Avvocato, come mai ha scelto di specializzarsi in questo ramo del Diritto civile?
“Esercito la professione di Avvocato dal 1992 ma da vent’anni a questa parte mi occupo esclusivamente di problematiche inerenti il diritto di famiglia e minorile, spinto sin dall'inizio da una particolare sensibilità e passione nell'affrontare tematiche giuridiche che vedevano coinvolti i bambini, spesso vittime inconsapevoli dei conflitti o dei disagi genitoriali.
Ho avuto l’opportunità di operare nel periodo sia antecedente che successivo alla Legge di riforma n.54 del 2006, in materia di separazione ed affidamento dei figli, che ha sancito l’introduzione nel nostro ordinamento, ahimè solo sulla carta, dell’istituto dell’affido condiviso e del principio della bi-genitorialità.”
Ritiene che questa Legge sia stata male applicata e non abbia quindi risolto la problematica relativa a una equa e corretta gestione del rapporto del minore con il padre e la madre?
“Proprio così, esattamente! Ricordo bene quel periodo in cui sia l’opinione pubblica che noi addetti ai lavori riponevamo in quella riforma grandi aspettative, quasi come se si trattasse di una panacea a tutti le problematiche annesse alla gestione dei figli che, fino a quel momento, venivano quasi sempre affidati alle madri, relegando il padre a un ruolo marginale. Ci si attendeva, quindi, attraverso l’introduzione dell’istituto dell’affidamento condiviso, una diversa e più equilibrata partecipazione di entrambi i genitori alla vita dei loro figli. Nella sostanza, purtroppo, nulla di tutto ciò è accaduto dal momento che, di fatto, a distanza di 13 anni dall'entrata in vigore della riforma, i minori continuano a essere collocati presso l’abitazione di uno dei due genitori (prevalentemente la madre) con l'inalterata e marginale possibilità per l’altro di esercitare il diritto di visita negli stessi tempi e modi in cui veniva esercitato ante-riforma! A tal proposito mi viene in mente l’esempio del barattolo a cui viene cambiata l’etichetta conservandone il contenuto!”.
Il disegno di legge Pillon sulle norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità è al centro di discussioni dallo scorso mese di agosto, quando è stata presentata. Qual è la sua opinione a proposito?
“Il disegno di legge Pillon ha avuto l’enorme merito di riaccendere i riflettori sulla problematica inerente la mancata applicazione dell'istituto dell'affido condiviso, ispirato al principio di bi-genitorialità. Detto questo, tuttavia, entrando nel merito della proposta legislativa, la stessa, a mio parere, presenta delle criticità che la rendono per molti versi inapplicabile ed, in ogni caso, non idonea a tutelare gli interessi ed il far bisogno dei minori.
E' necessario porre dei correttivi ad alcun istituti previsti all'interno della riforma, quali il mantenimento diretto, la mediazione obbligatoria e i tempi paritetici di affidamento dei minori, ciò in quanto gli stessi, cosi come previsti, non tengono conto della realtà in cui vive la stragrande maggioranza delle famiglie italiane nei confronti delle quali una tale riforma sarebbe inapplicabile.
Rendere la mediazione familiare obbligatoria, poi, risulterebbe del tutto fallimentare, ciò in quanto verrebbe snaturato il principio su cui la stessa si fonda, ossia la spontaneità.
Sono invece del parere che, affinché la mediazione porti i risultati sperati, è necessario incentivarla e potenziarla attraverso corsi di formazione qualificati per gli aspiranti mediatori, la cui professionalità e specializzazione acquisita può risultare di reale supporto alle coppie che, in ogni caso spontaneamente, decidano di affidarsi a dette figure professionali per appianare i propri contrasti familiari. Di tutto ciò ho avuto modo di parlarne personalmente con il Ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, con il quale abbiamo convenuto circa la necessità di assicurare ad entrambi i genitori pari dignità nel crescere ed educare i propri figli”.
Quali sono, a suo parere, le qualità di cui deve essere dotato un buon avvocato familiarista?
“Innanzitutto la capacità di ascolto; è fondamentale saper instaurare un contatto empatico, ancor prima che professionale, con il proprio cliente che, si badi bene, è una persona che, in quel momento, vive un profondo disagio emotivo e che ripone nel suo avvocato le proprie speranze di un futuro sereno per sé e per i propri figli; saperlo ascoltare e supportare umanamente, saper entrare nella sua vita privata con tatto e discrezione risulta di fondamentale importanza per l'instaurazione di un proficuo rapporto professionale, caratterizzato dalla stima e fiducia reciproca”.
Lei, avvocato, viaggia spesso per lavoro. Trova differenze nello svolgimento e nella gestione dei processi in materia di diritto di famiglia tra un Tribunale e un altro in Italia?
“Purtroppo sì, le differenze ci sono e spesso sono evidenti; carenza di organico, rotazione di magistrati all'interno delle sezioni, mancanza di spazi idonei che tutelino la privacy dell'utenza, fanno sì che in molti Tribunali operanti nel nostro Paese il diritto di famiglia venga trattato in maniera non adeguata e consona all'importanza che merita.
Basti pensare, ad esempio, ai molteplici metodi adottati dai Tribunali per procedere all'ascolto del minore; essi variano da sede a sede e non sempre nel rispetto dei diritti e delle garanzie di chi viene ascoltato e di chi, poi, è chiamato a valutare le risultanze di detto ascolto.
Andrebbero, a mio avviso, uniformate le prassi e i protocolli inerenti lo svolgimento dei processi ordinari e minorili perché non ritengo giusto discriminare i cittadini a seconda della prassi adottata dal Tribunale di turno presso cui sono giudicati”.
Lei è presidente nazionale del Centro Studi “Familia”. Di cosa si occupa esattamente la sua associazione?
“Svolgiamo da diversi anni attività di ricerca, formativa ed informativa in tutta Italia, organizzando seminari, convegni, progetti scolastici in cui trattiamo argomenti che spaziano dal Cyberbullismo allo stalking, dalla violenza di genere agli abusi sui minori, il tutto per tenere sempre desta l'attenzione dell'opinione pubblica su tutte le problematiche che investono l'universo famiglia e che, a volte, purtroppo, sfociano in vere e proprie tragedie”.
A proposito, come valuta le recenti Sentenze che hanno visto due colpevoli reo confessi di femminicidio vedersi applicata un ingente sconto di pena in quanto riconosciute loro le attenuanti che tanto ricordano il vecchio delitto d'onore?
“Ritengo del tutto comprensibile il malcontento diffuso tra la gente a seguito delle due Sentenze da lei richiamate e che si sono succedute a breve distanza l'una dall'altra.
A volte si ha l'impressione che lo Stato tuteli maggiormente il carnefice piuttosto che la sua vittima e ciò è il frutto di un sistema legislativo fin troppo permissivo ed indulgente verso chi si macchia di delitti così efferati.
Mi è capitato in più di una circostanza d'imbattermi in vittime di violenza che indugiavano a sporgere denuncia in quanto pervase da un senso di diffidenza nelle Istituzioni e non nascondo le difficoltà e le resistenze che ho affrontato nel convincerle ad avere fiducia nell'operato delle forze di polizia e della magistratura, spiegando loro che il silenzio non paga, anzi, accresce il pericolo di subire ulteriori e più gravi violenze. Resto, pertanto, dell'idea che occorra denunciare sempre e comunque, anche se, a volte, la pena comminata non risponde alle aspettative di giustizia”.
Cosa le procura maggiore soddisfazione dal suo lavoro?
“Senza alcun dubbio, il sentimento di gratitudine manifestatomi da chi ho assistito, anche a distanza di anni! Veder tornare il sorriso a una nonna che ha potuto riabbracciare il nipote a lungo negatole, vedere la felicità negli occhi lucidi di due genitori nel comunicargli la notizia del rientro del loro figlio a casa dopo essere stato “ospite” di una casa famiglia, ricevere parole di ringraziamento da parte di una coppia accompagnata in un percorso di separazione consensuale, rappresentano per me tanti piccoli frammenti di felicità che mi ripagano dalle fatiche fisiche e mentali derivanti dai continui viaggi e soggiorni, non sempre agevoli, affrontati per presenziare personalmente alle udienze e dal tempo che, purtroppo, sottraggo ai miei affetti”.
Per concludere: qual è, o meglio, quale dovrebbe essere il ruolo dell'avvocato all'interno di un conflitto familiare?
“L'avvocato riveste un ruolo determinante. La sua capacità persuasiva, accompagnata dalla conoscenza della materia e dall'esperienza accumulata negli anni, può contenere sensibilmente l'animosità, la rabbia, il senso di frustrazione e quant'altro di negativo affolla la mente del proprio cliente, verso il quale non bisogna avere timore a dire “no”! Spesso, e lo si riscontra principalmente tra i giovani colleghi, vi è l'attitudine ad “assecondare” il proprio cliente ma, in realtà, così facendo, si altera ancor di più il suo stato emotivo finendo non solo col pregiudicare irrimediabilmente l'esito del contenzioso ma, cosa ben più grave, con l'assistere impotenti al compimento di atti inconsulti ed illeciti posti in essere da una mente annebbiata verso la quale il proprio avvocato non è stato capace di dire...no! Occorre quindi che l'avvocato sia conscio delle enormi responsabilità che il suo ruolo gli impone nei confronti del suo cliente e che, pertanto, abbia una preparazione adeguata e approfondita della materia unita a un'esperienza maturata all'interno di uno studio legale specializzato. Solo così si riesce a rappresentare e assistere adeguatamente il proprio assistito, a tutelare eventualmente gli interessi di un suo figlio e, perché no, in certi casi a salvare la vita di chi gli sta vicino”.
L’avvocato Lorenzo Iacobbi è presidente del Centro Studi “Familia” e si occupa di Diritto di famiglia e tutela dei minori. Per info e contatti www.studiolegaleiacobbi.com