MENU

ANTONIO MASTRANGELO/Il mio piccolo mondo antico

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

17
MAG
2013

 

Talvolta mi affligge la strana sensazione di appartenere a un’altra epoca, di essere nata nel tempo sbagliato. Non che non apprezzi lo stile di vita di oggi, per carità. Sono grata della comodità e degli agi di cui sono circondata; delle innovazioni tecnologiche, delle scoperte scientifiche, soprattutto in campo medico. Della possibilità di viaggiare in tempi più o meno brevi; di poter approfondire con un semplice click la mia conoscenza su un dato argomento; la possibilità stessa di aver potuto studiare e di poter fare il lavoro che desidero – sebbene di lavoro, proprio in questo periodo non è che ce ne sia poi molto; ma questa è un’altra storia.  Insomma, non mi fraintendete: amo il XXI secolo. Solo che delle volte mi sorprendo a fantasticare su come poteva essere vivere nel passato, magari a metà del Novecento, quando si andava a lavorare in bicicletta, ci si parlava di persona e non attraverso un cinguettio virtuale, quando le cose si facevano perché si aveva voglia di farle e non solo per scattarsi una foto da postare su Facebook (scusate, questa non vedevo l’ora di dirla). Quando i bambini si riunivano attorno agli anziani e ascoltavano le storie che venivano raccontate loro. Certo, forse – anzi, sicuramente – vi era meno benessere. Ma volete mettere quell’aura romantica della genuinità? Quando parlo con persone come Antonio Mastrangelo, scrittore massafrese ma residente a Statte, poi, la mia nostalgia fantasma – poiché riferita a tempi che non ho vissuto – torna a manifestarsi. E la chiacchierata diventa un tuffo in un mondo che immagino soltanto e nel quale vengo trasportata dai racconti appassionati di chi invece quel tempo lo ha vissuto.
 
Quando è iniziata la Sua passione per la scrittura?
«Credo fosse insita in me, non vi è stato un momento preciso. Piuttosto mi sono reso conto per caso di avere questa passione innata, o meglio mi è stato fatto notare da mio figlio. Quando era piccolo e io ero un insegnante, ricordo che lo portavo a scuola con me; lui si divertiva, si integrava bene. Ed è stato proprio lui a farmi notare che ho sempre scritto quello che mi passava per la mente, qualsiasi idea, per quanto fugace o fulminea potesse essere. Scrivevo ovunque: sulle scatole dei cerini, su foglietti di carta spiegazzati malamente. Appuntavo le mie note e poi con calma le ho ripescare e riordinate tutte. Da quelle note sono nati sette volumi di racconti, uno persino di novelle antiche, di fiabe con animali che parlano. Ho scritto anche qualche romanzo e penso di avere ancora tantissimo materiale da recuperare, visto che sono riuscito a elaborare soltanto la metà dei miei appunti primitivi. Il bisogno di scrivere, la mia sete di raccontare nasce dall’ambiente in cui sono vissuto. Quello della mia infanzia era un ambiente “antico”, fatto di storie attorno al fuoco, di nonni e vecchiette che mi raccontavano gli aneddoti più disparati».
 
Di tutti i volumi scritti, tuttavia, ne ha pubblicati soltanto due, finora.
«Esatto. Il primo “Racconti I”, pubblicato per conto mio nel 2010, l’ho fatto stampare con una buona rilegatura e l’ho distribuito a tutti gli amici, per piacere personale. Il secondo, “Racconti II”, invece è stato edito da Scorpione. Pian piano, vorrei fare uscire anche tutti gli altri, soprattutto il romanzo “Aghi di cristallo” a cui tengo particolarmente, poiché lo trovo molto interessante. Il bisogno di evadere da questo mondo frenetico e iper-tecnologico, dove i rapporti umani stanno lasciando spazio a effimere relazioni virtuali, mi ha portato a costruire un mio universo artificiale, una capsula dove ho racchiuso tanti avvenimenti legati fra loro. Ho voluto trasportare il mio protagonista in una tribù di indiani, in modo tale da far trapelare la genuinità dei personaggi, ancorati a tradizioni, vecchie abitudini e soprattutto a stretto contatto con la natura più selvaggia. È un mondo fantastico che ho costruito sulla base di tutto ciò che ho sempre immaginato: ghiacciai, torrenti, natura incontaminata. Le letture che ho intrapreso da ragazzo, come Salgari e Stevenson, mi sono senz’altro state d’aiuto per la costruzione del paesaggio. Inoltre, un contributo è dato anche dai quadri di ispirazione romantica di fine Ottocento, i quali hanno arricchito la mia fantasia».
 
È stato un lettore vorace?
«Direi di sì, mi addormentavo con i libri ancora in mano. L’amore per la letteratura la devo anche all’ottimo professore di italiano che ho avuto. Lui riusciva a far appassionare gli studenti alle opere più importanti. Come declamava la Divina Commedia lo ricordo tuttora. La storia di Paolo e Francesca, del Conte Ugolino… come dimenticarle? Quello che vedo oggi, invece, è un insegnamento superficiale; delle nozioni spiegate per puro dovere. La mia intera vita è stata costellata di aneddoti che mi hanno incantato, di storie che ho fatto mie e che al momento opportuno sono venute fuori nuovamente. Tutto attorno a me mi ispirava. C’è un personaggio storico, Ivan Mazeppa, le cui imprese hanno dato ispirazione a diversi pittori e poeti, che mi affascina moltissimo, per esempio». 
 
Da quanto mi ha raccontato poc’anzi, mi è sembrato di scorgere una certa avversione nei confronti della tecnologia.
«In realtà non è completamente negativa; al contrario per molte cose è utilissima. Soprattutto mi è servita a recuperare la miriade disordinata di appunti sparsi. Senza un computer non sarei mai riuscito a riordinarli così in fretta. Inoltre, trasferire tutto su pc è stata una scelta obbligata, poiché non godendo di una buona calligrafia, interpretare ciò che avevo scritto anni e anni prima era piuttosto arduo, quasi quanto decifrare la Stele di Rosetta. Come in ogni cosa, anche nella tecnologia ci sono fattori positivi e altri che invece mi lasciano perplesso. In un certo senso il computer, internet e la possibilità di interfacciarsi con milioni di persone, hanno disumanizzato i rapporti fra ragazzi. Si ha tutto troppo a portata di mano, manca il piacere della conquista, della scoperta. Manca quella timidezza iniziale, quel prendere la mano della ragazza su cui vogliamo fare colpo e sentirsi come se si camminasse a un metro di altezza. Si è persa la poesia amorosa e cavalleresca, per dirla tutta. Viviamo un momento di transizione, ecco perché è importante il recupero delle nostre radici, del passato, del nostro patrimonio culturale».
 
A proposito di radici, Lei appartiene a due diverse anime: una pugliese e l’altra friulana. A quale sente di appartenere maggiormente?
«A entrambe, senza dubbio. Mia madre è nata nella Valle di Caporetto e frequentare il Friuli mi è stato di grande aiuto per migliorare il linguaggio. Mi ha permesso di avvicinarmi con più facilità all’italiano, dal momento che qui da noi si parlava moltissimo il dialetto. Inoltre, ho sempre goduto di un’ottima accoglienza nella regione settentrionale. Ma la Puglia, beh… è la mia regione e le appartengo con tutto me stesso».
 
Questa sera verrà presentato il Suo libro presso la Biblioteca civica di Statte. Quali sono invece i prossimi obiettivi?
«Pubblicare i nuovi volumi, a partire dal terzo, e continuare a recuperare tutto quello che ho annotato nella mia vita e che non ho ancora avuto modo e tempo di riordinare. Sarà un lavoraccio, ma non vedo l’ora di mettermi all’opera».
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor