c'è una sorta di slittamento, se le parole si son fatte "turiste" distratte e distraenti, forse è bene che a parlare siano proprio loro. Gli oggetti, del resto, parlano se li facciamo parlare, e sono più complessi delle idee, perché manifestandosi attraverso l’accadimento empirico, è come se dicessero: “ora sono così, ma potrei essere altro da come ti appaio in questo momento: dentro di me c’è tutto il resto del mondo. Se ti presento soltanto un aspetto di me è solo per semplificare il tuo dizionario.”
I bei libri, romanzi o saggi che siano, hanno questo di straordinario: accendono, illuminano, aprono varchi e prospettive che era inaudito  pensare prima di averli letti. 
È accaduto proprio questo con Proust e gli oggetti, una raccolta, divisa in due parti (Gli oggetti nello spazio e nel tempo e Gli oggetti dell’espressione e della rappresentazione) che comprende  23 saggi, alcuni dei quali in lingua francese, in quanto il volume è uscito contemporaneamente in Francia, dove circola nel mondo accademico e non solo. 
L’articolazione tematica degli accuratissimi interventi propone la rilettura della Recherche attraverso un vero e proprio dizionario degli oggetti, nel quale una ventina di autorevoli studiosi di Proust, italiani e stranieri, mettendo a fuoco il confine tra l’io e gli oggetti, “incrociano e fanno interagire tra loro – come si legge nel risvolto di copertina – la critica letteraria, la filosofia, la psicologia e la storia dell’arte… un mosaico di accessi inediti all’officina proustiana, dal momento che ciascuno degli oggetti presi in esame si configura come uno spiraglio magico, che consente di penetrare i segreti della costruzione del romanzo, in quanto nasconde in sé un significato che va ben al di là del suo apparente statuto di cosa tra le altre cose”. 
Il tratto più significativo della raccolta ci è sembrato proprio  questo occuparsi degli oggetti non isolatamente, ma facendoli interagire in un sistema di snodi tematici che vanno dal movimento (il treno, l’automobile, gli ascensori, le scale, la bicicletta) alla comunicazione (il telefono), dalla visione (la frutta, la lampada, il corpo in rapporto ai sensi) alla memoria (la Madeleine). L’apparente estraneità tra loro, per esempio le scale e la lampada, creando una sorta di tensione interpretativa, conduce allo svelamento di nuove interpretazioni non solo dell’opera proustiana, ma di tutta la letteratura, favorendo un approccio, decisamente più stimolante e suggestivo, ai testi letterari.
In genere a Proust si associa il tema della memoria. Nel volume Proust e gli oggetti c’è un saggio di Marco Piazza (La camera oscura della memoria. L’archivio proustiano) che, prendendo in considerazione un oggetto, l’immagine fotografica, da Proust  messa in discussione, in quanto riproduzione piatta, frammentaria della realtà, arriva alla macchina fotografica, oggetto valorizzato e visto come metafora del rapporto tra visione, memoria e conoscenza. “La memoria – spiega Piazza – è al tempo stesso macchina fotografica, magazzino o archivio di negativi e pure camera oscura interiore dove quei negativi vengono sviluppati… Il passato per Proust viene registrato nella memoria sotto forma di istantanee. Prese in sé, le istantanee sono contrassegnate da una caratteristica assai negativa: immobilizzano il movimento degli oggetti che ritraggono, sottraendoli al flusso del tempo e impedendoci di conseguenza di ritrovare il passato assegnandogli un significato… Tuttavia i negativi messi da parte nel cervello costituiscono una risorsa insostituibile per la nostra ricerca e assumono una piena funzione conoscitiva quando riguardando le immagini scattate automaticamente, involontariamente, ci permettono quella conoscenza  che al momento dello scatto era pura registrazione.” Insomma se la memoria è un apparecchio di registrazione del passato, i ricordi sono come fotografie, pura registrazione, che custodiamo dentro di noi senza rendercene conto, ma che un giorno  potranno rivelarsi utili. (Si legga il riquadro). 
La tematica degli oggetti, in rapporto al loro significato metaforico, è un argomento caro a scrittori, poeti, intellettuali. Possiamo citare Borges, i Futuristi e i Surrealisti, Calvino e Montale, senza trascurare l’apporto dei cantautori: uno fra tutti Giorgio Gaber con la sua visione degli oggetti che silenziosamente vanno al potere, e, attuando un piano sovversivo, diabolico, dopo anni di schiavitù, appostati dietro le vetrine, ci scelgono in base al reddito. Del 2010 è Italia mia di Vincenzo Cerami, ospite a Martina Franca due anni fa con Spiagge d’autore, un testo teatrale che è uno straordinario viaggio all’interno delle cose, per guardare, senza moralismi, il nostro Paese, mescolando ironia e indignazione, proprio a partire dagli oggetti nei quali si condensano le nostre memorie, senza però temere di diventarne prigionieri, anzi, cercando di farli parlare, come se fossero compagni di strada.
Il valore simbolico ed emotivo degli oggetti, divenuti feticci, è anche al centro della recente analisi condotta da Massimo Fusillo nel suo saggio Feticci. Letteratura, cinema, arti visive (Il Mulino), nel quale l’autore, esplora, con un taglio interdisciplinare, la storia e la tipologia dell’oggetto feticcio, mescolando la descrizione con la saggistica e la citazione.
Anche il premio Nobel Orhan Pamuk ha condotto un originalissimo esperimento letterario che ha dato vita non solo ad un romanzo, Il Museo dell’innocenza (2008), ma anche ad un vero e proprio museo ad Istanbul, con annesso catalogo, pubblicato lo scorso anno, che restituisce la magia di un luogo incantato, e chiarisce il senso dell’operazione di Pamuk: raccogliere oggetti per inventare una storia e contemporaneamente costruire un museo, giocando in questo modo con la coppia realtà e immaginazione.
Del resto, come spiega molto chiaramente nella Presentazione, Giuseppe Girimonti Greco, “l’idea di dedicare una raccolta di saggi alla funzione che gli oggetti assumono all’interno di un’opera come la Recherche è senza dubbio sorta nell’alveo del crescente interesse da parte della critica, dei teorici e degli storici della letteratura, che ha contagiato anche la riflessione filosofica in rapporto agli oggetti-cose sia nel loro trasformarsi in merci sia nel loro resistere alla serialità dell’inautentico in quanto oggetti estetici.”
 



Commenti:

Ubaldo 8/MAR/2013

Sono estasiato da questa lettura. I tre mi danno garanzia di qualità, soprattutto Giuseppe Girimonti Greco che è quello cge conosco meglio. Mi avete convinto a comprare questo libro. Ubaldo degli Ubaldi

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