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Pietro Mennea/Non solo un corridore

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

18
APR
2014
Correre, sempre di più, sempre più veloce, incontro alla vita, per non aspettarla, ma per inseguirla, per raggiungerla e, se possibile, per superarla. Un docufilm ha ricordato la figura del grande sportivo nel primo anniversario della scomparsa
 
È in questa parola: correre, che si può riassumere la statura morale, lo spirito indomito, la scintillante carriera sportiva e la vita stessa di un uomo quale era Pietro Mennea. La Freccia del Sud, come fu soprannominato, per accentuare le somiglianze tra questo giovane barlettano, un po’ mingherlino, e il nuovo treno veloce che collegava, negli stessi anni, le regioni meridionali. Un uomo, Pietro Mennea, che troppo in fretta ci ha lasciato, come se altre gare, altri record, altre medaglie lo aspettassero nell’altro mondo. Un campione che se ne è andato, sempre di corsa, il 21 marzo del 2013, giusto un anno fa. 
Dopo un anno, in cui anche noi italiani, velocemente, lo abbiamo dimenticato, questo grande campione ritorna in un evento organizzato dall’Associazione di Promozione Sociale “ERIS” di Taranto, presso quel contenitore di senso e cultura che è la Mediateca Regionale Pugliese di Bari, lo scorso 28 marzo 2014.
Il titolo dell’iniziativa “19,72””, è sia il tempo da record dei Mondiali di Messico ‘79, imbattuto per quasi 20 anni, sia il titolo del Docu-film di Sergio Basso, realizzato con la partecipazione del campione, dello storico allenatore Carlo Vittori, degli amici e dei familiari. Il film, prodotto dalla Sharoncinema, era stato presentato, in anteprima, lo scorso anno al Festival del Cinema Europeo di Lecce, a poche settimane dalla morte di Pietro Mennea, e da allora più niente, almeno in Puglia. L’Associazione ERIS ha fortemente insistito per una presentazione a Bari del documentario; l'iniziativa infatti si è inserita, in extremis, nella rassegna “Momenti di Glorie - I Miti dello Sport”, promossa da Vito Antonacci, che dal 7 al 28 marzo, per quattro venerdì consecutivi, ha portato, sempre in Mediateca, vecchie glorie dello sport pugliese.
Noi di Extra Magazine eravamo al seguito dell’associazione ERIS  e come nostra abitudine abbiamo raccolto alcune delle dichiarazioni dei promotori di questa iniziativa.
 
Per primo abbiamo sentito Sergio Basso, classe 1975, talentuoso regista milanese, in questi giorni presente nelle sale con il suo primo lungometraggio di fiction “Amori Elementari”, con Cristiana Capotondi.
 
Sembra che per la cinematografia europea, e soprattutto italiana, il documentario rappresenti il nuovo paradigma. Penso al “Cesare deve Morire” dei fratelli Taviani, che incanta e conquista l’Orso d’Oro al Festival di Berlino del 2012, al “Sacro Gra” di Gianfranco  Rosi, che vince il Leone d’Oro alla 70° Mostra del Cinema di Venezia, o al “Tir” di Alberto Fasulo, che si impone all’ultimo Festival del Cinema di Roma. È un bel momento per il documentario italiano, c’è davvero un desiderio di realtà da parte del pubblico? O è qualcosa di diverso, che ha a che fare con la nostra memoria?
 
«Penso sia un bellissimo segnale, inequivocabile, che si sia investito molto bene negli ultimi 15 anni nel documentario,anche se mi piace sottolineare che, credo, una delle componenti del successo di questo genere sia il fatto che, fine anni ’90 inizio 2000, ci siano state TV satellitari come Tele Più ed altre che, grazie a persone come Fabrizio Grosoli, grande produttore creativo, hanno deciso di investire nel documentario. Sono passati solo 15 anni, ma quella generazione cresciuta con le prime TV via satellite ha avuto l’occasione di vedere e fare cinema del reale e soprattutto il pubblico ha avuto l’opportunità di educarsi alla visione di questo genere. Quando per oltre quindici anni sei esposto ad una continua produzione di medio alto livello di documentari, ti rendi conto che è un genere che val la pena seguire. È a quel punto che si creano dei festival, una circuitazione, un confronto costante con il pubblico; allora gli stessi documentaristi  si migliorano, perché hanno meglio presente il pubblico a cui devono raccontare. Inoltre, non dimentichiamolo, per i produttori un documentario, rispetto ad un film a soggetto, ha costi decisamente minori».
 
Che cosa ti è rimasto di quest'esperienza con Pietro Mennea, quale credi che sia l'insegnamento che pensi di portare con te nella tua carriera di regista?
 
«E' una domanda molto difficile, lui se ne è  andato molto velocemente; ci sentimmo telefonicamente nel gennaio 2013, lui stava già male, stava aspettando di operarsi nuovamente, parlammo del film, lui ci teneva moltissimo... se ne è andato così velocemente che a me sembra esserci ancora, è un po’ come con un amico: sai che lui è impegnato, tu non vuoi disturbare, però ci pensiamo ancora e prima o poi ci risentiremo. Per me è molto complesso metabolizzare questa assenza, perchè Pietro era un uomo pieno di vita, di idee, di progetti. Sembra davvero sia stato reciso il filo delle Parche, cioè qualcosa che si è dissolto molto velocemente, che tu non pensi neanche alla morte ma a una trasfigurazione. Di un uomo così senti meno l'assenza e più il lascito».
 
A Sara Libera Mainieri, presidente della A.P.S. ERIS, abbiamo chiesto perché ci tenesse così tanto a promuovere la visione di questo film a Bari, dopo averlo visto in anteprima a Lecce.
 
«Rivedere questo film per la seconda volta mi ha commosso  molto di più dell'anteprima al Festival del cinema Europeo di Lecce. Gli aspetti che più mi hanno colpito sono il senso del sacrificio allo stato puro rappresentato da Pietro, la sua dedizione totale e la sua forte volontà di voler diventare un campione mondiale e un campione nella vita. Questi sono i veri valori dello sport da divulgare ai giovani per farli diventare, prima ancora che grandi atleti, grandi uomini».
 
Un corridore, Pietro Mennea: anche dopo aver lasciato la carriera sportiva continuò a bruciare tappe e successi professionali. Aveva quattro lauree, una in scienze motorie, una in giurisprudenza, una in scienze politiche e una in lettere, fu parlamentare e continuò sempre e costantemente a promuovere i valori dello sport in seno alle istituzioni. Un esempio di uomo e di atleta da promuovere e divulgare come un mantra sopratutto fra i giovani, nelle scuole, fra quelle generazioni che credono e sperano che la partecipazione a un reality possa cambiare la loro vita. Pietro Mennea ci ricorda che con la volontà, il sacrificio e la determinazione nulla è fuori dalla nostra portata: i traguardi sono dinnanzi a noi e per raggiungerli, superarli, tagliarli bisogna solo correre di più, correre più veloce, correre sempre.
 


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