240 euro. 480 euro. 1200 euro. 1600 euro. Le cifre che ho dianzi riportate non sono solo freddi numeri ma rappresentano, schematicamente, uno dei problemi, tra i più importanti, che caratterizzano nel nostro Paese la così detta “emergenza migranti”. Entrando nello specifico, e dettagliando le cifre suddette, 240 euro è il contributo mensile che lo Stato riconosce alle famiglie per il sostegno alla disabilità. 480 euro è l’assegno mensile che lo Stato riconosce agli anziani italiani che hanno diritto alla pensione minima. 1200 euro è il contributo mensile che lo Stato riconosce per ogni così detto “migrante” che staziona sul suolo patrio. 1600 euro è il contributo mensile che lo Stato riconosce per ogni così detto “migrante”, minorenne e senza accompagnamento, che staziona sul suolo patrio. È del tutto evidente che il concetto di “equità”, che dovrebbe sovrintendere ad ogni intervento dello Stato in materia di welfare, è completamente stravolto e sovvertito con l’aggravante della “discriminazione” a danno della popolazione autoctona. Ma alle dazioni in denaro si sommano altri, ed altrettanto gravi, “atti discriminatori” che mortificano ulteriormente i soggetti deboli italiani rispetto alle varie etnie che si stanno moltiplicando sul nostro territorio (sperando che questo territorio si chiami ancora Italia e sia ancora la Patria degli italiani!). Alcuni esempi esplicativi. Per coloro che vivono nei campi Rom i Comuni, e quindi lo Stato, forniscono gratuitamente l’erogazione dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas (là dove quest’ultimo raggiunge i campi), ed i suddetti Rom non pagano alcun tipo di tassa sui rifiuti ed in genere alcun tipo di tassazione. Se un comune cittadino italiano, in un possibile momento di debolezza economica (sempre più spesso reale!), salta il pagamento di uno o più dei balzelli suddetti viene messo immediatamente in mora e subisce il distacco delle erogazioni sino al momento dell’intera estinzione del debito. E se anche in quelle famiglie ci sono dei minori, beh, chi se ne frega. Ancora. Sempre più italiani si ritrovano privi di un’abitazione. Nelle graduatorie comunali per l’assegnazione degli alloggi, comunque insufficienti, la priorità è sempre e costantemente riservata ai cittadini extracomunitari indipendentemente dalla posizione ISEE. Per quanto riguarda i così detti “migranti” i Prefetti espropriano, per alloggiarli, case, alberghi, persino residenze di rilevante interesse storico-culturale, mentre molte famiglie di italiani sono lasciati per mesi a vivere nelle autovetture quando non addirittura sulle panchine dei giardini pubblici anche se con figli minori. A tutti questi oggettivi atti discriminatori a senso unico si aggiunge anche la disonestà intellettuale di chi guida le sorti del governo nazionale e relativa alla generica definizione di “migrante”. Si mischiano nello stesso calderone coloro i quali fuggono da situazioni di guerra e di persecuzione che devono essere riconosciuti come “rifugiati” e per i quali è sacrosanta la concessione dell’istituto dell’asilo nel nostro come in ogni altro paese civile; coloro i quali fuggono dalla morte per fame che devono essere considerati “migranti economici” per i quali le organizzazioni internazionali dovrebbero trovare soluzione all’interno ed all’esterno dei loro paesi d’origine; coloro i quali non fuggono da alcuna di queste emergenze che dovrebbero essere considerati “clandestini” ossia fuorilegge e che pretendono di venire in Europa per delinquere più liberamente di quanto non possano fare nei loro paesi d’origine. Questi ultimi, secondo dati ufficiali, sono i due terzi di quanti arrivano nel nostro Paese e devono essere respinti inflessibilmente. Se quanto ho scritto è semplice demagogia, allora sì chiamatemi demagogo. Ma anche in questo caso è necessario dare il giusto peso alle parole che, troppo spesso, vengono utilizzate impropriamente. Nell’antica Grecia nel demagogo si indicava l’uomo capace di governare il popolo con le parole e nei fatti. L’accezione negativa del termine risale al XVI secolo quando si volle indicare colui il quale, per giungere al potere, sobilla il popolo con la promessa di appagare ogni sua aspettativa. Come vedete, nell’uno come nell’altro caso, l’appellativo non mi appartiene.