L’ostensione di un frammento del saio appartenuto a Padre Pio, ci offre l’occasione per riflettere di spiritualità. Ne abbiamo parlato anche con Don Cristian Batacchio, vicario di San Cataldo
Ultimamente non mi ero mai soffermata sul concetto di spiritualità, su come la intendo, come la vivo, o se è uguale per tutti indistintamente; ci voleva l’ostensione delle reliquie di Padre Pio nella Cattedrale di San Cataldo a Città Vecchia per farmi soffermare e riflettere su questo concetto, ma soprattutto sulla sua interpretazione. In occasione della ostensione permanente nella Chiesa inferiore del Santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, per la venerazione delle reliquie del corpo di san Pio da Pietrelcina, la Parrocchia di San Cataldo ha ospitato per alcuni giorni le reliquie del Santo; esattamente una parte della veste bianca che Padre Pio indossava sotto il saio e che ricopriva esattamente le piaghe del costato. Il pezzo di stoffa, macchiato dal sangue delle piaghe, è custodito in una cornice di vetro ed è stata resa disponibile ai fedeli in orari prestabiliti, sino alla scorsa domenica, il 16 giugno, giorno in cui ricorre la canonizzazione di San Pio avvenuta nel 2002. Sulla veneranda vita del Santo niente da ribadire, per cui, tra fede, curiosità e mistero, mi sono recata anche io all’ostensione. Ho notato subito che in quella chiesa si respirava aria di religiosità: i fedeli erano disposti in fila davanti alle reliquie del Santo per osservare il pezzo di stoffa, per soffermarsi e baciare la cornice in segno di devozione. Questa sarebbe la spiritualità? Personalmente, credo che la spiritualità sia l’ammirazione del Bello, anche di un bel quadro, fisso e imponente davanti a me, di cui riesco a coglierne il motivo, la relazione tra l’autore e l’oggetto, gli stati d’animo rappresentati; ma se la si intende come un concetto vicino a Dio, quando ho bisogno di essere ascoltata, come se potessi sentire la presenza di uno spirito, ho necessità di ampi spazi e silenziosi; per esempio mi piace molto in tarda serata aprire la finestra e osservare il cielo, oppure in spiaggia, fissare la congiunzione tra il mare e il cielo, riuscendo anche a percepire il mio piccolo spazio rispetto alla vastità che mi circonda. Tornando a Padre Pio, credo che ci fosse troppa confusione, troppo mormorio per sentire lo spirito del Santo, o di Dio, per percepire la relazione tra noi e Loro, per ascoltarli, se era questo lo scopo. Don Cristian Catacchio, vicario di San Cataldo, ha definito la spiritualità come «una vita intensa di spirito, nel senso di vicinanza al Signore, attraverso la preghiera, i sacramenti, con la partecipazione alla messa domenicale e all’eucarestia, momento culmine della vita di ogni cristiano. La vita dei santi» ha continuato Don Cristian, «ci insegna a vivere il vangelo, invitandoci a non scoraggiarci. Oggi viviamo una serie di problematiche legate alla crisi economica, alla perdita dei valori, i santi ci aiutano a non cadere nel baratro della disperazione ma a confidare sempre in Dio». Al mio sostenere che proprio in questo momento, probabilmente c’è un minor senso di spiritualità, don Cristian mi ha risposto dicendo che dobbiamo mettere da parte il relativismo, evitando di avvertire la nostra spiritualità solo in alcuni momenti particolari della vita, ma ponendo al centro di essa Dio; Dio è tenerezza e ha nei nostri confronti un amore paterno e materno insieme. Secondo Don Cristian, ognuno di noi deve nutrire questo tipo di amore nei confronti delle persone con cui condividiamo il nostro percorso. Colta dall’interrogativo sul binomio spiritualità-religiosità, ho scoperto che al tempo stesso ci sono persone che hanno un alto senso di spiritualità pur essendo atei; persone che proprio in questo momento così particolarmente negativo della società, hanno capito l’importanza di assecondare il proprio spirito, attraverso la serenità e la tranquillità, cercando di tornare agli elementi base, all’essenziale. Probabilmente gli indiani, i maestri di yoga soprattutto, lo saprebbero spiegare meglio: che la spiritualità può essere anche il rispetto del proprio “io” in relazione agli altri, in relazione alla natura, rispettando il proprio spazio e la spazio dell’altro; sapersi ascoltare e percepire le sensazioni, le altre vite insieme alla nostra. Sicuramente ci sono dei luoghi che stimolano la spiritualità che è in noi, nascosta o meno che sia; uno che mi viene in mente è Taizè in Francia, una comunità cristiana monastica ecumenica ed internazionale, fondata nel 1940 da Roger Schutz, meglio conosciuto come “frère Roger”. Lui sì che riusciva a unire tutti i ragazzi del mondo per condividere periodi di vita insieme. Altro luogo emblema di spiritualità, è l’Arsenale della Pace a Torino, ex fabbrica di armi, trasformato da migliaia di persone in un monastero metropolitano, luogo di fraternità e di ricerca; una casa per i giovani che cercano il senso per la propria vita, un laboratorio di idee, un luogo di incontro, cultura dialogo e formazione. A questo punto non saprei dire quale interpretazione sia quella giusta, ma ad ogni modo, inviterei chiunque a cercare la propria spiritualità , spesso ostacolata dalla velocità della vita che conduciamo, ma alla quale ognuno di noi saprebbe dare forma.