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Auschwitz-Birkenau, il ricordo del teatro dello sterminio

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

29
GEN
2020

Per sapere chi siamo, bisogna scavare nella memoria e conoscere la storia. Per quanto se ne parli e se ne dia testimonianza è impossibile immaginare il passato. Il futuro lo si può ipotizzare senza certezze scontate. C’è l’urgenza attuale di respingere una concreta e travolgente ondata di antisemitismo, discriminazione, razzismo e violenza. Sono trascorsi quindici anni da quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha fissato il 27 gennaio come “Il giorno della memoria”. Sbandieriamo sentimenti di pietà e di rabbia, e nonostante il ricordo della “Shoah”, lo sterminio degli Ebrei vittime del genocidio nazista, permettiamo che bambini muoiono nei carrelli degli aerei e i migranti anneghino in mare. Viviamo nell’oblio dell’ipocrisia e della cattiveria umana, dei molteplici Giano Bifronte incapaci di custodire il “passaggio” dal passato al presente e l’ingresso verso il futuro per le generazioni che arrancano di valori e ideali. Sono trascorsi settantacinque anni dal 1945, quando le truppe dell’Armata rossa aprirono i cancelli del lager in terra di Slesia. Nel campo della fabbrica della morte erano presenti duemila prigionieri e più di sessantamila furono avviati alla marcia della morte in altri lager. Auschwitz è il più atroce luogo e simbolo della memoria, in cui morirono un milione e centomila persone.

La Shoah e il suo ricordo è un affare tra Stati, mentre i russi e i polacchi (le principali vittime del nazismo) animano ancora la loro discussione sulle cause di quella guerra.  Ricordare serve a poco se di guerra si muore ancora. C’è chi scappa dalle terre martoriate e chi vende le armi per uccidere. Chi traffica essere umani e chi nega i diritti ai rifugiati. Nel “Giorno della memoria” e degli infiniti “mai più”, c’è a chi basta una frase, un post, una foto per vincere il podio dei social, dimenticando che il passato è stata una realtà, vissuta e marchiata sulla pelle di molti esseri umani. Commemorare in modo banale non serve a nessuno se non aiuta a conoscere e capire la storia e le sue conseguenze sul presente. Ricordare per condividere. La Shoah e la sua memoria non è vergognosamente accettata e condivisa in modo totalitario. Crea divergenze e infiamma gli animi di chi non studia e si ostina a non conoscere la storia e la tradizione ebraica, chi non cerca spazi di riflessione, di testimonianza o un dibattito pubblico veritiero. L’antisemitismo aumenta mentre qualcuno lo etichetta come una forma specifica del razzismo.

Liliana Segre è un’italiana nata nel 1930 a Milano in una famiglia ebraica. A 13 anni fu deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Numero di matricola 75190. Sopravvissuta. Dopo cinquanta anni di silenzio ha iniziato a raccontare la sua storia e nel 2018 arriva la nomina di senatrice a vita. Non è schierata politicamente.

Il 30 ottobre scorso, l’on. Segre presenta in Senato il Disegno di Legge 362 per l’istituzione di una Commissione parlamentare, composta da venticinque membri scelti in modo proporzionale alle forze politiche rappresentate in Parlamento. La Commissione ha compiti di osservazione, studio e iniziativa per l’indirizzo ed il controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche, quali etnia, religione, provenienza, orientamento sessuale, identità di genere o altre particolari condizioni fisiche o psichiche. Il Senato approva con 151 sì, 98 onorevoli si astengono e restano a guardare. Un applauso si leva in aula per rendere omaggio ad una delle testimoni della convivenza civica pacifica. E in molti non si alzano. Coloro che rappresentano un popolo etico, astenendosi dal voto di una legge etica, sono chiaramente incoerenti con il mandato ricevuto. Liliana Segre sopporta da troppo tempo gli insulti di gente incattivita dalla rabbia e dall’odio. Non alzarsi è un atto di inciviltà che ha provocato una ferita nella coscienza del popolo italiano. Qualcuno evidentemente deve ancora riconciliarsi con la storia del nostro popolo, con le ferite aperte della resistenza italiana, delle foibe, del rapporto tra Nord e Sud, dell’identità nazionale e del pericolo del nazifascismo.

Nel Museo di Auschwitz gli studenti delle scuole superiori hanno l’occasione di toccare con mano l’orrore, incontrare i sopravvissuti e ascoltare la loro testimonianza. Nel lager la vita da prigioniero durava il tempo di salire sui vagoni per morire nelle camere a gas. C’è chi teme il ritorno del fascismo da parte di chi parla di nazionalismo in modo inappropriato. L’Europa è un cibreo di Stati nazione, e chi non ha o perde la nazionalità non è cittadino europeo. Riguarda tutti gli europei e i profughi. Ricordare la Shoah e i lager di Auschwitz serve per capire il presente di chi, oggi, vive anzi sopravvive o muore nei campi di prigionia della Libia per mesi e mesi, subendo torture e violenze senza distinzione di sesso e nazionalità. L’unica colpa, che tale non è, quella di scappare dalle guerre, dalla fame e dalla miseria per cercare la vita altrove. Ci saranno le eccezioni, l’odio e la rabbia non saranno e non sono sicuramente gli strumenti giusti per risolvere il problema dei migranti che varcano i nostri confini.

La memoria della Shoah è una missione imprescindibile. Primo Levi sosteneva che il dovere di trasmettere i propri ricordi nonostante la paura di non essere creduti, malgrado l’angoscia di tornare nell’abisso è doveroso. 



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