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MIMMO CAVALLO : VIVO DI MUSICA E NE SONO CONTENTO

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

8
GIU
2012

 

Lontano dai riflettori si sente libero di esprimere la sua musica, senza star dietro a logiche di mercato. Mimmo Cavallo, affermato cantautore, racconta del suo allontanamento dalle scene e del rapporto con la grande Mia Martini
 
Quando la musica era fatta dai grandi, quando non c’era ancora Maria De Filippi con i vari Marco Carta e Valerio Scanu da lanciare ininterrottamente sulle frequenze radio, quando non era estate senza il Festivalbar, un giovane cantautore tarantino scalava le classifiche con i suoi brani dedicati al Sud e alla Puglia. Chi non ha mai intonato il suo primo successo, “Siamo meridionali”? E chi non ricorda la nota “Uh, mammà!”? Mimmo Cavallo è stato sulla cresta dell’onda per diversi anni, lavorando con grandi personalità, prima fra tutte Mia Martini, con cui era in tournée prima della sua tragica scomparsa e alla quale era legato da un profondo affetto. Subito dopo ha abbandonato i riflettori, ma non ha mai smesso di cantare. Al contrario, adesso che è lontano dalle logiche di mercato, si sente libero di fare la musica che più gli piace. Ma chi pensa che sia troppo distante dalle scene, dovrà ricredersi. Di recente, infatti, scommetto che tutti gli italiani hanno inconsapevolmente cantato una sua canzone. Indovinate un po’ quale.
 
Nato a Lizzano, emigrato a Torino e rientrato in Puglia. Il legame con la Sua terra è tangibile. Lei ha una spiccata meridionalità.
«Si può dire che sono totalmente legato alla mia terra e alla mia città. L’infanzia l’ho trascorsa in Puglia, ma a undici anni sono dovuto andare via, trasferirmi a Torino, poiché mio padre, contadino, non avendo più grosse prospettive di lavoro qui decise di tentare con il Nord. Ciò nonostante tutte le estati le passavo nel mezzogiorno, e anche quando ero in Piemonte continuavo comunque a nutrirmi e alimentare la mia meridionalità. Facevo amicizia con i ragazzini del Sud e cercavo ovunque valori mediterranei. Ricordo che all’inizio avvertii un grosso distacco, poiché mi accorgevo delle enormi differenze che c’erano fra le città e le culture. Quelle più tangibili le ho riscontrate proprio a scuola e soprattutto nei testi scolastici: si parlava, per esempio, di vendemmia e la si faceva risalire a ottobre, quando invece al Sud ero abituato a sentirne parlare già a fine agosto. E poi non dimenticherò mai lo stupore dei miei insegnanti quando dissi loro che qui da noi si pranzava o ci si raccontava le storie nel camino. “Ma come?” mi chiesero sbalorditi, “vorrai dire attorno al camino”. E invece intendevo dire proprio dentro».
 
Il Suo primo successo si intitola proprio “Siamo meridionali”. Un inno al Sud?
«Beh, senz’altro. Tutti i ricordi della mia infanzia e dell’adolescenza sono legati a questa terra, e credo che siano stati proprio i miei ricordi ancestrali a conquistare l’editore. Parlavo, nei miei testi, di un’isola felice, perché così risultava ai miei occhi. La mia terra è sempre stata povera, l’estate i bambini camminavano a piedi nudi, ma non avvertivano mai il senso di miseria, né le preoccupazioni dei genitori. I bambini erano felici e il denaro non contava nulla. I ragazzini di oggi hanno una quantità infinita di giocattoli, molti dei quali ultra-tecnologici e costosissimi. Ai miei tempi si giocava con le mollette o con le pietre. Ed era un tale spasso».
 
Come è cominciata la Sua carriera artistica?
«Come ho detto ogni anno scendevo in Puglia per le vacanze. Un anno cominciai a suonare con un gruppo di ragazzi, alcuni di Lizzano come me, altri di San Giorgio Jonico, e man mano che i nostri progetti prendevano forma decisi di tornare definitivamente a Taranto, di studiare e lavorare qui. Purtroppo poi, abbandonai gli studi, cosa di cui in seguito mi sono pentito amaramente, ma iniziai la mia formazione musicale: mi iscrissi a un corso e di lì a poco iniziai a suonare a tempo pieno».
 
Viene spesso accostato a cantautori come Rino Gaetano, Edoardo Bennato e Giorgio Gaber. Si sente vicino a queste personalità? 
«In ognuno di questi grandi cantautori c’è qualcosa che corrisponde; con Rino Gaetano ero addirittura vicino di casa, dunque ci univa una grande amicizia e una vicinanza intellettuale. Ma tutto sommato ritengo di essere abbastanza diverso. Credo che la gente sbagli a cercare di incorniciare sempre tutto: si avverte spesso l’esigenza di dare un’etichetta a ogni cosa, a raggruppare le persone in pochi grandi insiemi, poiché così è più semplice classificarle. In realtà ognuno ha il suo bagaglio di esperienze, il suo genere, il suo gusto musicale che differisce da quello degli altri».
 
Oltre ad aver avuto un grande successo personale, ha scritto brani per alcuni big della canzone italiana, tra cui Mia Martini, Ornella Vanoni, Gianni Morandi, Loredana Bertè, Fiorella Mannoia e numerose sigle di programmi televisivi. Da dove nasce la scelta di far cantare i suoi testi ad altri?
«Scrivere per altri è un gioco. Ci si diverte a cercare un cantante che sia naturalmente giusto per le proprie canzoni. Quella “giusta” per me era Mia Martini. Era straordinaria perché aveva la capacità di cantare diversi stili, dall’etnico al jazz; possedeva tante diverse personalità ed era un vero piacere scrivere per lei. Inoltre, vedevo in Mimì non solo una bella voce, bensì tutto un mondo interiore che andava esplorato e lasciato libero di esprimersi. Quello era il mio compito, il mio obiettivo: lasciare che venisse fuori a 360°. Prima della sua tragica morte, avevamo appunto realizzato un disco in cui lei usciva anche in maniera autoriale e lo stavamo portando in tour. Ma poi, come è noto, la tournée è stata bruscamente interrotta».
 
Che ricordo ha di questa grande artista?
«Mia Martini era un personaggio straordinario che però veniva strizzato da questo mondo che sotto molti aspetti si era rivelato stupido, direi quasi medievale, con le sue sciocche credenze e superstizioni. Trovavo assurde molte delle cose che venivano fuori a volte dalle persone che lavoravano con noi: ricordo che quando si lavorava e c’erano le telecamere erano tutti allegri e sorridenti, ma quando dovevamo andare a cena e si proponeva di trascorrere la serata assieme, si rimaneva in tre: io, lei e il nostro discografico. Per me era ed è assolutamente impensabile torturare una persona per via di dicerie che non avevano un minimo di fondamento. Del resto, tutte le voci che giravano sul conto di Mimì non erano altro che cattiverie messe in piazza da un impresario che la derubava».
 
Subito dopo la sua scomparsa tragica e prematura, Lei ha abbandonato le scene ritagliandosi uno spazio più modesto. C’è un collegamento fra le due cose?
«No, affatto. Avevo i miei problemi e mi sono allontanato dai riflettori. Quello della musica è un mondo particolare nel quale non sempre si può stare alla ribalta. La discografia ti dà un lasso di tempo, durante il quale investe su di te e ti fa conoscere al grande pubblico. Al termine di questo periodo, se non sei diventato abbastanza potente da fare in modo che i discografici dipendano da te, se ne vanno in cerca di qualcun altro. Adesso i dischi li vendono i ragazzini usciti dal talent show di turno, i quali diventano gli idoli dei teenagers, per ragioni che spesso non hanno nulla a che fare con il talento, la voce o la bellezza delle canzoni. Io non faccio un genere commerciale, ma devo dire che questa lontananza dai grandi media mi fa bene, perché in tal modo posso fare ciò che amo davvero, senza star dietro a logiche di mercato. Non scrivo per far soldi, non ambisco a essere un cantante milionario: mi basta poter vivere di musica, sapere che ogni mese posso contare su delle entrate e che faccio un lavoro che adoro. Inoltre ho avuto tantissimi riconoscimenti da parte di grandi cantanti e eccellenti personalità del campo della musica. Le gratificazioni e le soddisfazioni non mi sono certo mancate, ma viaggiano su un binario opposto a quello delle vendite». 
 
Di recente, ha scritto il testo di “Gloria Gloria”, che Al Bano ha inserito nel suo ultimo album, e soprattutto “Vedo nero” di Zucchero, che ha scalato le hit parade.
«Sì, e pensare che inizialmente avevo pensato di cantarla io, ma avevo in mente un altro genere di musica. Poi Zucchero l’ha trasformata in uno stile molto più vicino alle disco, e ci ha visto giusto: è stato un successone».
 
Ha in progetto qualcosa di nuovo?
«Sto lavorando a un nuovo disco nel quale faccio trasparire le mie tre anime: quella etnica, quella rock, e quella legata alla Taranta. Riprendo, in questo nuovo album, delle canzoni scritte in passato e che piacevano molto anche a Proietti, ma che non sono mai uscite fuori. Si tratta di canzoni amene, particolari, perché sono divertenti. Tutti mi hanno sempre visto come il cantante impegnato, che scrive testi seri. E invece ho tutto un repertorio allegro e gioviale da tirar fuori. Ecco, farò questo nuovo disco per il piacere di suonare e di cantare, senza angosce e senza l’assillo del mercato».
 


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