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IRAN/E il mondo si fa nuovo

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

9
NOV
2017

I grandi viaggi hanno questo di meraviglioso, che il loro incanto comincia prima della partenza stessa, si aprono gli atlanti, si sogna sulle carte, si ripetono i nomi magnifici di città sconosciute. Una volta finito, la mente non sa separarsi dal viaggio. Ecco perchè vi portiamo con noi in una terra meravigliosa

Ci sono luoghi nell’immaginario collettivo che sono avvolti nel mistero, luoghi dal fascino enigmatico e che ci appaiono come irraggiungibili. Siamo abituati a pensare all’Iran come a qualcosa di surreale, dove il tutto si riduce a donne avvolte nel chador nero e a folle inferocite che inneggiano all’odio, bruciando le bandiere americane. Il messaggio inquietante che ne proviene è di pericolosità, insicurezza, incognita e paura. E così immaginiamo qualcosa che non esiste, perché nulla in realtà è come appare.
Sono atterrata a Teheran in una notte di luna piena punteggiata da stelle splendenti. Ho incontrato i primi sguardi terribilmente penetranti, tanto da congelarti il cuore. Occhi profondamente neri e lucenti. Occhi curiosi, assetati di conoscenza e di sapere. Occhi martoriati che parlano di dolore, di sangue simile all’ inchiostro rosso. Sono quelli del popolo iraniano, fiero di discendere dalla civiltà Achemenide che ha conquistato terre e popoli prima ancora dei Greci e dei Romani. Non sono Arabi loro, sono orgogliosamente Persiani, eredi indiscussi degli imperi suntuosi di Ciro, Dario I, Serse. Hanno tutti voglia di salutare, di farsi fotografare, di soffermarsi e di parlare scambiando opinioni. Siamo noi, gli stranieri, l’oggetto del desiderio. Loro hanno subìto cambiamenti, rivoluzioni, monarchie, colpi di stato, regimi e guerre senza tregua. E, nonostante tutto, mi parlano di poesia.  Qualcuno mi recita i versi di Omar Khayyam: “O cuore fa conto d’avere tutte le cose del mondo. Fa conto che tutto sia giardino delizioso di verde. E tu quel cibo verde fa conto di essere rugiada, gocciata cala nella notte e al sorgere dell’alba svanita”. Sono spiazzata, confusa. Resto ad ascoltare: sono profondamente colti, di una cultura ricca e sfaccettata quasi a dismisura, ancora più di noi occidentali che facciamo della nostra un vanto. Parlano di Leonardo, di Michelangelo, di Venezia, del Colosseo, intavolano argomenti svariati dall’arte pittorica alla poesia, al cibo, al calcio, senza difficoltà alcuna, come se tutto il sapere del mondo fosse dentro di loro.
Le donne con il velo che scopre appena i capelli e quei nasini perfetti degni dei migliori chirurghi estetici hanno gli occhi pesantemente colorati di kajal. Sono tutte bellissime, alcune con chiome esageratamente color platino; sotto il chador si intravedono jeans attillati e tacchi a spillo. Osservano la moda incuranti del regime oppressivo che vieta ogni forma di civetteria. In segreto,  lontano da orecchie e occhi indiscreti, ci dicono che sono atee o simpatizzanti dell’antica religione dello Zoroastrismo, non si recano il venerdì a pregare nelle mosche, “roba di altri tempi” sussurra qualcuna. Sognano tutte il mondo occidentale, sognano la libertà, la fuga.
Teheran è caotica, a tratti  insignificante. Tutti alla guida di un auto o in sella ad improbabili moto corrono all’impazzata per le strade affollate cariche di smog. Attraversare sulle strisce pedonali è solo questione di fortuna, ti sfiorano a meno di mezzo centimetro e quando sei sull’altro lato della strada tiri un sospiro di sollievo per avercela fatta ed essere rimasta incolume. Fa sorridere tutto questo mondo colorato, anche se strombazzante privilegio degli uomini, rigorosamente vestiti di nero, il colore non esiste! Nessuno mendica, nessuno chiede nulla a nessuno, se non  un po’ del suo tempo. Ecco, il tempo in Iran non è scandito dall’incessante ticchettio delle lancette dell’orologio. Qui il tempo  si ferma sempre, quando fumi il narghilè, quando sorseggi il tè verde felicemente adagiata su panche ricoperte di tappeti multicolori, quanto ordini il cibo e soprattutto quando chiedi il conto in un ristorante. L’attesa può sembrare snervante agli occhi occidentali; noi, schiavi dei ritmi incessanti e frenetici ci spazientiamo, ma alla fine ci adagiamo in questa lentezza che non osiamo sfidare, fuori dal rumore che questa vita ci mette dentro.
L’Iran ti conquista, ti cattura e si insinua in punta di piedi mettendo in noi folte radici: dalla maestosa Persepoli ai remoti siti sassanidi di Naqsh-e-Rostam, da Shiraz, città dei poeti e di cupole a cipolla, dalle moschee con interni sfavillanti nel bel mezzo del nulla, a Kerman, dove la terra cruda e il deserto di Kalut si incontrano. E che dire della affascinante Yazd dai colori pastello, sabbia e turchese, dove una foresta di badghir, le torri del vento, non permette di scorgere nemmeno l’orizzonte? L’antico villaggio zoroastriano con un dedalo di stradine in terra e argilla su cui si aprono splendidi portoni dai battenti asimmetrici, uno rigorosamente ad uso degli uomini, l’altro per le donne,  a ricordare ancora una volta la differenza fra i sessi. Ovunque sei pervasa da profumi di spezie, sapori esotici, che sarà difficile scrollare di dosso.
L’euforia ci contagia. Ci confondiamo nelle madrase, nei palazzi sontuosi, indugiamo nei rutilanti bazar, negli splendidi caravanserragli, scoprendo ogni volta un mondo nuovo e catturando immagini che rimarranno scolpite nella memoria. Svettano le cupole turchesi, i mausolei monumentali, così come i minareti nelle piazze circondate da giardini rigogliosi, in cui scorrono canaletti ed acque, con intrecci di fiori e viticci da lasciarti incantata. E quando cala la luce, le maioliche splendono e tutto si tinge di rosa.  Il tramonto del sole è uno spettacolo difficile da descrivere. Ingredienti di un viaggio oltre le aspettative. Ma dove il cuore si ferma è ad Esfahan, scrigno di indiscussa bellezza, la metà del mondo. La perla d’oriente dove l’architettura persiana raggiunge la sua apoteosi, dove il connubio fra i colori blu e oro delle piastrelle smaltate acceca e le cupole enormi danno un pugno allo stomaco. Il pensiero metafisico e filosofico iraniano è tutto in queste cupole, due delle quali sono così gigantesche da essere incastrate una dentro l’altra. La Moschea dell’Imam nasconde ancora oggi dentro di sé tale straordinaria realizzazione, fin dal XVII secolo se ne tramanda il segreto attraverso le generazioni di una singola famiglia, che è incaricata del periodico rifacimento, un sedicesimo per volta, dell’imponente prodigio. Una vera e propria scatola cinese. Si può narrare, descrivere tanta bellezza? Qualsiasi aggettivo non renderebbe l’idea. E se vogliamo un attimo di poesia e romanticismo basta attraversare  uno degli undici ponti costruiti sul fiume Zayandeh e sedersi a guardare il tramonto del sole infuocato.
E’ quasi mezzanotte ad Esfahan e noi camminiamo assorti nella splendida piazza, pensiamo forse a un addio o a un arrivederci. Segreti nascosti, intimi, a tratti romantici. E’ l’aria che respiriamo, ti entra dentro a velocità lacerante, da capogiro. E’ di una bellezza violenta, da impazzire, ha il sapore della magia. La verità è che non esiste un luogo più sicuro ed accogliente per un turista. Qualcuno ci ferma per parlarci delle ombre che fasciano le cupole: è un pilota militare. “Welcome to Iran”: questa frase la conosciamo, è un’eco ripetuta da tutti coloro che abbiamo incontrato sul nostro cammino, ormai piena certezza per noi occidentali di essere benvenuti in terra straniera.  Chiede un piccolo favore, una richiesta che si rivelerà come un pugno allo stomaco nella sua disarmante semplicità. “Racconta”, mi dice, “racconta ovunque tu sarai, anche nel posto più lontano della terra, che quello iraniano è un popolo di pace e d’amore”. Mi sento persa, faccio fatica anche a ricordare, mi sento accarezzata nel cuore, commossa, muta e oggi penso a tutte le parole che avrei potuto dire e che non ho detto.
Questo viaggio lo dedico al popolo persiano: tra polvere e raggi di sole, tra conche verdeggianti e laghi salati, percorrendo sconfinati altopiani abbiamo trovato l’incarnazione dell’Oriente ricco di segreti. L’ipnotico mondo dei Sasanidi, dei Medi e di tutte le dinastie dal passato millenario che si sono succedute, incarnate nel simbolo del leone e della spada, ad affermare l’orgoglio di una terra che si conosce poco e che giudichiamo avventatamente. l’Iran è un paese complesso, pieno di ingredienti contradditori e stridenti, con confini enormi e spazi ideologici contesi politicamente. Ma il suo futuro, la sua ricchezza, la sua forza sono racchiuse nella gente, il vero insider. Pochi viaggi cambiano la vita, quando la cambiano è per sempre. Si aprono porte che non si immaginano, si entra e non si torna più indietro.
Devo ringraziare i mie compagni/e itineranti provenienti da varie città italiane. Coloro che, nonostante dubbi, se e ma hanno intrapreso con me questa splendida  avventura. Ho sfidato le perplessità di amici, parenti e conoscenti che erano dubbiosi sulla meta, sfatando il  detto secondo cui  ciò che non conosci non uccide e sono tornata sana e salva. Grazie ad Alice, la mascotte del gruppo, sicuramente prossima stilista di moda in terra persiana, a Lisanna e alle sue ciocche lucenti, con quel velo che scendeva e saliva, a Giuliana, con la quale ho condiviso momenti esilaranti e ho provveduto alla proliferazione della flora desertica, a Walter Firenze nord silenzioso osservatore, a Pietro, con cui ho intrapreso fervide discussioni sociologiche e che ci ha erudito sulle tecniche e metodologie costruttive, a Silvia, la saggia ironica, alias Madre Teresa di Calcutta, che ha osato toccare con mano a Qom (la città santa), nientemeno un ayatollah, a Pino, fervido paladino della libertà individuale e che per una doccia ha rischiato di perdere una cena tipica e un  tramonto. Infine, grazie a Walter, coniugio di origini fra bagna cauda e risotto alla milanese a volte  ironico, a tratti sornione (si scompongono gli atomi, ma lui no!), che perfettamente calato nel ruolo del persiano cortese ha portato con sé tutto il tempo un tappeto nomade,  sollevandomi da ardua fatica. Grazie a tutti  per aver colorato il mio mondo. Rientro a casa con nostalgia. Ho l’Iran nel cuore, la sua gente calorosa, il profumo del pane caldo e il colore  dei melograni ,gli abbracci pensati e non dati, le voci gioiose dei bimbi. Penso alle donne, vittime sacrificali di un fanatismo senza senso, guardo la mia rubrica con numeri di amici/amiche iraniani  desiderosi di accorciare, le distanze nel mondo non solo con i passi. E a quanta poesia si riesce a catturare in un viaggio. Ho scoperto di essere più romantica di quanto credessi. “Il modo migliore per viaggiare è sentire, sentire tutto in ogni maniera”
SALAM.



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