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2001 –2015/ 11 settembre, 14 anni dopo

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

11
SET
2015
Nuove geografie si stanno scrivendo in questo momento storico, tra crisi economiche e flussi migratori, guerre e religione. Sarà mai possibile l’integrazione, anche nel ricordo di fatti tragici?
 
Il mattino dell’11 settembre 2001, sbigottendo il mondo, quattro attentati terroristici colpirono e allarmarono l’America. Dei fondamentalista islamici, dirottando quattro aerei sui cieli USA provocarono la morte di quasi 3.000 persone: 343 delle quali erano Vigili del Fuoco e 60 Poliziotti. Le altre vittime facevano parte degli equipaggi e dei passeggeri dei 4 velivoli. 
Due aerei furono dirottai e indirizzati sulle torri gemelle di Manhattan, a New York e il loro impatto causò il cedimento delle strutture e il loro crollo. La prima torre collassò alle 9:59 e la seconda alle 10:28. L’impatto dei due aerei e il successivo crollo delle torri gemelle provocò la morte di 2.752 persone. Il terzo aereo si schiantò invece sul Pentagono, nella contea di Arlington, in Virginia. E il quarto, della United Airlines 93, che i terroristi stavano indirizzando sulla Casa Bianca, per il coraggioso intervento dell’equipaggio e dei passeggieri che tentarono di riprendere il controllo del velivolo, si disintegrò al suolo nella Contea di Somerset in Pennsylvania. Quattro dirottamenti e una strage portata a termine con azioni kamikaze per destabilizzare l’occidente.
Dopo quell’11 settembre qualcuno si precipitò a dire e scrivere che il mondo non sarebbe stato più come prima, ma non specificò come sarebbe stato: se migliore o peggiore. Alla luce dei fatti accaduti e dei successivi atti terroristici, penso davvero che qualcosa sia cambiato, ma sicuramente in peggio, purtroppo. 
Infatti, successivamente agli attentati dell’11 settembre, le cose volsero subito al peggio, non solo per l’America, ma anche in Medio Oriente, in Africa e in Europa. Il 7 ottobre dello stesso anno, per combattere i talebani, come disse il presidente americano Bush, vennero inviati in Afghanistan i marines e subito i media sbandierarono le vittorie USA e la raggiunta libertà delle donne di poter buttare finalmente alle ortiche il burqa. Ma non è stato così. Nel 2003, sempre le truppe americane, invasero l’Iraq ed a Baghdad deposero il dittatore Sadam Hussein. Il 20 ottobre 2011 fu la volta del dittatore della Libia Mu’ Ammer Gheddafi. Da allora, questi tre Paesi, sono piombati nel caos più assoluto e nella guerra civile. 
Come si è visto, abbattute le dittature, le violenze invece di quietarsi e lasciare il passo alla democrazia, sono andate crescendo sino ad estendersi in altri Paesi, come la Nigeria e la Somalia, ma soprattutto in Medio Oriente e in Siria. Da allora gli attentati terroristici sono proliferati e tutt’ora continuano a mietere vittime: Nel 2013 una bomba è stata fatta esplodere durante la maratona di Boston; il 7 gennaio di quest’anno, l’irruzione nella sede del giornale satirico Charlie Hobdo, a Parigi, ha provocato la morte di 12 giornalisti. E poi quello sul treno in Belgio. Per non parlare di tutti gli attentati, sequestri di persona, torture e violenze che quasi quotidianamente vengono perpetrati in Paesi di fede islamica e coinvolgendo anche la Tunisia e l’Egitto.
Alla luce di quanto sopra, ritengo che gli interventi armati americani abbiano dimostrato, ma non fatto comprendere a chi di competenza, che non basta deporre un despota per far trionfare la democrazia. Quelle popolazioni, ora ridotte alla fame, che non hanno più lavoro, un governo e che sono state lasciate alla mercé dei guerriglieri più feroci, se non otterranno degli aiuti concreti e se non verranno liberate delle violenze e dei soprusi, saranno costrette, per sopravvivere, a fuggire dai loro Paesi e a riversarsi sulle coste europee. 
Tutti questi interventi armati americani, fatti più per una sorta di vendetta, di rivalsa, o per dimostrare la supremazia dell’Occidente su l’Oriente, hanno dimostrato di aver prodotto solo guerre intestine e un feroce terrorismo che continua a mietere vittime in nome di un’ideologia troppo distante dalla nostra cultura occidentale per essere da noi compresa. E la conseguenza di queste guerriglie e sopraffazioni sono la fame, la paura e alla fine esodi di massa. Emigrazioni crescenti e inarrestabili che giorno dopo giorno si vanno riversando sulle coste italiane, spagnole e greche. 
Tanti riescono ad approdare, molti vengono salvati dalle navi che incrociano quel tratto di mare, ma altrettanti non ce la fanno e allora il Mediterraneo diventa la loro ultima dimora. Solo nel primo semestre del 2015 si sono contati più di 260.000 sbarchi nei porti siciliani, calabresi e pugliesi. E oltre 1.000 sono state le vittime, tra morti e dispersi in mare. 
E quelli che ce l’hanno fatta e sono riusciti a sbarcare sul territorio italiano, cosa fanno? Si sperdono nel Paese e noi possiamo ritrovarli agli angoli delle strade, antistante bar, ristoranti e supermercati che con il cappello in mano chiedono l’elemosina. E allora mi domando in quale avvenire possono sperare queste persone? Sono venute con la speranza di trovare un mondo migliore, un’avvenire per loro e i loro figli, lontano dalla violenza e dalla guerra, ma invece, se non hanno perso la vita in mare e se non sono state respinte, cosa possono ottenere? Solo la carità cristiana?
Sì, certo, anche i nostri bisnonni, nonni e padri, con le loro valige di cartone e legate con lo spago, sono saliti su treni, su navi e sono andati in Germania, in Belgio, in Francia e oltre Oceano. Ma sono andati a lavorare nelle miniere, nelle cave di pietra o si sono adattati per generazioni a fare i lavori più umili, e se qualcuno alla fine è riuscito a farcela, sarà stato certo per le sue capacità, ma anche grazie a quel Paese che lo ha ospitato. Ma questi migranti, questi sventurati, con una cultura e una religione totalmente diverse e che hanno dimostrato di non sapersi adattare alle nostre, di quale integrazione possono sperare? 
E noi, quanti profughi dovremo ancora vedere arrivare prima che qualcuno si accorga che non siamo più in grado di far fronte a un’emergenza di proporzioni bibliche e ormai collassata? Stiamo assistendo ad uno scarica barile. Critiche e rimpalli tra politici e Stati. E quando l’Europa cerca faticosamente di trovare una soluzione, un’azione umanitaria comune, invece dell’accordo si sono viste alzare alte barriere alle frontiere dell’Ungheria o blocchi alle frontiere con migliaia di poliziotti pronti a respingere queste persone indesiderate: vedi sud della Francia, sulla Manica, in Germania e anche in Grecia e in Macedonia. 
C’è chi pretende di risolvere il problema facendo affondare, prima della partenza, i barconi. Ma non aggiunge, forse in malafede, che chi andasse a compiere un tale gesto varrebbe come un atto di guerra, un’aggressione ad un altro Paese. Poi c’è chi suggerisce di rimandarli tutti a casa, ma le loro case dove sono? Sotto quali bombardamenti sono state distrutte? C’è qualche Cardinale e la Chiesa in generale che se la prende con tutti, dai politici all’ONU, ma si limitano a questo.
Io, purtroppo non ho idee e per fortuna non spetta a me trovare soluzioni, ma ritengo che solo il tempo potrà fermare questo flusso incontrollato di gente disperata, questa immane tragedia. Quando gli Stati, più forti e più ricchi, riusciranno a limitare le spese militari e le passeggiate nello spazio, forse, riusciranno a mettersi d’accordo e far tornare alla normalità quei Paesi che hanno contribuito a precipitare nella situazione attuale. Solo allora i flussi migratori potranno invertire la rotta e questa gente tornare nel proprio ambiente, nella loro terra, forse finalmente pacificata, ma sicuramente da ricostruire.
 
 


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