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GIANFRANCO VITTI/Un detective nella Taranto Anni ‘50

Pubblicato da: Categoria: nuvolette

14
DIC
2017

Lui è uno dei fumettisti tarantini che ha partecipato alla mostra “Ilvarum Yaga”, iniziativa che ha raccolto fondi per i bambini del quartiere Tamburi. Ha appena pubblicato un volume che raccoglie e ristampa le prime due storie di Andrè Dupin, detective privato italo-francese, ambientate in una Taranto senza Ilva

Dopo la sua partecipazione al progetto “Ilvarum Yaga, 100 disegnatori contro la Strega Rossa” e alla vigilia di Taranto Comix, abbiamo incontrato il fumettista Gianfranco Vitti. Alla kermesse tarantina, in programma al Palamazzola i prossimi 16 e 17 dicembre, presenterà il volume edito da Lavieri che raccoglie le prime due storie del suo Andrè Dupin, detective privato franco-tarantino.

Chi è Gianfranco Vitti?
«Un ragazzo come tanti con la passione per il disegno ed il fumetto in particolare. Un inguaribile sognatore».

E Andrè Dupin? Com’è nata l’idea di un detective privato con padre francese e madre tarantina e perché hai pensato di ambientare le sue storie negli anni ‘50?
«È un’idea che ha radici molto lontane: il classico sogno nel cassetto che per una serie di circostanze si è tramutato in realtà. La mia passione per il genere noir ha partorito questa idea. L’ambientazione è semplicemente dovuta al fascino che hanno sempre suscitato in me i racconti dei miei genitori di una Taranto, quella degli anni ‘50, radicalmente diversa dall’attuale, più semplice e piena di umanità. A livello visivo le foto in bianco e nero dell’epoca hanno fatto il resto».

E quella di abbinare un’indagine ad ogni stagione?
«Quella delle stagioni, in realtà, è una idea partorita insieme a Fabrizio Liuzzi e Gabriele Benefico, successiva all’uscita di “Delitto d’autunno”, il primo episodio. Quattro indagini, una per ogni stagione, che dovrebbero costituire un ipotetico primo ciclo di storie del detective francese e della sua fedele assistente Agata».

Hai partecipato al progetto “Ilvarum Yaga, 100 disegnatori contro la Strega Rossa”, la mostra che ha raccolto fondi per acquistare libri destinati ai bambini del quartiere Tamburi, nell’ambito del progetto “Nati per leggere”.
Il documentario andato in onda il 30 agosto scorso su Raiuno “3x8 Cambioturno”, ha fatto arrabbiare molti tarantini. Si sono indignati per l’immagine che ha dato dell’Ilva: una fabbrica come un’altra, che dà lavoro a tanta gente. Qual è il tuo punto di vista?

«Difficile esprimere un giudizio sulla questione Ilva in poche parole. Diciamo che la mia partecipazione al progetto “Ilvarum Yaga” dovrebbe, da sola, far capire quale sia la mia posizione a riguardo».

Dupin opera in una Taranto dove l’industria siderurgica era ancora solo un’idea, un progetto. Ma, oggi, si può pensare ad una Taranto senza Ilva?
«Credo che sia un dovere pensarlo, ma il solo pensiero o impegno di pochi non potrà certo risolvere la questione. Il diritto al lavoro è sacrosanto ma solo se questo diritto garantisce tutti gli altri diritti, in primis quello alla salute di chi ci lavora e di tutti i cittadini tarantini».

È appena uscito il volume, edito da Lavieri, che raccoglie e ristampa le prime due indagini di Dupin: “Delitto d’autunno”, vincitore del Lucca Project Contest nel 2012, e “Fantasmi dal passato”, una storia a colori che racconta il suo arrivo a Taranto per la prima volta. A breve vedremo ristampato anche “Un torrido inganno” (ambientato nella stagione calda) e poi l’inedito “Freddo come la neve” , al quale stai lavorando attualmente. E l’ultimo capitolo?  Vedremo anche un Dupin che risolve un caso in primavera?
«La nostra speranza è che la vita editoriale di Dupin possa proseguire il più a lungo possibile: le idee non mancano ma ovviamente tutto è legato al mero riscontro delle vendite».

Da bambino, quali fumetti leggevi? C’è un fumettista a cui ti ispiri?
«Da bambino leggevo di tutto: da Topolino a Tex, Dylan Dog, Zagor, Nathan Never, Nick Raider, Ken Parker, e potrei citarne altri. Non sono mai stato attratto dal fumetto supereroistico -si dice così?- per un mio personale interesse verso un disegno più... intimista. I fumettisti che mi hanno influenzato sono tanti, ed ognuno di loro ha contribuito a rendere il mio stile quello attuale. Comunque credo che non si finisca mai di cambiare, evolversi, sperimentare. È un normale processo di crescita che tutti i disegnatori faticosamente intraprendono».

Quando ti presenti come fumettista, ti è mai capitato di incontrare qualcuno che crede che tu stia scherzando, e magari pensa: «no, non può essere un vero lavoro»...
«Tutta la gente che non lavora in questo ambito ti guarda quasi come se fossi una figura mitologica. Il lettore appassionato, invece, sa quanto impegno comporta mettere su carta una storia a fumetti, ed è grazie a loro che noi troviamo la voglia di raccontare attraverso le immagini le nostre storie».

Ci racconti qual è il tuo metodo di lavoro? Partendo dall’idea, alla scrittura del soggetto, alla stesura della sceneggiatura, arrivando alla tavola finita...
«Sono un disegnatore di “vecchia scuola”, anche se in realtà non ho mai frequentato una scuola di fumetto; mi piace ancora usare la carta, le matite, con tutte le problematiche che questi strumenti ancora comportano, a discapito delle nuove tecnologie che indubbiamente semplificano la vita del disegnatore, ma rendono il lavoro -a mio parere- freddo e meccanico. Se si tratta di cimentarmi in una storia completamente ideata da me procedo direttamente col disegnare gli storyboard studiando nel migliore dei modi possibili la regia delle scene. La grossa differenza che c’è tra un disegnatore e uno sceneggiatore è che il primo ragiona per immagini ed il secondo per concetti, quindi l’approccio in quel caso è più vincolante. Trovo utile fare delle lunghe ricerche riguardo agli ambienti, costumi, per poi passare agli studi veri e propri dedicando molto tempo alla caratterizzazione grafica dei personaggi. Diciamo che il lavoro di pre-produzione è lungo e meticoloso, ma serve a semplificare il lavoro una volta presa la matita in mano».

Al di là del fumetto, cos’è che ti appassiona?
«Tantissime cose... ma, ahimè, il tempo a disposizione è davvero poco. Amo leggere: sono un divoratore di libri. A questa passione dedico una mezz’ora al giorno prima di addormentarmi. Il cinema è un’altra mia grande passione. Non a caso la mia tesi di laurea è stata sulla regia cinematografica. Se potessi, andrei a cinema ogni settimana. Infine, amo gli sport che da ragazzino praticavo assiduamente: calcio e tennis. Oggi lo faccio molto meno assiduamente, ma sempre con grande piacere».

Se tuo figlio volesse diventare un fumettista come il papà, cosa gli diresti?
«Credo che il ruolo di genitore sia quello di accompagnare i figli per la loro strada; inseguire i propri sogni è il percorso più difficile ma anche il più affascinante che un ragazzo possa intraprendere. L’importante è che lui faccia qualcosa in cui crede davvero, che sia il disegnatore o il meccanico, non ha molta importanza».

Oltre Dupin, a cosa lavori attualmente?
«Grazie a Lavieri, sono a lavoro su di un altro progetto scritto a quattro mani con Gaia Favaro, una bravissima scrittrice tarantina. Si tratta di una graphic novel ambientata a Parigi e totalmente disegnata ad acquerello, che mi vedrà impegnato per tutto il 2018. Si tratta di una storia completamente diversa da quelle con Dupin protagonista».
 



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