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Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

10
NOV
2016
Come affrontare il tema delle calamità naturali con i più piccoli? In risposta a un lettore, alcune riflessioni in merito
 
Siccome in questi giorni si parla solo di questo terremoto, vorrei sapere come comportarsi con i bambini. Grazie.
Teresa
 
Molti suppongono che i bambini, dacché ritenuti più fragili degli adulti, non siano affatto capaci d’affrontare in maniera efficace le calamità naturali. E spesso sono proprio i grandi che proiettano sulla presunta fragilità dei più piccoli le proprie paure, il proprio senso di impotenza nei confronti delle catastrofi, che, con il loro potenziale distruttivo, possono sconvolgere quella sensazione di sicurezza sulla quale tutti fondiamo la nostra esistenza. D’altronde, è pur vero che il bambino, rispetto all’adulto, potrebbe anche incorrere in scompensi più gravi e protratti nel tempo, dal momento che sono proprio le prime esperienze quelle che maggiormente strutturano le convinzioni personali su cui verrà poi improntata l’intera esistenza. Non a caso, risulta largamente noto il potenziale patogeno della proverbiale “infanzia difficile”, espressione assai generica che, però, designa sempre una condizione di effettiva instabilità (sociale, relazionale, familiare etc.), in un periodo, quale l’infanzia, in cui si inizia appunto ad apprendere la gestione della propria vita interiore, la quale in un ambiente contenitivo e rassicurante ha più probabilità di svilupparsi in maniera equilibrata.
Di certo, nel nostro paese, in gran parte ad elevato rischio sismico, non risulta affatto onesto nascondere ai più piccoli la possibilità che si verifichi un terremoto, poiché esso, in virtù dell’effetto sorpresa, finisce per irrompere più dolorosamente proprio nella vita di chi non ne contempla affatto l’esistenza. Piuttosto, tutti i cittadini, e a maggior ragione quelli più giovani, vanno opportunamente preparati a quest’evenienza, affinché arrivino a padroneggiare quelle competenze, psichiche e pratiche, finalizzate a farvi fronte. Ben vengano, quindi, sin dalla più tenera età, la sensibilizzazione, la formazione, l’addestramento: tutte quelle attività volte alla preparazione, soprattutto tecnica, le quali, potenziando la capacità di comprendere ed agire anche in quei frangenti, restituiscono ai destinatari quella percezione di controllo degli eventi, quella fiducia nelle proprie possibilità che altrimenti verrebbe a mancare.
Comunque, non potendo più consistere in un potenziamento preventivo, l’intervento psicologico che si prospetta adesso nelle zone colpite, dovrà necessariamente focalizzarsi sugli eventuali effetti psichici sortiti dal terremoto, i quali non differiscono di tanto, in termini di diagnosi e trattamento, dagli scompensi causati da qualsiasi altro evento traumatico. Al momento, risulta, quindi, necessario che chiunque accusi una qualsivoglia forma di sintomatologia post-traumatica, venga quanto prima sottoposto ad un percorso psicoterapeutico, preferibilmente individuale, la cui tempestività risulta, stando alla letteratura di settore, positivamente correlata ad una prognosi favorevole.
Inoltre, tutti i vademecum sull’argomento ribadiscono quanto sia importante il ruolo dell’adulto (genitore, insegnante etc.), a cui spetta il compito di gestire la reazione emotiva del bambino per mezzo di un atteggiamento aperto e dialogico, in cui il piccolo abbia modo di confrontarsi e capire, in modo tale che venga minimizzata così ogni possibile deriva allarmistica. L’adulto, pur non dovendo nascondere del tutto le sue naturali preoccupazioni, sarà tenuto a dare l’esempio, magari riprendendo, appena possibile, le proprie attività consuetudinarie. Al cospetto del bambino dovrà mostrarsi umano: fragile perché ragionevolmente preoccupato; empatico perché disposto all’ascolto; forte perché capace di concepire e mettere in atto delle soluzioni pratiche.


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