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Massimo Bray/ «Saranno i cittadini a salvare il nostro Paese»

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

18
DIC
2015
Il rilancio del Sud e dell’Italia  passa  inevitabilmente attraverso la cultura del bello,  intesa  come motore di sviluppo, strumento per rovesciare le sorti di un Paese che arranca, rilancio economico e collante della comunità. Ne parliamo con il direttore della Treccani 
 
Il mondo sarebbe migliore se a muoverlo fosse la Bellezza, magari non diventerebbe perfetto ma potrebbe specchiarsi nello sguardo potente del  Bello senza dover chinare la testa. Il talento italiano su questa attitudine al Bello  naturale ha costruito un patrimonio d'arte e cultura che non ha eguali e che decreta il successo del made in Italy in ogni settore. Il modello dell'Italia differente, dove competenze e passione costruiscono una vera prospettiva di cambiamento, deve puntare  sulla  capacità di visione, indispensabile per creare e salvaguardare comunità di intelligenze, tutela di storie, culture materiali e immateriali, prospettive inedite e volontà di essere protagonisti di nuove sensibilità, esperienze e pratiche che viaggiano sui binari estetici ed emozionali. Una società che riconduce  i beni culturali alle cure e al controllo della comunità, contribuendo così  alla costruzione del senso civico, della coesione sociale e dell'appartenenza alla comunità stessa. Ma per sensibilizzare  le persone alla bellezza dell'arte e della cultura, occorre creare consapevolezza partendo dal basso, da quelle piazze da sempre appartenute al popolo e  che il popolo ha dimenticato. Occorre ragionare sul Mezzogiorno e sull’Italia in maniera strutturale, non  sempre e solo in termini di conflitti e bollettini di guerra È arrivato il tempo di pensare con la volontà di costruire, di creare vere opportunità, di fondare una società nella quale Arte e Cultura si riapproprino del loro statuto di beni comuni, perché come sosteneva Albert Camus: "La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza". Ne parliamo con Massimo Bray, nato a Lecce, Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo nel Governo Letta e ora direttore generale della Treccani.
 
Qual è la sua opinione circa  i maggiori interpreti della cultura italiana del nostro tempo. C'è un futuro roseo per arte e cultura?
«Negli incontri che ho avuto direttamente con gli artisti – penso all’ultimo avvenuto presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana dedicato alla Street art – percepisco da un lato una grandissima energia e creatività (questo mi dà molti stimoli e speranze per il presente e per il futuro); dall’altro, ancora di più, ho rilevato una sensibilità e un’attenzione alla tutela dei beni culturali da parte dei cittadini e delle persone (non mi riferisco agli addetti ai lavori, ma a persone comuni come studenti, casalinghe, impiegati, ecc.). C’è un forte bisogno di arte e di cultura nella società attuale: le persone lo sentono e lo dimostrano in ogni occasione.
Quello che, invece, mi preoccupa riguarda in alcuni casi il ritardo o l’assenza delle istituzioni e della politica, non sempre attente a intercettare i bisogni di artisti, intellettuali e della comunità, anche se ho conosciuto - penso ad uno degli ultimi incontri che ho avuto a Chiari (BS) in occasione del Festival della microeditoria - alcuni giovani amministratori che stanno ripensando il modo di fare politica partendo dalla cultura. Questo mi dà molta speranza per il futuro».
 
"La bellezza salverà il mondo", diceva Dostoevskij, ma chi salverà la bellezza? 
Nel nostro Paese che della cultura, dell’arte e del paesaggio, ha sempre fatto la propria vocazione vantando un patrimonio artistico immenso, purtroppo assistiamo ancora a troppi beni culturali lasciati nel degrado e abbandonati. Perché lo Stato italiano non investe di più in opere e siti artistici sparsi in tutto il Paese?
«Il governo e la politica italiana devono mettere al centro della rinascita dell’Italia la cultura, l’innovazione, ma anche la scuola, l’università e la ricerca. In questo anche il turismo culturale riveste un ruolo importante. Dobbiamo costruire un modello di sviluppo diverso, che ponga al centro la cultura come motore di sviluppo, rilancio economico e collante della comunità, cogliendo la necessità di una nuova alleanza con un turismo consapevole e con gli enti che favoriscono la partecipazione attiva dei cittadini: solo una comunità coesa può tutelare un luogo dal degrado e restituire al turismo la dimensione di esperienza non superficiale, ma profonda e coinvolgente.
L’investimento nella cultura è fondamentale, perché essa costituisce un potentissimo fattore di identità nazionale, che occorre trasmettere in ogni forma e con ogni mezzo alle nuove generazioni. Ma continuo a essere ottimista: saranno i cittadini a salvare il nostro Paese».
 
 
Il Sud spesso è riuscito a difendersi dalle varie forme di "colonizzazione", così i luoghi, nonostante le violenze degli abusi, raccontano ancora di bellezza, armonia, beni materiali e immateriali, vita. Salvaguardare e recuperare il vocabolario della vera bellezza per poterla riconoscere, difendere, costruire e comunicare è il primo passo per un reale rilancio della cultura del Salento e dell’Italia?
«Il primo passo riguarda le nuove generazioni e quelle future: se riusciremo a trasmettere loro l’insieme di significati, ma soprattutto di valori legati alla tutela e alla difesa dei beni comuni e del paesaggio, avremmo creato una comunità di cittadini consapevoli e rispettosi del proprio Paese e di territori testimoni di bellezza e cultura, come il Salento. Siamo i custodi di un patrimonio unico e straordinario, che dobbiamo rispettare, valorizzare e comunicare con tutti gli strumenti e le forme disponibili, cercando di colmare ritardi e vuoti nella sua conoscenza con l’intento di prevenire abusi e abbandoni».
 
Il Sud del nostro Paese ha bisogno della capacità di disegnare un nuovo modello partendo dai territori del Mezzogiorno e  di una realtà riformatrice fatta da una buona politica. Una realtà di ascolto, sforzo collettivo e consapevole per scrivere  un futuro differente, ma da dove cominciare?
«È  necessario ripartire da un nuovo modello di sviluppo, che si basi su cultura, innovazione e turismo. Ora diviene quanto mai necessario investire nello sviluppo economico e sociale mettendo al centro la cultura, credere in una crescita economica solidale e non diseguale, reperire le risorse necessarie per lo sviluppo del Mezzogiorno. 
Il Sud non ha bisogno di grandi proclami, di grandi promesse, ma solo di fiducia e di investimenti che facciano seguito ad una visione del “Mezzogiorno”:  potrebbe rappresentare un modello di sviluppo differente e sostenibile attraverso la definizione di un piano per la nascita di poli legati all’innovazione, che diventino luoghi per il rilancio economico, ma rappresenta anche una sfida con molti ostacoli. Questa scelta dimostrerebbe la volontà di uscire da una crisi con la capacità di avere visione, dando dignità e identità a tutte le persone che si battono per un futuro differente, per la tutela e valorizzazione del paesaggio, del loro territorio e dei beni comuni. Le nuove generazioni devono poter immaginare un’Italia migliore e non aver voglia di fuggire in altri Paesi».
 
 
Se attorno alle bellezze e alle storicità del Paese si sostenessero le associazioni, le fondazioni e le cooperative che se ne prendono cura, avremmo un'economia di lavoro che nasce proprio dal libero desiderio delle persone intente a difendere e valorizzare i propri luoghi. Qual è la sua opinione in merito?
«Nell’esperienza straordinaria che ho vissuto quando ero ministro, ho avuto la fortuna di poter incontrare e conoscere persone, associazioni di cittadini e altre realtà che si battono per la cultura. Ho ascoltato con attenzione i loro racconti, le attività che portano avanti quotidianamente tra numerose difficoltà per la cura dei luoghi e la tutela dei beni culturali presenti nel loro territorio. La cittadinanza attiva è diffusa e capillare, mancano le istituzioni e la politica, che non hanno saputo più ascoltare i cittadini e i loro elettori, rompendo quel rapporto di fiducia che è alla base della buona politica.
Il segreto di tutte le buone pratiche che vengono realizzate per ricostruire il nostro Paese passa attraverso il coinvolgimento dei cittadini, delle associazioni e di tutte quelle realtà che se ne prendono cura. In questo senso, la Reggia di Carditello rappresenta un esempio e un simbolo di come un bene culturale lasciato per troppo tempo in abbandono sia stato sentito da tutta la comunità come un bene comune da tutelare, conservare, prendersene cura, con impegno, senso di responsabilità e spirito di sacrificio e possa ora diventare uno strumento di rilancio del territorio, in cui è coinvolta tutta la comunità».
 
 
“Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire” sosteneva Marguerite Yourcenar. Frase  ancora attuale. I libri  hanno creato sempre Comunità di lettori. Comunità di sentimenti, di progetti e obiettivi condivisi. Fondamentale tornare a credere nella centralità della  cultura che crea imprese e lavoro partendo da memoria, comunità, innovazione e ricerca?
«Le parole di Marguerite Yourcenar  ci ricordano il ruolo fondamentale svolto dalle biblioteche per il rispetto, la conservazione e lo studio del passato e della memoria, che diventa nella società attuale un ruolo strategico per la costruzione del senso civico e la responsabilizzazione verso il bene comune.
Per il futuro del nostro Paese e per costruire un’Italia diversa sono necessari alcuni punti fermi: memoria, comunità, innovazione e ricerca, che si affermano soltanto attraverso una nuova centralità della cultura, alimentata dal prendersi cura del proprio passato e della propria memoria e dal recupero di una dimensione comunitaria della vita associata. La centralità della cultura è fondamentale se vogliamo davvero ricostruire il nostro Paese, dare sviluppo economico e sociale e un futuro per le nuove generazioni».
 
Scommettere sul cinema come nostra industria culturale, sulla qualità e sulle professionalità che ci contraddistinguono da sempre in questo settore, permette di raccontare l'Italia e le sue grandi bellezze a tutto il mondo. Nel nostro Paese questo settore è in salute?
«Credo che si debba e si possa fare molto di più per sostenere il cinema italiano: i contributi pubblici e le agevolazioni fiscali, come il tax credit, non bastano di per sé e servono maggiori risorse economiche, che andrebbero individuate con urgenza. Il cinema italiano rappresenta davvero una parte essenziale della nostra memoria, dell’identità, ma è anche un’industria culturale caratterizzata da un’altissima qualità ed elevate professionalità riconosciute nel mondo, sul quale bisogna scommettere e credere. 
Registi già affermati come Garrone e Sorrentino e altri divenuti sempre più noti all’estero grazie ai prestigiosi riconoscimenti ottenuti – penso ad Alice Rohrwacher con il film Le Meraviglie o a Edoardo Winspeare con il suo In grazia di Dio - raccontano attraverso le loro opere l’Italia, mostrano i luoghi ricchi di storie e monumenti, trasmettono a tutti, i nostri valori e tradizioni culturali. Lo fanno con estrema sensibilità, trasferita nei protagonisti e nei personaggi dotati di grande umanità e dignità nonostante le difficoltà, che si trovano a vivere e a dover superare. Credo che questo rappresenti una metafora del nostro modo di essere italiani, apprezzato dal pubblico straniero insieme ai paesaggi e monumenti mostrati nei film.
Le Film Commission svolgono da anni un lavoro prezioso e fondamentale a sostegno dei registi e del cinema italiano, incentivando le produzioni cinematografiche con agevolazioni e finanziamenti e incoraggiando a girare film nel territorio, in un certo senso come se fossero ‘film a km zero’, in cui vengono impiegati anche attori e maestranze locali. Questo sistema crea una ricaduta economica positiva per il territorio, che andrebbe incentivato per dare lavoro e valorizzare le numerosissime professionalità presenti».
 


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