Caso Ilva: per troppi anni la passerella preferita di personaggi in cerca d’autore, con decisori nazionali pavidi, decisori locali paraculi e un corpo sociale che poi alla fine non capisce bene dove vuole andare e oscilla come un ponte di Morandi
"Tutta la città di Taranto, le famiglie e i lavoratori dell'azienda meritano risposte serie e immediate sul futuro della fabbrica e della città, sugli investimenti programmati in questi anni per Taranto da Ilva, sul contratto istituzionale di sviluppo, sulla zona economica speciale per il porto. Non serve la propaganda, prima il governo chiarisce cosa intende fare, meglio è per tutti".
"In questi anni noi abbiamo garantito la continuità produttiva salvaguardando i posti di lavoro, seppur in una situazione molto delicata. Il governo attuale la smetta di perdere tempo e di giocare allo scaricabarile. La tutela ambientale, della salute e del lavoro ora esigono responsabilità e scelte precise. Noi ci associamo all'iniziativa delle organizzazione sindacali e dell'impresa perché ora non è più tempo di rinvii".
E’ quanto ha dichiarato il Segretario nazionale del Partito democratico, Maurizio Martina, presentatosi a sorpresa la scorsa settimana ai cancelli dell'Ilva di Taranto prima dell'inizio del turno delle 6.
Saremmo tentati di utilizzare forme edulcorate ma invece è proprio il caso di dire che ci vuole una bella faccia di tolla per presentarsi ai cancelli dello stabilimento e fare la morale agli altri dopo aver passato anni a fare decreti salva Ilva, immunità e vendite che in futuro non assicurano un bel niente.
Perché, se è vero come è vero che i Pentastar stanno dimostrando anche sul caso Taranto di essere un branco di incompetenti intenti ad accalappiar farfalle, è parimenti certo che la vendita a Mittal – qualora dovesse finalizzarsi – non assicurerebbe certo l’impiego delle migliori tecnologie in circolazione o la coesione tra produzione e rispetto della salute. Di cosa parliamo?
Mittal ha tutti gli strumenti per diventare un potenziale Riva 2.0 e produrre a rotta di collo fino a quando, dopo mille promesse e qualche pannicello caldo, il bubbone non diverrà nuovamente purulento e difficilmente occultabile.
Ma purtroppo questo è il nuovo corso gauche intriso di rabbia e risentimento verso un elettorato che non la segue più e che si vorrebbe riconquistare a strattoni.
Sì, perché i cosiddetti dem sono diventati un po' grillini e pretendono di usare il modello con il quale Giggino ‘o Ministro e soci sono saliti al potere: instillare paure nella società (arrivano i fascisti, arrivano i razzisti, siamo al declino, il default è dietro l’angolo, clima pesante, situazione incandescente) onde poi fare la morale a chi ha il fardello di dover governare rimanendo però molto vaghi sulle soluzioni. Una legislatura di vacua campagna elettorale in stile MoVimento insomma.
Ci sono almeno tre motivi per i quali la sinistra non riuscirà a cavalcare la tigre: prima di tutto il giochetto presuppone che non si abbia un passato recente imbarazzante perché, se fai il figo, aspettati che qualcuno ti ricordi cosa hai combinato tu quando avevi responsabilità.
In secondo luogo il trucco è divenuto ormai vecchio e il cappone da spennare si è fatto furbo: non puoi fare sempre le solite menate di piazza “anti” qualcosa aspettandoti che il boccalone ti segua come un encefalitico. Infine un ruolo preponderante lo gioca la naturale supponente antipatia democratica: è come se elettori ed eletti della sinistra si fossero trasformati tutti in un mix tra l’aggressività sguaiata di Paola Taverna e la naturale arroganza di Massimo D’Alema. Parlare con un Dem oggi significa che la discussione terminerà in un nanosecondo perché la conclusione è che tu sei un ignorante, non sai quello che dici, dovresti studiare e sei un barbaro analfabeta funzionale (locuzione molto di moda a Capalbio per definire i non allineati). Ciò avverrà al primo accenno di insofferenza da parte tua di fronte a una qualsiasi utopica menata mondialista o di fronte al solito “si dovrebbe, si potrebbe, diritti civili, a monte, a valle, nella misura in cui, ma anche” piuttosto che di fronte alla solita idea, espressa con le solite parole d’ordine e sostenuta con la solita ostinazione tipica di colui che è certo di detenere la verità e di difenderla con lo stupore di chi proprio non si capacita che tu non gli dia ragione.
I democratici sono diventati insopportabili come un comizio di Di Battista ma forse è per questa enorme somiglianza che Dario Franceschini a Cortona ha confessato di essersi pentito di aver spinto i pentastellati tra le braccia di Salvini.
E sono anche opachi perché, se da un lato dipingono i grillini come il male assoluto, dall’altra li vorrebbero come alleati.
E così, tra un si dovrebbe e un si potrebbe, le sparano ad altezza uomo su tutto, andando a parare su argomenti delicati come quello industriale ionico (per la verità sono in buona compagnia dato che i media e l’arco costituzionale non fanno mai mancare la loro buona dose di luoghi comuni).
Discorso troppo complesso ed incancrenito per prestarsi alla facile polemica. Molto più onesto ammettere che il circo delle opinioni - dopo anni di esibizioni più o meno guardabili - sia a somma zero. A Taranto in troppi si sono sbracciati invano consumando tastiere, risme di carta e tempo con la presunzione di raccontare, fare opinione, svegliare le coscienze. Sulla città bimare abbiamo detto tutto: abbiamo parlato di bellezza paesaggistica, di pericolo sanitario, di industria, di ambientalizzazione, di chiusura del siderurgico, di epica dell’acciaio, di quanto è bravo il ministro x , di quanto è coglione il ministro y. È finito tutto nel calderone dell’irrilevanza rossoblu, nella fuffa di una città che ha la maledizione di non riuscire a farsi ascoltare. Ciò per dire che quella di Martina è solo l’ennesima pietra posta sul muro del niente. La realtà è che siamo stati per troppi anni la passerella preferita dei personaggi in cerca d’autore. La verità è che abbiamo da troppi anni dei decisori nazionali pavidi, dei decisori locali paraculi e un corpo sociale che poi alla fine non capisce bene dove vuole andare e oscilla come un ponte di Morandi. Dotiamoci di un barlume di coraggio e puntiamo il dito contro i responsabili politici ma anche contro noi stessi per aver permesso che il muro del niente deturpasse lo skyline ancor prima della copertura dei parchi minerari.