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Liberare lo sguardo

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

15
MAG
2015
Cinema bestiale, la rassegna per “animali depensanti” 
L’incontro, organizzato dal Cineclub Fiori di Fuoco a Lecce, celebra autori come Franco Piavoli, Michelangelo Frammartino, e Carlo Michele Schirinzi.
 
Se gli animali potessero parlare, spesso non sarebbero contenti dell’accostamento tra l’uomo e loro.  Quasi sicuramente però, apprezzerebbero i film di alcuni autori che, grazie a un approccio altro  e “laterale” sul mondo, hanno scelto di raccontare il reale preferendo affidarsi allo sguardo di una capra, di un cavallo o di un asino che non a quello di un “umano”.  Cinema bestiale - rassegna per animali depensanti, che si terrà il 15 maggio presso la Libreria Fahrenheit di Lecce, celebrerà quindi la poetica di registi come Carmelo Bene, Franco Piavoli, Silvano Agosti, Werner Herzog, Michelangelo Frammartino, Bela Tarr e Carlo Michele Schirinzi. 
«Lontani per un giorno dal cinema di prosa e dall’immaginario disneyano, si proverà a trasformare gli spettatori in animali pensanti, o meglio de-pensanti, dallo sguardo puro e incontaminato.  Spunti visivi che, partendo da Nietzsche, procedono zig-zagando a bocca aperta, nel cinema, nel teatro, nella musica, nella videoarte, alla ricerca di un linguaggio universale e senza tempo». Così Nicola Neto, direttore artistico del Lecce Film Fest che, attraverso il Cineclub Fiori di Fuoco patrocina Cinema bestiale - rassegna per animali depensanti. 
Il bresciano Franco Piavoli, ad esempio, conduce il pubblico attraverso una natura feconda, lussureggiante ma al tempo stesso spietato.  In lavori come Il pianeta azzurro (1981), Nostos (1990) e Voci nel tempo il cineasta riconosce pari dignità alle rugosità di una foglia e a quelle del volto di un uomo.  «Mi piace costruire opere che richiamino i valori della musica e della pittura più che le regole del teatro. Lavori che non seguano una linea narrativa tradizionale ma che creino il racconto attraverso la concentrazione di diverse voci, di diverse immagini, di diversi frammenti, per trarne un mosaico policromo, un concerto polifonico» 
Michelangelo Frammartino, nato a Milano da genitori calabresi, sceglie di dare “voce”  a vite (animali e umane) profondamente radicate nel territorio, un Sud magico e fuori dal tempo. Intangibile agli scossoni di quello che chiamano il “progresso”. «M’interessa sempre la dimensione del rito. Anche andare al cinema era un rito: il buio, le poltrone disposte come gli scranni in chiesa, lo stupore collettivo delle immagini. Volevo però, per una volta, cambiare punto di riferimento. Nel cinema è sempre la figura umana a fare da unità di misura, mentre desideravo che qui fosse la natura. Mi piace che non ci sia distinzione tra personaggio e paesaggio, che si fondano uno nell’altro». Il regista ha scelto queste parole per presentare Alberi (2013), che segue Il dono (2003) e Le Quattro Volte (2010).
Il salentino Carlo Michele Schirinzi è invece “approdato” al lungometraggio con I resti di Bisanzio (2014) che, spiega,  «è nato da un senso di impotenza. Il protagonista non ha un’identità. Così come per me quel luogo non ha identità oppure ha un’identità che sta morendo. Non è un lavoro sulla morte, perché quelli sono luoghi morenti, non morti, gli eremi bizantini invasi dalle muffe, l’architettura fascista in disfacimento, il centro d’accoglienza abbandonato. Non è importante la storia ma la geografia». Un percorso, il suo, finalizzato a demolire gli “ecomostri” che hanno colonizzato per troppo tempo l’immaginario collettivo.  «Si è creato uno stereotipo del Salento che ha portato danni irreparabili. Ci si aspetta un certo tipo di immagine e di suono, la pizzica, invece la nostra scena musicale è ricchissima. Si improvvisa il turismo producendo una cementificazione assurda sulle coste, alberghi che nascono in luoghi dove non dovrebbero nascere. Questo territorio è stato completamente stravolto. Il film è il ritratto di una zona molto ristretta, il Capo di Leuca, circa 15 km, il finis terrae». 
 


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