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Crosetto e delizia

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

7
DIC
2012

 

Ci vorrebbe un Oscar Niemeyer da queste parti, a spezzare la rigidità del brutto e delle linee dritte. Ci vorrebbe un architetto come lui a portare il cemento armato al limite delle sue possibilità. Cinquanta sfumature di curva: quanta energia elastica, ma anche quanta morbidità sensuale nei suoi progetti. E invece no. Niemeyer è morto e questo rimarrà il regno incontrastato dei geometri e delle loro architetture discount. Brasiliano, comunista, da tempo esule a Parigi, si era risposato a 98 anni con una donna di 38 anni più giovane. All’unica figlia, contraria alle nozze, gli amici hanno spiegato che il padre «si era innamorato». Meraviglioso. A noi amanti del bello non resta che andare in pellegrinaggio all’auditorium di Ravello per rendergli omaggio e, visto che ormai ci siamo, facciamo pure un salto ai mercatini di Spaccanapoli. Addio Oscar: dai presepi di San Gregorio Armeno ti rivolgeremo un pensiero affettuoso ca’ pummarola ‘ncoppa. 
Oddio, la mia coscienza estetica aveva appena barattato la morte di Niemeyer con la promessa di una margherita a Port’Alba quando sono stata distratta dagli ultimi colpi di scena dello psicodrammone in casa PdL. Nelle puntate precedenti abbiamo assistito alle conferenze di un Berlusconi molto diverso rispetto a quello che, calza sulla telecamera, recitava nel ‘94: «L’Italia è il Paese che amo…». Ora, sguardo perso nel vuoto, si aggrappa al leggio del palco come un naufrago stanco, ricco ma pur sempre in un mare di guai. Non ci vuole un esperto di linguaggio non verbale per capire che non è affatto in forma. Eppure può contare su due fattori a suo vantaggio: 1) come le fa lui le campagne elettorali non le fa nessuno, 2) uno zoccolo duro di voti, probabilmente gli abitanti di quella Babilonia italica costruita nel suo ventennio. Altro che Niemeyer. 
Stamane (giovedì per chi legge), il colpo di scena: Guido Crosetto lascia commosso gli studi di Omnibus su La7 e forse anche il PdL: «Non me la sento di rimanere, –ha spiegato- parlerei del nulla», riferendosi alla notizia della discesa in campo di Berlusconi. Ora, non è un mistero che io abbia un debole per Crosetto: ho sempre avuto simpatia per quelle persone fuori posto, che sono lì ma dovrebbero essere là, come certi personaggi che nascono malvagi e poi passano dalla parte dei buoni (o anche viceversa): nell’economia di un’esperienza esistenziale o politica che sia, è molto più eroico passare la linea Maginot del cambiamento interiore piuttosto che rimanere –nel bene o nel male- come una bambola sul letto. In Crosetto c’è tutto il tormento del piccolo cigno nato in mezzo alle papere: ora che è cresciuto ed è un gran bel cigno, si sente diverso rispetto a tutti gli altri pennuti e soffre. Abbiamo sentito tutta la sua sofferenza in quel lapsus –«Ciocorì, ehm, Samorì»- quando si parlava ancora di primarie e il suo nome era candidato insieme ad altri più che improbabili; stamane poi, con quelle mezze lacrime e la voce rotta dalla lotta interiore, le quotazioni del nostro eroe hanno fatto la ola. Vorrei incontrarlo Crosetto. Dotandomi di sgabello per guardarlo negli occhi (è alto 2 metri), gli direi: «Caro Guido, non temere, si risolverà tutto. Certo, ci vorrebbe un tirannicidio, ma se è vero che il ridicolo uccide, tranquillo: non bisognerà far altro che aspettare». 
 


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