La crisi che attanaglia in questi giorni i mitilicoltori tarantini preoccupa per un verso gli operatori del settore, per l’altro l’intera cittadinanza ionica e tutta la vastissima categoria di consumatori. Per saperne di più abbiamo chiesto informazioni a Mimino D’Andria, decano dei mitilicoltori tarantini e presidente del settore ittico della Confcommercio del capoluogo ionico
D’Andria, decano dei mitilicoltori tarantini, ci ha detto che durante il picco del caldo di questa torrida estate che ha ormai i giorni contati (almeno sul calendario) le cozze e i loro semi sono stati completamente distrutti dal calore del sole penetrato anche attraverso la superficie acquea. E’ andato così distrutto l’80% dell’intero prodotto tarantino pari a circa 30 mila tonnellate di cozze per un valore commerciale vicino ai 16 milioni di euro. Un danno che è caduto come una scure sui circa mille operatori del settore. Il fatto più inquietante è che questa moria di cozze impedirà per la restante parte dell’anno corrente e per l’intero 2016 la produzione della cozza tarantina perché è andato distrutto il seme. Nel frattempo i tarantini dovranno accontentarsi di mangiare cozze spagnole perpetuando così nel tempo quel vincolo storico che ha visto a braccetto i tarantini e gli spagnoli.
Fin qui le preziose informazioni forniteci da D’Andria. A supporto di tale problematica ma con un respiro più ampio abbiamo registrato nei giorni scorsi una conferenza del prof. Antonio Fornaro, nel capoluogo ionico, sul tema: “I tesori dei due mari di Taranto”.
Abbiamo così appreso che le cozze erano conosciute dall’uomo già 248 milioni di anni fa e che le dimensioni dei mitili sono varie e possono giungere fino a dieci centimetri ed oltre. Le cozze già alla nascita si dividono in maschi e “femmincoza”. Nei nostri mari si trova in abbondanza la cozza nera o di Taranto la cui coltivazione ormai da diversi decenni gli operatori del settore hanno abbandonato nel tipo tradizionale sostituendo i pali delle cozze con le boe galleggianti e agganciate al fondale marino.
Il relatore ha ricordato alcuni nomi di mitilicoltori tarantini di antica tradizione come i Battista, i Vozza, i Mastronuzzi e i D’Andria. Allevavano cozze ed ostriche così squisite da essere preparate anche in salsa agrodolce o piccante e conservate in contenitori di vetro, di legno, di ceramica in forma di vaso o di barile, detti generalmente “cognotti”. Venivano spediti ovunque e nel periodo del suo massimo splendore il Gran Caffè “La Sem” riprese con non molto successo la confezione dei cognotti.
Il tarantino verace mangia cozze quasi ogni giorno. Le mangia crude come antipasto e cotte con la pasta e con il riso ma sono oltre 40 le ricette tradizionali tarantine che vedono come regina del menu la cozza tarantina. Uno dei piatti più ricercati in tutti i ristoranti pugliesi è la teglia al forno con riso, patate, zucchine e cozze in un unico e ininimitabile matrimonio fra i prodotti della terra e quelli del mare. Il verace tarantino conosce anche le famose cozze alla “puppetegne” così chiamate dall’appellativo dialettale “pueppete” che i tarantini davano al contadino. E sì, perché il contadino con il suo cervello fine, non sapendo come fare per aprire le cozze, scoprì che bastava metterle sotto il fuoco perché si aprissero spontaneamente. Così il nome di questo piatto di cozze, non pago di sé, aspettava di essere scoperto dalle puerpere; infatti ancora oggi, ha aggiunto Fornaro, le donne che allattano i propri figli al seno, mangiando le cozze alla “puppetegne”, vedono aumentata la quantità di latte prodotta dal loro seno.
Ci sono, poi, le cozze “arraganate” cosiddette perché ricordano il “ragana”, un prodotto fatto con pesce e salumi di antica invenzione spagnola.
Nel corso della conferenza, che ha toccato un po’ tutti i settori della maricoltura e della itticoltura, sono state fornite notizie di grande importanza sui due mari di Taranto e sui loro tesori in parte emergenti e in parte nascosti. Abbiamo appreso così che i due mari di Taranto sono presenti fin dall’età preistorica ed esattamente dal periodo mesozoico. Il Mar Grande è attorniato dalle isole Cheradi (San Pietro e San Paolo) e da Capo San Vito che consentono l’afflusso delle acque dello Ionio nel bacino di Mar Grande.
Altra punta del bacino del Mar Grande è Punta Rondinella così chiamata non con riferimento alla rondine ma perché all’altezza della punta si pescava un pesce detto “pesce lima” (dal greco rinè) la cui pelle serviva a levigare; infatti dal pesce lima o palombo si ricavava lo smeriglio, utile in ebanisteria quando ancora non si usava la carta vetrata.
Nel Mar Grande di Taranto si pesca una grande quantità di pesci anche di notevoli dimensioni. Fino all’inizio del 1700 si pescavano anche i tonni ma la presenza di grossi cetacei provocò la morte di pescatori e anche di tonni e così terminò anche questa bella pesca.
Per nostra fortuna, grazie a Carmelo Fanizza, da alcuni anni i tarantini possono godere l’ineguagliabile spettacolo dei delfini che popolano le limpide acque del Mar Grande tanto da indurre gli organizzatori a dire che non occorre andare fino a Rimini per vedere i delfini in cattività. Qui a Taranto ne abbiamo tanti e alla portata del nostro mare.
Nel fondale del Mar Grande si trova da oltre un decennio la bella statua del Cristo del Mare alla quale viene reso omaggio ogni anno nel giorno di Ferragosto.
Numerosi sono i fiumi che sfociano nel Mar Grande di Taranto e fra questi non possiamo non ricordare le acque dell’acquedotto del Triglio; il Tara dove ancora oggi la gente si bagna per le sue proprietà antireumatiche e favorevoli alla pelle; il Lenne, il Patenisco e il fiume Lato.
Nel Mar Grande di Taranto si può ammirare all’altezza del Porto Turistico il cosiddetto “anello di San Cataldo”, un grosso citro o polla di acqua dolce che leggenda vuole abbia raccolto l’anello di San Cataldo lanciato in mare dallo stesso.
Anche il Mar Piccolo con i suoi due seni è un bacino ricco di pesci; sono circa 100 anche qui, come in Mar Grande, le specie di pesci che trovano l’habitat più consono al loro sviluppo. Il Mar Grande e il Mar Piccolo comunicano tra di loro naturalmente attraverso il Ponte di Pietra e artificialmente attraverso il Canale Navigabile.
Numerosi i citri che sono presenti nel Mar Piccolo di Taranto e che rendono particolarmente dolce la cozza tarantina. Tra di essi c’è il grande citro che i tarantini chiamano con il nome di fiume Galeso, decantato dai poeti latini e dal Pascoli.
Altri importanti fiumi scorrono nel Mar Piccolo di Taranto fra i quali il “Battendieri” che ha dato il nome al sito presente nel secondo seno del Mar Piccolo.
L’Idroscalo Bologna, la Villa Peripato, la Pineta Cimino, il Pizzone, l’ex area dei Cantieri Navali Tosi fanno da corona a questo mare che nell’antichità fu il porto prima dei Greci e poi dei Romani.
Nella sua vasta e interessante relazione abbiamo appreso che grande era nel passato la produzione della porpora ricavata dal murice o “cueccele” e del bisso ricavato dalla pinna nobilis o paricella il cui filamento viene conosciuto con il nome di “seta di mare” e con il quale furono fatti tappeti e fini mantelli donati a papi e regine, ma anche Garibaldi ebbe in dono dai tarantini un paio di guanti, un berretto e dei calzini fatti con i filamenti della pinna nobilis.
Nel 1967 Augusto Semeraro, noto studioso del mare, scriveva che i mari di Taranto racchiudono immense risorse alimentari di primissimo ordine la cui presenza è stata accertata con scrupolose analisi chimiche confermate da indagini biologiche.
A tale proposito Giacinto Peluso così commentava: “Non sappiamo con certezza se oggi i Mari di Taranto abbiano ancora tutti quei pregi di cui parla Semeraro, ma, a giudicare dal prodotto che spontaneamente danno, dobbiamo crederlo”.
E non possiamo non concordare con Peluso.