In maniera confusionaria (ma convinta) sto raccogliendo appunti e storie per una prossima pubblicazione. Approfittando dell’ospitalità di Extra, porgo omaggio alla martinesità con un estratto dal capitolo dedicato a un carissimo amico, Michele Carbotti, che si è reso protagonista di una bellissima avventura meritevole di essere conosciuta dai miei concittadini
Confesso che ho peccato, ci ho provato anch’io! Stufo della pasta col tonno che pretendo da mia moglie ogni santo sabato, ho ceduto alla tentazione del “food and glam” e ho navigato a vista in mezzo ai fornelli. Ho cucinato, con risultati “non disprezzabili”, gli spaghetti alla puttanesca suggeriti in uno dei tanti programmi di cucina. Tempo totale 15 minuti, compreso il pericolosissimo volteggio degli spaghetti in padella, un numero da circo per un incapace come me, che se avessi fallito avrebbe compromesso ogni futura aspirazione. Ce l’ho fatta e mi sono guadagnato il diritto ad un bel “selfie” su “feissbukk” che ormai è diventato vetrina globale per ogni minimo “fizzo” compiuto nella quotidianità. Inodore e insapore, l’immagine del cibo digitale circola alla velocità della luce alimentando il mito del buon cibo…. Quando sono in crisi di autostima mi basta spararmi le foto delle orecchiette con le cime di rape per ottenere non meno di 70 “mi piace”. Ma quand’è che la realtà si riappropria del senso vero della vita? In quale preciso istante si determinano le differenze di valori che rendono il mondo così vario e di conseguenza così bello? Beh, quando varcate la soglia di un ristorante, miei cari!!! è quello lo stargate da superare per entrare in un mondo di semi-dei vestiti di bianco che non sono infermieri qualunque, quelli ti curano l’anima. E così, in questo mio nomadismo perpetuo nella dimensione della martinesità, mi sono imbattuto nuovamente nella famigerata “saga dei Carbotti”, uno dei clan più prodighi in tema di bio-genetica murgese, già ospitata in un mio libro di qualche anno fa.
Eccoli, sono tornati massicciamente e pericolosamente alla carica. Dopo aver narrato le gesta mirabolanti dei “senior” Michelangelo & Ria, stavolta mi devo occupare dei figli che sono quattro e tutti dannatamente in gamba: mi toccherà scrivere un altro paio di libri per ospitarli tutti. Michele Carbotti, restaurant manager (l’equivalente del nostro direttore), oggi vive ed opera a Macao (Cina), ex colonia portoghese a vocazione monegasca che basa la sua fiorente economia sul turismo e i casinò, insieme alla splendida moglie Gita, indonesiana di Jakarta, e al piccolo Milo. Martinese di fatto e di genoma, fresco di istituto alberghiero, segue le orme professionali del fratello Andrea in quel di Montegridolfo (riviera riminese) dove lasciano un segno nel cuore dei nativi che vale quanto la mitica Z di Zorro: determinati per professionalità e caparbietà, serietà e ed empatia, insomma il kit completo del “martinese in trasferta”. Il destino, quatto quatto, sta imbastendo la storia di Michele: suo zio, il grande restaurant manager monopolitano Mr. Giorgio Matera, lo convoca a Manila (Filippine) dove imparerà cose meravigliose ed affinerà il suo inglese (che in questo lavoro è più importante di una chiave inglese per un tubista). I tempi sono maturi per lo sbarco a Londra, città cosmopolita per eccellenza, dove un restaurant manager italiano trova il terreno ideale per brillare di luce propria. Incontra Giorgio Locatelli: stella, ma che dico super-nova Michelin, lo chef delle grandi star (Madonna, la famiglia Beckham, Robbie Williams, solo per citarne alcuni) che lo imbarca nell’avventura dell’inaugurazione di un locale ad Atlantis-Dubai (l’isola artificiale a forma di palma) come head-sommelier. Quattrocento nomi del jet-set internazionale da Micheal Douglas alla stella NBA Michael Jordan, Janet Jackson…. e Dio solo sa chi altro c’era….. e come per le grandi sfilate di moda, il divo Locatelli si offre al suo pubblico dopo la cena, svolazza da un tavolo all’altro idolatrato dai celebri commensali e indovinate chi si tira appresso nel trionfale giro d’onore? Un giovane martinese, cazzuto come pochi, che teme di scoprire che è tutto un sogno e da un momento all’altro sentirà la sveglia delle sette di mattina riportarlo alla dura realtà. E invece è tutto vero….. come è autentico lo starnazzare di un signore “di una certa età, bassino, magro, col volto scavato….” - così lo ha identificato Michele - che acclamava “Giorgio! Giorgio!” con la stessa foga di un hooligan del calcio. Se Michele sapesse di rock’n’roll quanto ne sa di vino non avrebbe avuto esitazione a riconoscere una delle persone più influenti del mondo artistico (e non solo): cj cazz je cuss∂ cr∂stjèn∂? fu il suo pensiero più intimo tra le sinapsi che, come ogni vero martinese che si rispetti, elaborano l’impulso elettrico contemporaneamente in italiano e in lingua madre? Manco fosse mago Zurlì, quello gli legge nel pensiero e si presenta: nice to meet you, i’m Ronnie….. era Ronnie Wood, il mitico chitarrista dei Rolling Stones, roba da far tremare i polsi. Un ricordo indelebile che dimostra come i grandi chef siano ormai paragonabili alle rock star della famigerata Hall of Fame. Ma è anche un pensiero che sottolinea la globalità del messaggio che la cucina italiana porta in giro per il mondo, uno degli assi portanti del made in Italy che rende unico e prezioso il nostro popolo. Dubai entra sempre più nel cuore di Michele e non soltanto per i suoi grattacieli arditi che svettano in pieno deserto (il Buri Khalifa, una specie di astronave a forma di missile detiene il record mondiale coi suoi 828 metri), l’alta concentrazione di Ferrari e Lamborghini, le sedi delle grandi banche internazionali lastricate di marmi pregiati quanto per i progressi professionali che costellano quel periodo; e per quella incomprensibile e fulminante chimica che il genere umano suole chiamare amore….. forse il Cupido dei ristoratori non è come quello di noi comuni mortali, magari spara frecce a forma di forchetta, di sicuro è un grandissimo paraculo se ha deciso di tirare un’imboscata a due splendidi giovani completamente e reciprocamente ignari dell’esistenza dell’altro. Lei si chiama Gita, è una bellezza esotica che fa della semplicità orientale la sua arma letale e lavora in un ristorante francese non distante da quello dove lavora Michele. Lui la vede e la punta come certi bravissimi cani da ferma usano fare per segnalare la presenza di selvaggina. In quei momenti delicati non si agitano, non fanno casino, si autocontrollano: ciao bella! le disse lui ammiccando il corteggiamento discreto, quasi mantenendo un profilo basso. Non mi chiamo bella! rispose in italiano di collo destro al volo che si insacca nel sette la bella indonesiana. Nessun problema per Michele, da autentico ciuccio martinese non si perse d’animo anzi si invaghì ancora di più emettendo una sentenza d’amore inappellabile: tu verrai via con me. Fu un presagio: non solo di lì a poco formeranno una splendida coppia di sposi ma voleranno via, vero l’infinito e oltre come tuonava nei cartoni animati lo space ranger Buzz Lightyear. Michele Carbotti è uomo di ruvida terra carsica murgese che un po’ assomiglia ai soffocanti deserti rocciosi che accerchiano gli Emirati Arabi Uniti; sa perfettamente quanto sia difficile per un direttore di ristorante mettere radici in certi posti. Guidato da un istinto infallibile, Michele mette lo smoking in valigia, senza rimpianti, e coglie una splendida occasione come assistant restaurant manager all’hotel St. Regis di Singapore, che ha più stelle della confezione di un salame Negroni, dove collabora alla gestione de l’Angolo ristorante di cucina italiana. Singapore è tra le prime cinque cities finanziarie del pianeta e vanta un traffico di manager e turisti da capogiro a caccia di buona cucina italiana, la migliore del mondo diciamocelo tra pochi intimi. Avete presente quei vecchi film sulla guerra fredda i cui agenti dormienti russi residenti sul suolo americano vengono risvegliati da una telefonata in codice? Beh per Michele Carbotti ha funzionato così: le parole orecchiette e polpette hanno acceso l’interruttore giusto per il martinese in trasferta. Convoca da Martina Franca il papà-sommelier Michelangelo e Mamma Ria, cuoca di cucina pugliese da sballo, e inventa la Martina Night dedicata al nostro menù tipico. Un trionfo! La cucina tradizionale martinese del clan Carbotti, che già aveva fatto faville a Tokio con riconoscimenti ufficiali dell’Ambasciata Italiana e di membri autorevoli della famiglia imperiale, torna a colpire in oriente. Michele Carbotti aggiunge un altro tassello professionale al mosaico in progress della sua brillante carriera. Ma nel mondo scintillante della cucina internazionale non si può dormire sugli allori e occorre sapersi adeguare velocemente ai cambiamenti. Anche (e soprattutto) se dolorosi. E così quando la compagnia che gestisce il ristorante passa la mano ad un altro gruppo finanziario che ridisegna il progetto Michele capisce che i suoi spazi si restringono. Nemmeno il tempo di guardarsi intorno, arriva una chiamata da Macau, ex colonia dello sterminato impero coloniale portoghese e attuale provincia speciale della repubblica popolare cinese. Una metropoli in cui convivono con disinvoltura le meraviglie architettoniche cinesi, innesti massicci di gustoso barocco portoghese e scintillanti mega-casinò che fruttano un PIL dal gioco d’azzardo superiore a quello di Las Vegas! Insomma, una meta tra le più visitate nel ranking mondiale del turismo dove il livello della ristorazione è altissimo ma soprattutto globalizzato nel senso più estremo del termine. Che significa competizione serrata e costanza di rendimento verso un target spesso composto dalle griffes più in vista che fanno di Macao una vetrina privilegiata. Michele, che è un ragazzo molto intelligente, comprende i termini di questa nuova sfida: da martinese autentico quale sente di essere non ha paura di imporre la sua visione, spesso in controtendenza con la linea della casa madre. Dopo due anni di durissimo lavoro la sua costanza viene premiata. Il premio è quello più ambito, è la Champions League nel calcio, la Coppa Davis nel tennis, il mondiale di formula uno nell’automobilismo: è la Stella Michelin 2016. La Terrazza, italian restaurant di Macau viene insignito del prestigioso riconoscimento che premia tutti i fattori di successo di un ristorante, dalla cucina alla location, dallo stile del personale alla qualità degli ingredienti. Sembrerebbe una storia di successo come tante se non fosse per il fatto che è la storia di uno di noi, un martinese. Per Michele Carbotti la storia non cambia in qualunque punto del mappamondo si trovi: Martina numero uno, Martina la madre patria dove tutto comincia, Martina il posto dove tornare per ritrovare le radici. E quanto più se ne allontana tanto più la ama e rispetta. Ne volete una prova inconfutabile? Circa un mese fa il Ministero del Turismo assegna a La Terrazza un altro prestigioso riconoscimento: è l’MGTO best 1st Class Restaurant di Macau, cioè siete i migliori in uno dei posti migliori del mondo. Michele, che di questi successi è l’artefice, sa che gli toccherà lo speech (discorso di ringraziamento ufficiale) e consulta la famiglia, il verdetto è unanime! terminerà il suo discorso in perfetto inglese con una frase che non lascia alcun dubbio: Timp∂ e frasch∂ vól'a crèp ca u latt l'ha faj∂! In quella frase e in quell’immagine, evocate con orgoglio in un contesto così formale e importante, risiede la quintessenza della martinesità che in casi come questo significa tempra durissima e cervello lucidissimo, cuore e perseveranza.
P.S. a proposito Michele, quando passa a trovarti il tuo amico Erick Thoir, il presidente dell’Inter…. chiedigli se vuol comprare pure il Martina…..
P.P.S. il prossimo capitolo della saga dei Carbotti sarà dedicato ad Andrea, restaurant-manager a Singapore, per narrare dell’incontro professionale con Massimo Bottura che nel 2015 si è classificato miglior ristoratore italiano e secondo miglior ristoratore del mondo (!!!), non so se mi spiego?