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LA MIA TAZZA VEGANA/GUERRA ALLA PLASTICA: È DAVVERO NEMICA DEL PIANETA?

Pubblicato da: Categoria: LA MIA TAZZA VEGANA

27
NOV
2018

Bari. Siamo in un bar del centro. E seduti al tavolo posto sul marciapiede, tra le auto, lo smog e il via vai della gente ci sono un giovane papà e suo figlio di circa dieci anni.
Il cameriere, avvicinandosi per la comanda chiede loro: “cosa prendete”?
E il papà risponde: “un succo d’arancia, grazie. Ma senza cannuccia! Noi stiamo cercando di ridurre la plastica nel mondo”.
Rinunciare alla cannuccia al bar, può contribuire davvero a ridurre la presenza di plastica usa e getta sul pianeta? Può realmente essere sufficiente? O puro eccesso di zelo?
E’ stata la domanda che mi sono posta in quel momento, osservandoli. Osservando un padre e un figlio e le regole e il senso civico che gli vengono insegnate. Ma, soprattutto, in quell’istante ho cominciato a vedere la plastica come una “persona” ormai additata da tutti. E mi sono chiesta: “(plastica) chi sei tu davvero?”
La plastica moderna, quella che deriva dal petrolio, è ben diversa dalla plastica delle origini. All’inizio, per realizzare alcuni oggetti c’erano di mezzo sempre loro: gli animali.
Nel 1860 il gioco più diffuso era il biliardo, le cui palline erano fatte di avorio, ricavate dalle zanne degli elefanti. Per ridurre il costo di produzione e col tentativo di diminuire l’uccisione degli elefanti, una fabbrica di New York offrì denaro a chiunque avesse proposto una valida alternativa all’avorio; nacque così - dai primi tentativi - la celluloide, la prima plastica artificiale, composta da canfora, cioè una cera naturale, azoto e cellulosa.
Per ottenere la prima plastica sintetica, senza l’impiego di sostanze naturali, abbiamo dovuto aspettare il 1907, quando Leo Baekeland inventò la bachelite, composta da fenolo e formaldeide, una plastica termoindurente che diventava dura col calore.
Da quel momento in poi i tentativi di creare materiali plastici col petrolio galopparono veloci. Si inventò il polietilene, il nylon, il moplen che diede a Giulio Natta nel 1954 il premio Nobel.
Se da un lato la plastica ha aiutato a migliorare la vita di ognuno in termini di praticità e velocità, impiegandola nella realizzazione di beni di primo consumo, dall’altro - silenziosamente - la plastica si è imposta al mondo come indispensabile, ma nociva.
Una sorta di droga a cui non sappiamo rinunciare, ma di cui dovremmo farne a meno se vogliamo sopravvivere.
Perché mai è cosi dannosa? perché quel giovane papà lotta contro le cannucce di plastica e incita il figlio a fare altrettanto?
Purtroppo plastica, petrolio e metano vanno a braccetto. La plastica di per sé non è un materiale biodegradabile ed è fonte di inquinamento per un suo cattivo smaltimento. Se da un lato tale problema si è risolto con le bioplastiche  - a minor impatto ambientale - dall’altro abbiamo creato nuovi problemi come il land grabbing, cioè la conversione di terreni destinati alla produzione alimentare in terreni industriali.
La plastica insomma è diventata a tal punto indispensabile nella nostra routine quotidiana che sarebbe difficile pensare a un oggetto che sia fatto con altri materiali. Se dico bottiglia, penso a quella di plastica e non di vetro. Se dico busta non penso a quella di stoffa, ma a quelle usa e getta. Di plastica per l’appunto.
E’ normale che sia presente nell’ambiente, dato che si degrada completamente solo dopo centinaia di anni. E, cosa peggiore, la plastica è entrata anche nella catena alimentare. In primo luogo nelle acque del rubinetto. Secondo la motivazione più plausibile dei ricercatori, perché le microplastiche in sospensione in atmosfera finiscano nei laghi e nei fiumi con la pioggia; ancora nel sale marino e nel pesce, come merluzzi, tonno, pesce spada, sgombri e crostacei.
Viviamo in un pianeta di plastica. Nel 2050 ne saremo sommersi. Aumenta e noi comodamente ce ne stiamo seduti sopra, sorseggiando il nostro succo d’arancia in un bicchiere usa e getta e con la cannuccia plastificata.



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