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IL RACCONTO/VACANZA A VENEZIA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

9
GEN
2019

Mentre era seduta in un’elegante carrozza del treno che la portava a Venezia, un sorriso ancora incredulo increspò le sue labbra.
Venezia ha sempre avuto il suo fascino, anche d’inverno e a Bibian non importava se ci sarebbe dovuta andare da sola. Quel viaggio lo voleva fare e nessuno sarebbe riuscito a convincerla del contrario. Appoggiò il viso al finestrino e osservò il paesaggio che scorreva veloce davanti a lei.
Aveva chiesto le ferie arretrate, anticipato quelle dell’anno novo e all’alba era partita dalla stazione ferroviaria di Rotterdam per recarsi nella più bella città del mondo.
In un certo senso si poteva dire che stava fuggendo, anche se lei non lo avrebbe mai ammesso. “Troppo melodrammatico”, avrebbe ribattuto imbarazzata. Ma era vero.
Bibian non era il tipo che in una fredda mattina di gennaio avrebbe fatto le valige senza motivo, intaccato i suoi risparmi, comprato una borsa scandalosamente costosa e così su due piedi partire da sola per Venezia.
Ma a volte nella vita capitano delle cose sgradevoli, come ad esempio una delusione d’amore. Senza contare che quella pioggia insistente del Nord le era diventata ormai insopportabile perché odiava vedere le gocce scintillanti di minuscole esplosioni che si andavano a spezzare sul selciato.
L’anno nuovo era appena iniziato e di colpo aveva deciso. Ed era stata la prima a sorprendersi che fosse successo tutto così in fretta: di essere stata così determinata. Di aver dato seguito a un desiderio tanto improvviso, preso nella strana sensazione che fosse la cosa giusta da fare.
Aveva cercato su internet una sistemazione e alla fine aveva scelto un appartamentino nel sestiere Cannaregio e lo aveva affittato per tre settimane.
Non si era mai assentata per un così lungo periodo dalla sua città, e anche questa volta le sembrava un azzardo, quasi una follia, tanto che mentre stava confermando la prenotazione era ancora piena di dubbi e perplessità.
Aveva comprato una guida di Venezia, un piccolo dizionario d’italiano e il biglietto del treno. In valigia, oltre a pantaloni e maglie pesanti, aveva messo anche qualche indumento leggero e un paio di scarpe basse. In fin dei conti il freddo invernale non era ancora arrivato e come la maggior parte delle persone del Nord, Bibian collocava in modo del tutto irrazionale il Sud d’Europa. Lo riteneva un luogo in cui splendeva sempre il sole e la vita era allegra e spensierata, come solo in Italia poteva accadere.
Ed era esattamente ciò che voleva in quel momento. Pensò che il rimpianto non potesse mai essere di conforto, e aveva ritrovato il suo equilibrio solo quando le lacrime avevano smesso di solcarle il viso. Solo dopo aver pianto, aveva capito che le lacrime le davano la forza di mitigare il dolore che provava.
L’aver scoperto il tradimento, era stata la spinta di cui aveva bisogno per lasciare il suo ragazzo e affrontare da sola quel viaggio. E ora, con la valigia sulla testa, la borsa firmata e un libro che aveva in programma di leggere durante il viaggio, si stava rilassando sicura di aver fatto la cosa giusta.
Non amava volare, anzi ne aveva proprio paura e per questo aveva preferito sobbarcarsi quattordici ore in treno. E adesso stava guardando soddisfatta l’elegante borsa sul sedile accanto al suo: ne accarezzò la morbida pelle e fece scattare un paio di volte la fibbia dorata.
Non lo aveva scritto anche un poeta che una cosa bella è una gioia per sempre, si chiese. Ma non poteva sapere che proprio quella borsa avrebbe avuto un ruolo non proprio marginale durante il suo soggiorno in Italia.
Si appoggiò allo schienale del comodo sedile imbottito e pensò all’uomo della biglietteria che paziente attendeva davanti a lei. Poi si destò dal torpore e annui.
«Per favore, un biglietto di seconda classe per Venezia, Italy».
Partì mentre la notte silenziosa lasciava il posto alla grigia luce del giorno e si abbandonò ai pensieri più belli, senza più lasciarsi andare al fruscio di quelli cattivi. Ormai era in treno e nessuno avrebbe potuto fermarla.
Sorridendo trasse il libro dalla borsa e cominciò a leggere. Ed era talmente assorta nella lettura da non accorgersi che nel frattempo erano entrate nello scompartimento due persone, una coppia anziana che non aveva più molto da dirsi e che la stava osservando.
Arrivata a Venezia, mentre il treno stava attraversando il ponte della Libertà, prese i suoi bagagli e con un muto sorriso salutò la coppia e si avviò verso l’uscita. Mezz’ora dopo era ferma a Santa Lucia, davanti al Canal Grande.
Era buio, e lei iniziò ad agitarsi. Non aveva trovato nessuno che parlasse la sua lingua, un misto di tedesco e inglese. E l’italiano lo masticava così male che non era riuscita a farsi capire da nessuno.
L’aria era pungente e dall’acqua saliva un freddo umido, più di quanto avesse immaginato, e fu una delusione accorgersi che a Venezia il clima era inclemente quasi come a Rotterdam, ma si consolò pensando che almeno non stava piovendo.
Dopo che gli altri passeggeri, quasi tutti del posto, erano saliti sui vaporetti, accanto a lei era rimasta solo una coppia di turisti giapponesi che, ridacchiando e trotterellando qua e la, continuava a scattare fotografie. Fece un passo indietro, poi un secondo, poi un terzo e con il tallone urtò qualcosa. Perse l’equilibrio e si aggrappò al primo braccio che trovò. Il braccio di un ragazzo veneziano che ebbe la prontezza di sorreggerla prima che finisse in acqua.
«Oilà. Che bella tósa la me casca tra le braccia questa sera. Miss, le consiglio comunque di camminare in avanti, nella direzione in cui guarda. Qui a Venezia è facile finire a mollo».
Il profumo della ragazza gli riempì le narici di una calda e dolce fragranza. Uno sguardo malizioso, un sorriso accattivante e Bibian pensò di essere finita tra le braccia del solito italiano.
Si ricompose imbarazzata, lo ringraziò e, giacché sembrava che capisse la sua lingua, gli chiese come avrebbe dovuto fare per raggiungere il sestiere della Madonna dell’Orto.
La voce gentile e piacevole di Bibian fece sorridere il ragazzo e senza perdere tempo si offrì di accompagnarla prima a ritirare le chiavi e poi a casa.
Quando un’ora più tardi erano arrivati a destinazione e Bibian lo stava per salutare, il ragazzo propose:
«Qui è tutto così buio e fuori mano. Se vuoi salgo con te e ti aiuto a portare i bagagli».
«Salire con me? No, non credo sia una buona idea». Rispose Bibian sorridendo.
Il ragazzo sfilò dalla tasca un taccuino e in fretta trascrisse il suo nome e il numero di cellulare.
«Io mi chiamo Lorenzo e faccio la guida turistica. Questo è il mio numero e se mai dovessi avere ancora bisogno di me, non esitare a chiamarmi».
Bibian educatamente prese il biglietto e se lo infilò in tasca.
«Grazie». Rispose, e rimase a guardarlo mentre si allontanava. Ma se in quel momento qualcuno le avesse detto che tra qualche ora avrebbe digitato in preda al panico il numero di un giovane veneziano di nome Lorenzo, si sarebbe messa a ridere.
Il giorno dopo, nel pomeriggio, Bibian era ferma in cima alle scale del ponte di Rialto. Sollevò per un attimo il viso verso il sole, appoggiò la borsa sul parapetto davanti a sé e rimase a osservare lo scintillio del Canal Grande.
Si affacciò al parapetto per guardare una gondola piena di turisti che scivolava lenta sotto il ponte e pensò che Venezia era davvero un luogo incantevole. Poi si sporse oltre per osservare meglio un vaporetto che transitava nel senso opposto e, proprio in quel momento, urtò la borsa che cadde sul tetto del vaporetto.
Bibian urlò un terrorizzato “Oh”. Poi, d’istinto iniziò a gridare nella sua lingua e nello scompiglio del momento cercò di ricordare qualche parola d’italiano. Si guardò attorno e sbracciandosi cominciò a ripetere: “Sul vaporetto, vaporetto”. Poi di colpo, mentre i turisti che passavano sotto il ponte alzavano le teste e sorridenti iniziavano a gesticolare per ricambiare quello che ritenevano fosse un saluto, di colpo le tornò in mente il foglietto che la sera prima gli aveva dato Lorenzo.
Prese il cellulare e compose il numero.
«Pronto?» Sentì rispondere.
«Lorenzo?» Domandò per sicurezza.
«Sì, sono io».
«Grazie al cielo! Mi trovo sul ponte di Rialto. Sono nei guai, mi puoi aiutare?» E gli spiegò in fretta cosa le era capitato.
Dall’altra parte calò un momento di silenzio interdetto e poi la voce chiese:
«Ma chi parla, scusi?»
«Bibian, la ragazza che ieri sera stava cadendo nel canale e tu hai soccorso e accompagnato a casa». Rispose sconvolta.
«Ah, Bibian. Ma certo che ti aiuto. Nessun problema. Tra dieci minuti sono da te».
Il sole calava come una palla infuocata nella laguna quando Lorenzo mise fine all’angoscia della ragazza. Dopo averla raggiunta ed essersi allontanato di nuovo per andare alla ricerca della sua borsa, era tornato da lei con un sorriso orgoglioso.
«È questa?»
D’impulso Bibian gli gettò le braccia al collo, salvo poi fare un passo indietro imbarazzata mentre Lorenzo la guardava sorpreso.
«Ora, se permetti, mi merito una ricompensa». E annui con ironia.
«Sì, volentieri. Ora ho di nuovo la mia borsa e i soldi e posso invitarti a cena». Rispose Bibian.
Con uno scuotimento del capo lui declinò l’invito e rispose:
«Sono italiano e per giunta veneziano, signorina. Sono io che invito te a cena». E finito di mettere i puntini sulle i, le propose di andare a mangiare in una vecchia trattoria sul Canal Grande.
Ormai erano quasi al dolce, e Lorenzo aveva la sensazione di non aver fatto nessun passo avanti. Quando la ragazza gli si era gettata al collo e lui l’aveva tenuta brevemente tra le braccia, si era sentito fiducioso. Quel contatto, per quanto breve, era stato così bello e naturale che credeva potesse essere l’inizio di una bella storia. Invece, a quanto sembrava, lei si era soltanto lasciata trasportare dalla felicità per aver ritrovato la sua borsa. Infatti, seppure lui avesse cercato di posare la mano sulla sua, lei l’aveva ritratta subito.
Ma se non altro stavano trascorrendo una piacevole serata. Bibian si era sciolta, aveva riso alle sue battute, gli aveva raccontato cosa faceva a Rotterdam, accennò anche alla sua disavventura amorosa e della decisione di partire da sola per Venezia, anche se era inverno.
«E Venezia mi ha subito conquistata. Qui è tutto così lento e tranquillo. Tutto è splendido e la città trasuda di bellezza».
«Questa è la Venezia d’inverno. In questo periodo sprofonda in un tranquillo letargo e torna ad appartenere a noi veneziani. Ma aspetta che arrivi il Carnevale o la primavera e vedrai quanti turisti affolleranno piazza San Marco, le calli e i sestieri della città e non sarà più così bella e tranquilla come la vedi adesso». Rispose Lorenzo.
«Allora ho fatto bene a venire in questo periodo». Replicò la ragazza.
«Quanto ti fermi?»
«Tre settimane».
«Però». Esclamò lui, e intanto pensò che in tre settimane potevano succedere un’infinità di cose.
«Sì. Sto attraversando un brutto periodo e sono venuta a Venezia per cercare di curarmi le ferite».
Naturalmente Lorenzo non era al corrente delle pene d’amore che l’avevano fatta fuggire da Rotterdam. Tuttavia anche se intuiva che gli stava nascondendo qualcosa, non le chiese niente e si limitò a guardare il lato positivo della cosa, e decise di non arrendersi.
Finita la cena e usciti dalla trattoria, Lorenzo le propose di accompagnarla sino a casa.
«Non sia mai che ti perdi o torni a smarrire la borsa un’altra volta».
Camminarono lentamente e in silenzio in una città deserta, rischiarata solo dai lampioni che riflettevano debolmente le loro figure sull’acqua. Lorenzo non scelse la strada più breve per riaccompagnarla. Avrebbe voluto camminare in eterno accanto a lei, invece a un certo punto si trovarono in calle Gradisca e Bibian, sorridendo e prendendo le chiavi dalla borsa, gli disse:
«Grazie di tutto. Della borsa, della buona cena e della bella serata».
Nella calle silenziosa erano uno di fronte all’altra. L’aria era fredda, e la nebbia saliva dagli stretti canali e lui guardò quegli occhi in cui puntualmente si smarriva ed ebbe l’impulso di baciarla. Senza accorgersene fece un passo in avanti, ma Bibian gli posò la mano sul petto per fermarlo.
«Temo non sia una buona idea». Gli disse dispiaciuta Bibian.
«Perché no?»
Lei tornò a fissarlo e rispose:
«Al momento la mia vita è abbastanza complicata così, Lorenzo. Non vorrei peggiorare le cose».
«Ma perché vuoi essere infelice quando potresti essere felice?». Tentò di ribattere lui.
«Nessuno vuole essere infelice. Sono situazioni che capitano».
«Allora perché non dimentichi la tua vita complicata, pensi positivo e cerchi di essere felice?»
Lei sorrise debolmente e si girò per aprire il portone.
«Ci vediamo domani?» Chiese Lorenzo, e lei rispose di no.
«Dopodomani?»
«No».
«Fra tre giorni?». Insistette.
«Ma tu non lavori? Non hai niente da fare? Niente turisti da portare in Piazza San Marco?»
Credeva ancora che Lorenzo fosse una guida e lui lasciò che lo credesse.
«Vorrei poter portare te in giro per Venezia. Essere la tua guida esclusiva. Anzi, vorrei regalarti l’intera città, ma credo che tu abbia ancora il tuo cuore in Olanda… Non è forse così?»
Lei si avvicinò e sfiorandogli con le dita una guancia, gli dette un bacio sulle labbra.
«In tal caso non sarei venuta da sola a Venezia, il sogno di tutti gli innamorati». Aggiunse.
E in quel momento tutto si trasformò e divenne magico. E, come succede nei momenti magici, accadde quello che Lorenzo sperava potesse accadere sin dal primo momento che l’aveva incontrata.
Quella notte le stelle splendevano luminose in cielo e quando Lorenzo l’abbracciò e la baciò, Bibian si lasciò andare tra le sue braccia e lui la sollevò e la portò in casa.



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