Un sito internet per parlare dell’importanza della vita e una proposta di legge per rendere obbligatorio l’insegnamento del massaggio cardiaco: il Direttore del 118 di Taranto si racconta, tra medicina e poesia
«Ma non è un creatura meravigliosa?».
Partiamo dalla fine, perché è così che si conclude questa intervista, con un interrogativo dalla risposta immediata che non richiede alcun tipo di esitazione. Sì, è una creatura meravigliosa e sorprendentemente unica. Entra in redazione con un sorriso, la stretta di mano è ben salda, la voce è ferma, il passo è sicuro. Si accomoda ed è parlando di politica che inizia quella che a lui sembrerà una semplice chiacchierata, ma che per me sarà una vera e propria lezione di vita. Immensamente piccola davanti a quell’uomo così forte che maieuticamente ci porterà alla scoperta di ‘quei pieni’, inquilini nascosti nei vuoti dell’anima. Direttore del Pronto Soccorso della Provincia di Taranto, Mario Balzanelli si distingue anche per il profondo amore che lo lega alla vita: quintessenza della sua personalità. Vite che ogni giorno si susseguono tra le mani di un medico impegnato a salvarle e si ripercorrono tra le parole di un poeta intento a lanciarci un ‘messaggio’. Promotore di una legge per l’insegnamento obbligatorio delle tecniche di primo soccorso nelle scuole, da tempo si batte affinché ognuno possa saper muovere ‘Due mani sul torace’, perché spesso è questione di attimi e lui sa bene che ogni secondo può essere prezioso.
Dott. Balzanelli, dopo la laurea in medicina interna ha conseguito la specializzazione in medicina di urgenza e pronto soccorso, una strada molto complessa che la porta a stare perennemente in bilico tra la vita e la morte: si tratta di una scelta dettata da qualche avvenimento particolare?
«Sicuramente c’è una componente biografica che mi ha indirizzato su questa scelta, facendomi capire che la vita va via rapidamente. Sono figlio di esperienze personali tragiche, perché le persone a cui ero più legato sono scomparse improvvisamente, mentre io ero sempre distante da loro, senza poter fare nulla. Decisi di specializzarmi in medicina di urgenza durante gli anni dell’università, quando un giorno capitai in una spiaggia dove era morto annegato un ragazzo, il cui cadavere veniva portato sulla battigia. Davanti a quel corpo mi resi conto che sebbene avessi il massimo dei voti in tutte le materie, le mie competenze non erano sufficienti, perché a livello pratico non sapevo fare nulla, ero incapace a muovere un dito e mi sentivo profondamente inutile. In quella circostanza capì che l’emergenza fa parte dell’essere medici e fu così che decisi di iniziare a fare volontariato presso il Pronto Soccorso del Cardarelli di Napoli (con una media di 900 accessi al giorno) per approcciarci a tutti i casi più gravi e capire come comportarsi. In questo modo prese forma una vocazione naturale e mai mi sarei immaginato che la vita, per uno strano percorso di coincidenze sottili, mi ripresentasse drammi terrificanti colpendo persone a me molto care».
Paradossalmente il dolore per delle perdite così forti l’ha aiutata a tirare fuori il meglio di sé.
«Sì, mio padre morì cadendo a terra, a quattrocento metri dal Santissima Annunziata: all’epoca non c’era il 118 e venne soccorso con un’ambulanza dei vigili del fuoco in cui non funzionava nemmeno l’ossigeno. Per questo gli feci una promessa: mi sarei impegnato affinché non capitasse più a nessun altro ciò che era accaduto a lui. Oggi posso dire che quella promessa l’ho mantenuta, la vita mi ha permesso di costruire il 118 di Taranto, che attualmente mantiene una media dell’8,5% dei dimessi vivi senza esiti neurologici invalidanti, su una media mondiale del 7,5%: persone che sono andate in arresto cardiaco diventando cadaveri, i cui cuori sono ripartiti a seguito di manovre rianimatorie, si sono risvegliati e sono tornati a casa».
Una volta diventato direttore del 118 di Taranto, si sarà trovato sicuramente, di fronte a una realtà molto difficile da gestire: quali sono le difficoltà maggiori con cui si è scontrato?
«La cosa peggiore che ho trovato è la mentalità, fiera di un concetto: la divisione fa la debolezza. Esatto contrario di quello che ci hanno insegnato i nostri padri e in cui abbiamo sempre creduto, che l’unione fa la forza. Purtroppo a Taranto mi sono scontrato con una realtà in cui dominano strategie di contrapposizione innaturali, invidia e gelosia che prendono di mira ciò che funziona meglio per abbatterlo. Di positivo c’è che, invece, ho trovato una squadra di operatori che si è resa subito disponibile ad accogliere e sviluppare ogni idea, collaborando per il bene collettivo. Il segreto sta nel prestare la giusta attenzione alle persone e ai valori profondi da condividere, nel nostro caso, sta nel porre sempre al primo piano l’ammalato. Questo è un messaggio che la mia squadra ha ben assimilato, ecco perché il nostro 118 funziona».
Lei è promotore di una proposta di legge volta all’istituzione dell’insegnamento obbligatorio del massaggio cardiaco nelle scuole: cosa prevede esattamente?
«Da quella proposta sono nati due disegni di legge bipartisan che hanno mutuato perfettamente il testo della legge, ma in cinque anni non si è mosso nulla a causa delle ristrettezze economiche, perciò abbiamo deciso di buttare il 99% della proposta e prendere solo l’1% , indispensabile e determinante: l’insegnamento obbligatorio del massaggio cardiaco. L’obiettivo è quello di istituire dei mini corsi di due ore, a costo zero per lo Stato, in cui medici e infermieri del 118 formano, in un solo giorno, tutti i professori di educazione fisica delle scuole medie e superiori; verrà rilasciato loro un attestato e così potranno insegnarlo ai loro alunni».
Quali saranno le prossime mosse per concretizzare definitivamente il progetto?
«Cercheremo di incontrare i Presidenti di Camera e Senato e i presidenti delle commissioni di sanità, pubblica istruzione e affari sociali: verranno invitati a dicembre nell’Aula Magna della Sapienza di Roma, dove ci saranno tutti i vertici universitari di medicina, scienze infermieristiche, biologia e farmacia, con la federazione dei medici di medicina generale. L’obiettivo ultimo è raggiungere Napolitano che attraverso il DPR (decreto del presidente della Repubblica) può decretare l’obbligo dell’insegnamento del massaggio cardiaco. Resta solo da chiedersi: perché quello che in tutto il mondo viene considerato ovvio, per noi rappresenta l’ennesima fatica di Ercole? O di Sisifo, a seconda dei gusti».
La prassi prevede iter burocratici lunghissimi e numerosi organi e istituzioni da interpellare, ma il vostro appello si sarà rivolto anche al popolo e ai giovani: come hanno risposto a tutto questo?
«I giovani sono tutti con noi e c’è una fortissima adesione popolare. Il problema è che davanti a una persona in arresto cardiaco, la gente ha paura e non riesce nemmeno a toccarla: ma non si può aspettare circa 15 minuti, senza massaggio cardiaco, in attesa che arrivi un’ambulanza. La nostra proposta si chiama “Due mani sul torace”: vogliamo consegnare a sessanta milioni di persone una possibilità di salvezza, su 60 mila, possiamo salvarne 20 mila, e se tra queste ci sei anche tu?».
Il suo forte attaccamento alla vita si intreccia inevitabilmente con la sua professione, ma l’ha portata a creare anche un sito internet: “Un messaggio per la vita”. Cosa si sente di comunicare attraverso questa finestra sul mondo?
«La vita nasce per vivere e per volersi bene, anche perché dura sempre così poco rispetto ai nostri sogni. La morte colpisce in qualunque momento e a qualsiasi età, ecco perché la vita è un atto di umiltà, un dono: abbiamo poco da portare via, ma tantissimo da lasciare a chi rimane dopo di noi. Il mio attaccamento alla vita non è un esorcizzare la morte, ma comprenderla. Io la morte la vedo dietro di me e non davanti: il tempo che ci rimane è l’unico bene per il quale ha un senso dare tutto. Ho parlato con persone consapevoli che stavano per morire e nessuno in punto di morte ha mai rimpianto un conto in banca, né la perdita di una posizione sociale: quando un uomo muore, inizia a sentire freddo e gli si appanna la vista: in quel momento chiederà soltanto il viso e il contatto delle persone che ama. Al primo posto bisogna mettere i sentimenti e le persone che si amano, tutto il resto viene dopo».
Lei parla e scrive di un vivere agitato e tormentato tra mille impegni che ci porta a dare poco valore alla vita.
«Siamo presi da una frenesia ‘afinalistica’(termine che non esiste sul vocabolario) e inseguiamo obiettivi e mete che in realtà non esistono».
O perlomeno sono effimere.
«Sì, si tratta di un fine effimero e illusorio, perché siamo convinti di raggiungere traguardi che non corrispondono mai alla nostra felicità. Zygmunt Bauman, filosofo e sociologo, dimostra come il 95% di tutto ciò che può rendere felice un uomo non sia in vendita, non si compra. Il collasso del vuoto di senso. Abbiamo la possibilità di recuperare qualcosa che non siamo convinti di avere, abbiamo un “pieno” eppure siamo perennemente concentrati e ossessionati dal “vuoto”, ci sentiamo carenti di qualcosa, mentre abbiamo già tutto dentro di noi: bisogna solo sfruttarlo».
Spesso accade che proprio nei momenti in cui cerchiamo di riprendere in mano la nostra vita, questa cambia repentinamente e si ripresenta qualche disgrazia in grado di destabilizzarci nuovamente: lei come reagisce nei momenti di sconforto? Il suo amore per la vita entra un po’ in discussione?
«Il mio crollo è ancora peggiore, perché non sono le idee che crollano davanti a me, ma sono io che crollo davanti alle idee. C’è un paradosso nella mia vita: nei momenti peggiori, vivo il dramma, non perché mi sento tradito dalla vita, ma perché sono io a sentirmi un traditore della vita, faccio i conti con il mio vuoto e non mi sento più all’altezza delle mie idee. Nemmeno la tragedia più immane che ho vissuto ha scalfito minimamente la mia fede nella vita, per questo mi sento molto fortunato: è come se la vita avesse messo radici più forti in me, al di là di me stesso».
Nel suo sito c’è un’altra sezione molto importante, dedicata ai giovani: ‘Un messaggio per non morire’.
«Sì, è un messaggio attraverso il quale cerco di spiegare ai ragazzi che devono portare la pelle a casa, devono tornare vivi dopo le loro uscite nella notte. Penso che i giovani di oggi siano violentati: abbiamo presentato loro un conto che è la cifra della nostra follia e insensatezza e stiamo consegnando una realtà priva di aspettative credibili, distruggendo la possibilità che questi ragazzi possano avere una vita armonica che consenta di sviluppare e inseguire i sogni che meritano. Siamo stati grandi traditori dei giovani: i ragazzi sono soli perché non hanno modelli di riferimento, li abbiamo riempiti di parole interessanti, ma vuote, perché siamo assenti, troppo impegnati altrove. Non c’è peggior torto che la nostra assenza: siamo insipidi, evanescenti. Se fossimo modelli negativi, i ragazzi si svilupperebbero in positivo, ma siamo fantasmi e come tali si comportano i giovani».
Non vorrei sembrare cinica, però è anche vero che a volte le mancanze degli adulti diventano un luogo comune dietro il quale nascondersi e giustificare le proprie inettitudini, senza fare nulla per cambiare la situazione.
«Sì, è vero, l’analisi è incompleta se non si considera una certa corresponsabilità. Noi adulti abbiamo un peso maggiore, ma se i giovani hanno voluto fare sfoggio di qualunquismo, nichilismo e indifferenza, lasciandosi trasportare dalla corrente senza sentire l’orgoglio e il diritto di darci una lezione, evidentemente non protestano abbastanza nei nostri confronti. Io sono preoccupato, perché i giovani non gridano, la maggior parte è anestetizzata, persa nel vuoto. Come 118 vado a prenderli io da una strada quando si spengono, vedo con i miei occhi le conseguenze più nefaste e davanti ad ogni cadavere si realizza un fallimento infinito. Abbiamo fallito noi e ha fallito quella vita spezzata, perché esiste un libero arbitrio e questo poteva dargli la possibilità di uno scatto di orgoglio, ribellandosi alla follia».
Possiamo dire che il connubio tra la medicina e la poesia rappresenta il suo status symbol, ciò che più la caratterizza?
«Il poeta nasce da tumulti dell’anima impetuosi, come onde più alte di me. Nella mia personale polemica d’amore nei confronti della vita, per quella strana storia che si chiama ‘morte’, il poeta ha animato anche il medico. Il poeta, innamorato e incantato dalla vita, ha ritenuto una ferita orribile il morire e per questo ha creato il medico».