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CASO BATTISTI/SIAMO COSÌ, DOLCEMENTE FORCAIOLI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
GEN
2019

Erano lì, tutti trepidanti, in attesa di scartare il regalo sotto l’albero. No, riformulo, ho sbagliato. Erano lì, gioiosi e festanti, pronti a vedere se la befana gli avesse portato balocchi o carbone. Niente, non va, non funziona nemmeno così. Riproviamo: erano lì, le manine giunte e festanti, ad attendere un condannato che veniva riportato in Italia, per scontare la sua pena.
Ah, ora sì, ora cominciamo a ragionare. Bonafede e Salvini sono andati all’aeroporto. Tipo noi quando andiamo ad aspettare un parente che torna dalla vacanza, un figlio che rientra dall’Erasmus, o robe del genere. Avevano il visino emozionato, facevano saltelli di gioia, come le ragazze impazzite all’epoca dei Beatles. E mi sovvien l’eterno Corrado: “vogliamo vedere, vogliamo sapere, dacci oggi il nostro sangue in Tivvù…”.
Già, perché noi siamo così, dolcemente forcaioli. Abbiamo con il diritto e con la pena un rapporto simile a quello che gli Ostrogoti avevano con l’ordalia. Ormai la giustizia è diventata spettacolo, “sciò”, deve fare ascolti, come un film porno d’epoca, prima che le chat ed i siti di incontri spazzassero via dal mercato gli epigoni di Sua Possenza Rocco Siffredi. Sono i tempi in cui il Ministro della giustizia e quello dell’interno vanno lì, si fanno filmare e fotografare, aspettano il carico umano e fanno smorfiette compiaciute. Siamo ridotti a questo, ad una volgare farsa, che rende grottesco tutto ciò che vorrebbe sfuggire alla canaglia. E tutto diventa un incubo, si ha la netta impressione di vivere in un gigantesco contenitore di satanica voglia di linciaggio, in cui si perde completamente la concezione dell’uomo, si bramano pezzi, brandelli di carne, si mette in un angolo, sempre più distante, deriso, sputato, il diritto alla giustizia. Non abbiamo bisogno di questo, ma di ridare serietà ed autorevolezza alle leggi, al processo, alla pena. Siamo scaduti a un livello che mortifica la funzione della pena, che getta nel calderone della propaganda partitica l’arresto di un latitante, che perde ogni serietà. Ricordo un’intervista a Vasco Rossi, anni fa, in cui lo si cominciava a trattare da guru, come accade agli artisti riconosciuti troppo tardi e gli si chiedeva di cosa avesse bisogno l’Italia per invertire il suo declino. Il Blasco rispose con il suo solito stile: “io credo che in questo paese ci sia bisogno di essere più seri”. Poi si fermò, solo per un istante, ed aggiunse: “Cazzo, ma ve lo devo dire proprio io che dobbiamo essere più seri?”
Ecco, è il tempo dei ghigni di soddisfazione nel vedere le manette. Telecamere puntate sul corpo trasportato, il trofeo, ecce homo, avete il vostro trofeo, sbizzarritevi. Non è questo che deve fare la politica, se vuole davvero essere una guida. Il dramma è che le leggi del consenso premiano chi si mette in curva, insieme agli ultras, piuttosto che invocare qualcuno che li fronteggi. La banalizzazione della giustizia, la dicotomia insanabile, sempre più funesta, tra semplificazione e complessità, sta generando mostri binari, linguaggi semplici, forme larvate di ragionamento a due tocchi, tremendamente popolari, drammaticamente distanti da una forma di cognizione superiore. Perdiamo chili e chili di umanità e di razionalità, siamo un acquedotto di pensiero nobile bucherellato, che dissipa fiumi di idealità necessaria. Eccolo, è lui, è il colpevole. Ghigniamo, ghigniamo nei lieti calici e che qualcosa o qualcuno possa donarci la cultura sufficiente a salvarci.
 



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