Il ramo che stavamo tagliando e su cui eravamo seduti si è rotto. Una caduta tonfa, chiamata, un presagio a più voci diventato realtà. Epidemia figlia legittima e manifestazione evidente del nostro essere, succubi del profitto. Interessi che aprono la strada alla nostra autodistruzione dove si vende a buon mercato la nostra salute. La corsa al progresso è giunta al capolinea mentre i pensieri si rincorrono tra ciò che è stato e quello che diventerà la nostra esistenza. La vita del nostro pianeta è ferma, resta vivo l’impegno e il lavoro di chi può salvare il salvabile: medici, professionisti, operai, agricoltori. Non chiamiamoli però eroi o privilegiati perché possono continuare a lavorare, oggi forse “il turno” di riposo servirebbe a tutti, per pensare, riprenderci, riflettere.
Le contraddizioni del sistema sono ancora tante e il primo passo sarà dissociare il mondo politico dalla succubanza al potere economico, infatuato dalle trasformazioni rapide e antisociali. La realtà agraria, da sempre sotto lo sguardo distratto degli altri, può offrire una buona occasione per ripartire. Riscoprire le valli, i borghi, la vita semplice del mondo rurale, il riaffiorare di tradizioni vestite di innovazione che un tempo rappresentavano la scuola di vita che ci hanno regalato serenità, prosperità, sicurezza interiore. La vita rurale si mantiene attiva, sempre irrimediabilmente alle corde, non più protagonista di un esodo ma di un acclamato ritorno, un ritorno ai tempi e alla dimensione umana, osservando il collasso di una società troppo ingegnerizzata. “Il mondo dei vinti" così chiamato da Nuto Revelli, descrive le nostre radici e le nostre memorie, storie di contadini, di un mondo che seppur conosce la miseria, senza gloria, si è reso protagonista di una misura di umanità che abbiamo voluto perdere in nome di una modernità, a discapito della nostra stessa libertà e orgoglio. I contadini erano gente che aveva tempo, la nobiltà del tempo che oggi reclamiamo per correre e autodistruggerci, perdendo così l’agio di pensare e di tacere, di tirare fuori dalla natura lezioni di vita e senso di equilibrio. Riscoprire l’animo umano è una partenza necessaria, un’ultima occasione per riscoprire noi stessi, il nostro tempo e la nostra grandezza. I cinesi hanno una bella espressione per descrivere le nostre vite: “Guardare i fiori dal dorso di un cavallo” ovvero essere attori di cose meravigliose ma sempre distratti, di corsa, distanti, senza aver tempo di soffermarci su noi stessi.
Un detto contadino invece invita ad esercitare un secondo udito e una seconda vista, un secondo senso, per cogliere l’interezza del nostro vissuto. L’agricoltura è anche questo, un vissuto di leggende e saperi, più di una professione o nobile passatempo, casa di cultura e saggezza. Riconsiderare l’intorno ed operare in modo congiunto verso la custodia della natura, non solamente in termini di produttività e redditività, ma spolverando un senso di responsabilità verso l’ambiente dove abitiamo. Il territorio rurale si qualifica come un patrimonio comune di risorse e valori dai quali è necessario ricominciare per avviare piccole azioni concrete. Riscoprire la conversazione e l’incontro, le tradizioni, la festa del ritorno alle nostre radici, ritrovare un rinnovato valore in posti, oggi abbandonati, dove i nostri nonni hanno costruito un senso umano di civiltà. Se una società si rafforza con la sua determinazione più che con nuove armi, è il momento di impegnarci per i valori in cui crediamo e forse questa è l’ultima occasione.