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DANIELE NINFOLE Uno scrittore sui generis

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

22
MAR
2013

 

Auspica un ritorno alla comunicazione del passato, quella vera, e non ama le classificazioni di genere, poiché – dice – lo stile uccide il talento. Dopo il successo di “Quella sottile differenza” lo scrittore tarantino ci parla dei suoi nuovi progetti
 
Ha passato la vita a progettare edifici, a costruire nuovi ambienti e a dedicarsi anima e corpo al suo lavoro. Ma a un certo punto ha capito di aver bisogno anche di altro. E piuttosto che creare palazzi, ha ideato nuove realtà. Accantonati – anche se non del tutto – squadre e righelli, Daniele Ninfole, architetto tarantino, si è armato di penna e ha iniziato a tracciare la sua nuova identità di scrittore. Seduto alla scrivania ha scavato dentro se stesso, dando libero sfogo alla sua fantasia e lasciandosene sopraffare. Poiché scrivere, come ci racconta, significa immergersi in un mondo diverso, calarsi interamente dentro un personaggio e assecondare la vena creativa che da esso prende vita. 
 
Di recente ha pubblicato il Suo nuovo romanzo, “Quella sottile differenza”. Com’è nato?
«Inizialmente come un testo teatrale. Con il titolo “L’esordiente” ha ottenuto diversi riconoscimenti arrivando in finale ai concorsi “Città di Chieri e Colline di Torino” e “Premio letterario Teatro Osservatorio”. Poi, tuttavia, l’ho ripreso per trasformarlo in un romanzo. La trasposizione mi ha portato via un bel po’ di tempo poiché ho dovuto apportare molte modifiche e scriverlo tutto in terza persona. Ma né è valsa la pena e posso ritenermi soddisfatto».
 
Tratta un tema molto particolare.
«Esatto, quello dell’omosessualità femminile. È la storia di tre amiche, tre studentesse che dividono l’appartamento. Ognuna di loro ha la sua personalità, molto chiara e ben definita. Mentre le prime due però appaiono come persone forti e sicure di sé, la terza, Alice, presenta delle debolezze. È un personaggio estremamente particolare, in quanto cerca di trovare la sua identità o meglio di fare emergere il suo vero lato. Si affida alle sue coinquiline e si lascerà finalmente andare con una di loro. Questo romanzo mi ha permesso di trattare un argomento che ancora oggi ha dei contorni molto delicati, è ancora un tabù. Allo stesso tempo mi ha dato l’occasione di parlare dei rapporti di coppia nella società attuale. Sempre più fragili e instabili».
 
Come ogni altro tipo di relazione. Temo si comunichi sempre meno.
«È vero. Purtroppo si ha l’impressione che con i social network e con il mondo intero a portata di mano non ci si senta più soli. In realtà credo sia l’esatto opposto. Sono relazioni fasulle, strane. Ci si parla, ma non si comunica. Si è amici di tutti ma non si conosce davvero nessuno. Prima c’era la strada. Ricordo la via Acclavio di quando ero ragazzo, così piena di negozi e di gente. La città era fatta dalle persone e non dalle cose. Si dava peso agli altri, si osservava con interesse, si ascoltava. C’era sempre un sottofondo musicale di suoni e parole a fare compagnia. Adesso non è più così. Si è soli fra la gente».
 
Non è tipo da social network, dunque?
«Ho provato una volta ad aprire una chat e ne sono rimasto sconvolto. Parlare con tante persone contemporaneamente crea confusione. E inoltre è impossibile prestare una reale attenzione a ognuno di essi. Rimane sempre una conversazione superficiale. La comunicazione, invece, quella vera, necessita di concentrazione e di tempo da dedicare all’altro. Altrimenti è tutto vano, irreale. Poco importante».
 
Tornando al Suo romanzo, è stato definito erotico. È così?
«Potrebbe sembrare letteratura erotica, ma io non la definisco tale. Oltre al rapporto che si crea fra le due donne, c’è altro. C’è il mondo interiore di ogni personaggio, soprattutto di Alice, che va scoperto. In ogni libro bisogna sempre scavare sotto la superficie».
 
Non posso fare a meno di menzionare il fenomeno editoriale di “Cinquanta sfumature di grigio”. Sembra che oramai non ci sia spazio per altro.
«Beh, è stato un caso letterario che ha destato non poco scalpore. Ma non credo che sia poi così giustificato. Purtroppo sempre più scrittori, o sedicenti tali, preferiscono puntare alla vendita più che alla qualità. Visto il successo della trilogia di “Cinquanta sfumature” si è pensato di emulare, producendo una quantità smisurata di libri fotocopia. Che assurdità! Se c’è una cosa di cui vado fiero dei miei romanzi è che sono impossibili da copiare. Sono talmente particolari e così privi di classificazioni di genere che non sarebbe assolutamente possibile scrivere qualcosa di simile. Non a caso tutti i miei scritti sono incredibilmente diversi fra loro. Non è qualcosa a cui si può dare un’etichetta. Lo stile uccide il talento, limita la creatività. Meglio una sana e originale commistione. Rende tutto più divertente».
 
Come ha poc’anzi riferito, “Quella sottile differenza” non è la sua prima pubblicazione.
«No, infatti. È la quarta. Prima di questa ho pubblicato “La corte del bagolaro”, edito nel 2009, “Angela pelle di marmo” l’anno successivo e “La canzone di Bill” nel 2012. Sono tutti testi molto particolari che nascono da una sfida: quella dell’immedesimazione. In ognuno di essi cerco di immaginarmi nei panni di un personaggio completamente diverso da me. Nel caso di “Quella sottile differenza” è una donna, in un altro faccio addirittura parlare un pianoforte. Cerco sempre di fare qualcosa di sperimentale, che non sia di facile e immediata comprensione, ma che richieda una particolare attenzione. Un testo che svela e non svela, dice e nasconde. Cerco di far capire dei concetti lasciando però che sia il lettore stesso ad arrivarci. Non lo conduco per mano fino al significato intrinseco dell’opera. Spetta a lui carpirlo».
 
È interessante. Lei si è avvicinato alla scrittura solo da pochi anni. In realtà nella vita è un architetto e un insegnante. Come si sposa l’architettura con la narrativa?
«Si sposa male (ride, ndr). Beh, all’architettura ho dedicato la mia vita. È un mestiere di per sé affascinante: l’idea di progettare e di creare qualcosa laddove prima non vi era nulla, o magari un edificio fatiscente. Sapere che in qualche modo quel palazzo cambierà l’immagine del quartiere e magari la vita di qualcuno. Il problema è che, come in tutti i lavori che hanno a che fare con la burocrazia, spesso ci si dimentica del lato romantico e si passa la vita a star dietro a permessi, documentazioni, enti amministrativi che non rendono le cose proprio facili. A un certo punto, ho detto basta. Non ce la facevo più a stare a contatto con tutta quella gente. Avevo bisogno di uno spazio tutto mio per ritrovarmi. E la scrittura ha fatto al caso mio. È arrivata, tra l’altro, in un momento di grande sofferenza per me e in qualche modo mi ha aiutato».
 
Cosa cerca dalla scrittura?
«La vita. In un certo senso la scrittura ci permette di non morire, di continuare a esserci. Oltre a lasciare un segno di noi che duri nel tempo, ci consente di affacciarci su altri mondi, di sperimentare nuove esistenze. Attraverso la scrittura creo nuove realtà e mi ci immergo. La narrativa va contro il logorio del corpo, mi fa essere altro da me. E soprattutto fa compagnia: i personaggi diventano degli amici, assumono contorni ben definiti e prendono quasi vita propria».
 
Qual è il personaggio che preferisce?
«Quello che non si nasconde e che si mostra nudo in tutte le sue debolezze, le sue imperfezioni. Il personaggio vero, reale e non artefatto. Quello che dopo una lotta con se stesso non ha paura di spogliarsi per svelare il suo vero io».
 
Al momento, sta lavorando a nuovi progetti?
«Sì, certo. Anzitutto sono alle prese con due testi teatrali, entrambi molto provocatori e adatti a essere declamati in un gruppo ristretto. Inoltre sto scrivendo un nuovo romanzo un po’ più impegnativo dei precedenti: è un racconto di mare e di terra. Presenta alcune somiglianze con “La corte del bagolaro”, in quanto anche in questo caso uno degli elementi dominanti è proprio il mare. Ma mentre nel primo il protagonista è un ragazzo sognante che guardando la vastità delle acque cercherà di far emergere la verità, in quest’ultimo lavoro vi è un aspetto più duro, più brutale, soprattutto per quanto riguarda i rapporti umani. Si tratta di una faida familiare, attraverso la quale trapela un’umanità delusa. Sto dedicando molto tempo a questo lavoro e spero di concluderlo presto».
 
Altre novità degne di nota?
«Una: ho appena appreso che un mio racconto è arrivato in finale a un importante concorso letterario e adesso sono letteralmente in trepidazione. Chissà che questa intervista non mi porti fortuna!».
 


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