Deputati, consiglieri regionali, cittadini e sindaci si sono mobilitati per un Piano di riordino costruito dal basso e la regione Puglia ha approvato una nuova organizzazione della sanità. L’area di Taranto avrà il suo Polo oncologico: ma oltre a curare i malati il governo centrale agisca per decarbonizzare l’Ilva
Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, è ancora più bello ammirare il cielo e il mare di Taranto, belli e tersi come apparsero agli occhi di Falanto al suo sbarco a Saturo…
E’ così che avrei voluto iniziare quest’articolo, continuando con il racconto di un popolo sereno e operoso che rivive gli splendori di una provincia fra le più belle e sane d’Italia.
Non posso. Ascolto le storie dei tarantini, le notizie che provengono dal mondo politico e tutto mi riporta a una visione drammatica della realtà di Taranto e del suo futuro. Così mi ritrovo a raccontare ancora dell’ILVA. Extra ne aveva già parlato nel numero 21 del maggio scorso, con la storia e la disamina di questo stabilimento siderurgico, definendolo “Fabbrica di voti, fabbrica di morte”.
Perché a Taranto e nella sua provincia ci si continua ad ammalare e morire di cancro e d’incidenti sul lavoro e le cause sono ancora da imputare sostanzialmente all’ILVA. Questo inferno continua a richiedere un tributo crescente di vite umane. Nulla è cambiato. Solo numeri che si susseguono freneticamente: quello dei decreti salva-ILVA, l’incremento percentuale dei bambini malati e deceduti, il fatturato ILVA, le cifre necessarie al risanamento del danno ambientale stimato in 5 miliardi, l’ammontare dell’importo offerto per l’acquisto della fabbrica e quello promesso alla sanità tarantina ormai al collasso. Un turbinio di dati freddi e schematici.
A noi cittadini nulla è consentito in merito se non assistere passivamente e palesare il nostro dissenso. Eppure i bambini continuano a morire. Piccoli angeli colpevoli di essere nati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Perché è questo che più volte i nostri vecchi e nuovi governanti hanno voluto farci intendere. Come se a Taranto fosse sempre possibile scegliere se vivere in Via Lisippo, in abitazioni preesistenti all’ILVA e a ridosso della fabbrica, o in una magnifica villa con affaccio sul mare Ionio.
In totale continuità, i governi cambiano ma nulla cambia nel modo di affrontare questa sciagura sociale e ambientale. Gli amministratori locali, regionali, centrali continuano il macabro gioco del rimpallo delle responsabilità e delle soluzioni ma, di fatto, ILVA resta una fabbrica di voti, una fabbrica di morte. Taranto e il suo lungo elenco di decessi sono divenuti una consuetudine nella vita degli italiani così come i bombardamenti nel Medio Oriente, le guerre e le catastrofi naturali. La morte è uguale per tutti così come lo sono bambini di tutto il mondo, anche se il numero di quelli morti per mano dell’uomo supera abbondantemente quello dei deceduti per cause o eventi naturali. Che distinzione può esserci fra un bimbo di Taranto malato di cancro e uno siriano gravemente ferito da un bombardamento?
I cittadini dell’area ionica, in totale abbandono, vivono dibattuti fra il lavoro, la propria incolumità, quella dei propri cari e il futuro di Taranto. Figli della stessa terra gli uni contro gli altri fra chi vorrebbe la chiusura dell’ILVA, chi ne auspicherebbe l’adeguamento ambientale e chi chiede la tutela del lavoro, sapendo che nessuno di loro potrà mai scegliere.
A Taranto, il Vento del Nord costringe i suoi abitanti a subire l’aggressione di veleni e polveri sottili provenienti dallo stabilimento. Con essi, è quasi impossibile non pensare all’odore acre di altri forni del passato.
Gli interessi politici ed economici che gravitano attorno all’ILVA sono troppo alti perché i nostri governanti possano posporli alla salute dei cittadini e del territorio. Ognuno di loro ha puntualmente ignorato d’imporre le prescrizioni comunitarie atte alla bonifica ambientale e ha contrastato la magistratura nel suo percorso di tutela della salute pubblica. Al contrario tutti s’ingegnano a tutelare la fabbrica così com’è. I decreti salva-ILVA ne sono la lapalissiana espressione e, con loro, le innumerevoli promesse di salvezza dispensate con la stessa semplicità impiegata a non mantenerle.
L’attuale governo centrale aveva espressamente garantito un contributo di 50 milioni di euro, in deroga al decreto ministeriale 70, per finanziare l’assunzione di personale sanitario, l’acquisto di attrezzature medicali, le riconversioni ospedaliere, tali da dare inizio a un’azione mirata a fronteggiare gli effetti dell’inquinamento dell’ILVA sulla salute della popolazione ionica. Il primo intervento governativo realmente dedicato alla città e non all’ILVA. Questo lasciava presagire un andamento favorevole alla soluzione della grave emergenza sanitaria avvallata dagli esiti di uno studio epidemiologico, commissionato dalla Regione Puglia, sugli effetti sui cittadini di Taranto alle esposizioni ambientali.
Al peggio non c’è mai fine e, come se i tarantini meritassero anche questa ennesima umiliazione, la commissione Bilancio ha bocciato la misura a favore di Taranto perché troppo specifica e destinata a un’area eccessivamente ristretta. Le reazioni non hanno tardato a manifestarsi tanto da coinvolgere il Governatore pugliese Michele Emiliano, vistosi personalmente attaccato dal governo centrale. Che sia stato un fraintendimento, una cattiva interpretazione delle promesse o l’esito del rapporto politico turbolento che, da sempre, intercorre fra Emiliano e il premier Renzi, i 50 milioni su cui contava Taranto non saranno più destinati alla Città dei Due Mari. Il governo regionale ha prontamente risposto con l’approvazione del Piano di Riordino Ospedaliero definitivo, stanziando 30 milioni di euro necessari a interventi di edilizia e infrastrutturazione tecnologica, funzionali alla realizzazione del Polo Oncologico, portando, così, il numero dei posti letto nell'intera Asl da 884 a 1081. Un intervento atteso già da molto tempo il cui ritardo offriva un’opportunità al governo per non intervenire in merito al risanamento della sanità pugliese.
Così come Alessandro Manzoni la cita per incoraggiare Renzo e Lucia nel loro tormentato rapporto, la Provvidenza, questa volta, oltre al Piano di Riordino Ospedaliero, è intervenuta a mezzo del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi che, durante il suo appuntamento sui social, #Matteorisponde, ha annunciato pubblicamente: “In queste ore si è conclusa la negoziazione tra la famiglia Riva e Ilva e oltre 1 miliardo arriveranno dalla famiglia Riva come compensazione grazie al lavoro di tutte le autorità. Questi soldi, alla fine quasi 1,3 miliardi, saranno una compensazione che andrà a risanare Taranto e l'Ilva”.
Quest’ultima notizia avrebbe dovuto sortire una reazione entusiastica ma, nella realtà, è stata accolta con grande scetticismo. I capitali della famiglia Riva non sono immediatamente disponibili perché interessati da un procedimento di riscossione per debiti fiscali. Ciò che ha ingenerato ulteriore perplessità è che questa sequenza di annunci favorevoli per Taranto, sia stata diffusa a pochi giorni di distanza dal referendum costituzionale di vitale importanza per l’attuale governo. Perché non prima? Il timore legittimo è che tutto sia strettamente connesso all’esito referendario.
Se è stato così complesso destinare 50 milioni di euro, come sarà possibile farlo per oltre un miliardo? Non possiamo che confidare nelle capacità dei nostri governanti ma, a giudicare degli esiti passati e della realtà presente nella provincia di Taranto, ci sarà consentito dubitarne. Sarebbe stato bello terminare quest’articolo con “e i tarantini vissero felici e contenti” come nelle fiabe a lieto fine. Ma questa è realtà e, esaminando i dati di quella martoriata parte d’Italia, alla fine di ogni giorno, di lieto c’è ben poco.
Chiedetelo ai malati oncologici di Taranto che, diversamente, vivrebbero felici e contenti.