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Deborah Capasso de Angelis/Alle radici del male

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

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LUG
2015

Non le "anomalie" di raptus imprevedibili e fulmini a ciel sereno: i suoi studi si concentrano piuttosto nella "normalità" di un rapporto uomo-donna culturalmente gerarchico, asimmetrico e troppo spesso violento. Intervista alla Presidente nazionale dell‘Associazione Criminologi e Criminalisti e preside del Dipartimento di Scienze Criminologiche presso l’UNISED

 

La violenza di genere, che nella ferocia estrema sfocia nel femminicidio, pone in primo piano la drammaticità di un fenomeno inquietante e in continua crescita. La violenza nei confronti delle donne affonda le proprie radici nella discriminazione di genere e attiene a profonde e radicate motivazioni culturali caratterizzate da modelli fondati su dominio e prevaricazione tra i generi. Ecco perché per prevenirla è fondamentale intervenire sulla problematica culturale, sull'educazione alla legalità, al rispetto del valore della vita umana, alle differenze di genere. Insieme  alla dott.ssa Deborah Capasso de Angelis, criminologa e  Preside del Dipartimento di Scienze Criminologiche presso UNISED - Università Internazionale di Scienze della Sicurezza, abbiamo cercato di delineare questo angoscioso fenomeno moralmente e culturalmente  destabilizzante, cercando di dare alcune risposte ai maggiori  interrogativi che attanagliano il nostro cuore ogni volta che ascoltiamo la terribile notizia di una donna vittima di violenza.

 

 

 

Deborah Capasso de Angelis, per una donna è  più difficile rispetto a  un uomo lavorare in ambito forense? Qual è la sua esperienza personale?

«In realtà non credo che ci siano grandi differenze di genere in questo lavoro, credo piuttosto che si tratti della forma mentis della persona. Un criminologo deve essere predisposto a dare nuove interpretazioni ai fenomeni criminosi, deve essere attento ai cambiamenti sociali, formarsi continuamente, confrontarsi con le discipline che compongono la sua materia di studio, non respingere le diverse visioni dei fenomeni tenendo sempre ben presente che il crimine è opera del comportamento umano quando trasgredisce a un codice normativo di riferimento al contesto in cui egli vive e agisce. Nel mio percorso ho incontrato, come tutti, delle difficoltà ma ho continuato caparbiamente a voler realizzare i miei obiettivi. 

Un pizzico di fortuna nell’incontrare le persone giuste e il non aver mai creduto di essere arrivata alla fine del mio cammino lavorativo mi hanno aiutata a concretizzare alcune delle mie aspettative. In genere il confronto con i colleghi del sesso opposto è costruttivo e assolutamente privo di una qualunque forma di discriminazione, l’ultima conferma di ciò è l’avermi voluto concedere l’onore di essere il Presidente Nazionale dell‘Associazione Criminologi e Criminalisti.

La vera lotta è quella quotidiana e comune a tutte le donne: riuscire a coniugare lavoro, famiglia e femminilità».

 

 

Essere una donna criminologa può aiutare a  interpretare in modo diverso alcune sfumature legate alla violenza di genere e alla tutela della vittima? Nel suo percorso qual è stato il caso più complesso da analizzare?

«L’essere donna criminologa può, a mio avviso, aiutare a leggere in modo diverso alcune sfumature soprattutto in casi di violenza di genere, di violenza sui minori ma anche in casi in cui necessita una particolare attenzione alla vittima. Naturalmente questa non è una regola, in taluni casi un’eccessiva sensibilità può portare a un pericoloso coinvolgimento nello studio di un caso in quanto ci si identifica troppo con il soggetto offeso. La regola, comunque è, e deve essere, quella  dell’assoluta certezza di far rispettare i protocolli e le leggi di riferimento al caso in oggetto.

Di casi complessi ce ne sono tanti, il mio lavoro è prevalentemente d’insegnamento e ricerca. 

Ultimamente i casi che affrontiamo più di frequente sono quelli legati al cyber crime: dalle vittime di cyberstalking e cyberbullismo alla pedopornografia. Ma non mancano casi di furti di identità e di pishing. Ci stiamo adoperando per far conoscere quanto più possibile ai “navigatori del web” come difendersi e come individuare l’autore di reato. La complessità consiste nella comprensione dell’uso del mezzo informatico inteso come non-luogo in cui si crea una realtà alternativa, un sè plurale, diverso ma peggiore poiché legittimato dalla garanzia dell’anonimato ma che ha ripercussioni, e gravi, sul vissuto quotidiano».

 

 

La violenza di genere, che nella sua forma più estrema sfocia nel femminicidio, pone in primo piano la drammaticità di un fenomeno che appare inquietante e in continua crescita.  Le statistiche ci dicono che la violenza nei confronti delle donne è in aumento. Secondo il suo punto di vista, esiste un motivo specifico per questo dilagare della violenza contro le donne? Può l’uomo di oggi fare fatica a accettare il mutamento di identità sociale ed emancipazione della donna nella società percependola come “minaccia”?

«Quello da lei citato è sicuramente uno dei motivi. L’emancipazione della donna l’ha resa consapevole di avere delle grandi potenzialità,  le quali, viste dal punto di vista maschile, possono accrescere la percezione di perdita del controllo e di dominio a cui la cultura maschilista ha abituato l’uomo, facendo in modo che aumentino i casi di femminicidio».  

 

Prevenire la violenza di genere, proteggere le vittime e punire severamente i colpevoli. Sono questi i tre obiettivi fondamentali per tutelare le donne ma in molti casi di omicidio, è capitato che le vittime avessero precedentemente denunciato invano i propri stalker. Cosa manca al sistema per tutelare realmente  le persone vittime di stalking?

«Alla fine di una relazione, in genere,  le persone accettano il fatto di dover compiere il proprio  percorso di vita separandosi dal compagno. Quando questo non avviene, si cerca continuamente un contatto con l’altro, nonostante i rifiuti ai tentativi di riallacciare la relazione, imponendo la propria presenza. Il termine stalking chiarisce e stabilisce un continuum di azioni moleste in un tempo relativamente lungo le quali impongono un cambiamento dello stile di vita, delle abitudini della persona e producendo ansia o paura nelle vittime. Inoltre, non esiste una sola tipologia di stalker ma esso si differenzia da un altro appartenente a un'altra tipologia in base al rapporto con la vittima, al motivo che sottende l’azione di stalking e alla presenza o meno di un disturbo  mentale. Conoscere e comprendere a fondo lo stalking e gli autori di tale reato permette agli operatori di intervenire in maniera corretta e alle vittime di riconoscere il fenomeno. Spesso, infatti, tale fenomeno non si riconosce come dannoso e in alcuni contesti vige ancora la pratica del non denunciare alle autorità ma di cercare di risolvere il problema tramite reti amicali. Al sistema non manca nulla, quel che manca è, a mio avviso, la giusta educazione e informazione al reato di stalking alle vittime come agli operatori del settore, solo fornendo loro i giusti strumenti si può arrivare ad arginare il fenomeno».

 

Le donne possono cogliere dei segnali prima dell’instaurarsi di un evento senza ritorno? È quindi possibile una qualche forma di prevenzione? Quali consigli darebbe a una donna vittima di violenza psicologica o fisica, chiusa nel proprio silenzio?

«Il consiglio che darei è semplice nella teoria ma, mi rendo conto, a volte molto difficile nella pratica ed è: chiunque sminuisce l’operato di un altro, chiunque percuote un altro, chiunque si crede superiore a un altro e lo fa notare continuamente, chiunque cerca il controllo su un altro, chiunque accampa diritti e pretende doveri è una persona da allontanare dalla propria vita. E‘ una persona incapace di amare, una persona che vuole fare consapevolmente del male ad un‘altra. Amare non è mai prevaricare l’altro. Amare significa accompagnare l’altro nel proprio progetto di vita, accettandone le sfaccettature, le diversità, imparando a entrare nella sua visione della vita buona senza volerla modificare. Se questo non avviene non è amore.

E non bastano le scuse, i fiori o le promesse di un futuro diverso e migliore, né le lacrime e i pentimenti: il ciclo della violenza si ripeterà ancora e ancora. Per una donna che ha consapevolezza di questo, il passo successivo è parlarne, uscire dal silenzio della sofferenza, dire basta, farsi aiutare. La difficoltà di un percorso che sembra così semplice sta nel trovare il concreto aiuto esterno nel momento in cui si è presa la decisione di venir fuori da una situazione di violenza fisica e psicologica. Gli aiuti ci sono e sono presenti su tutto il territorio nazionale sotto forma di associazioni contro la violenza di genere, forze dell’ordine, strutture sanitarie, assistenza sociale dei comuni di residenza».

 

Gli interventi legislativi sono fondamentali per la definizione dei reati, per la tutela delle vittime e per gli interventi di sostegno alle stesse. Accanto a questo è necessario però avviare una specifica attività formativa che consenta ai giovani una vera e propria educazione ai sentimenti, in grado di far superare gli stereotipi di genere. Quali strumenti si possono mettere in funzione e con quali finalità?

«Le attività formative di educazione alla legalità, al rispetto del valore della vita umana, alle differenze di genere, sono l’arma più potente in nostro possesso. Tali attività andrebbero incluse nei programmi scolastici fin dalla scuola elementare, in modo da avere adolescenti e futuri adulti consapevoli della gravità di alcuni comportamenti. Purtroppo l’esposizione alla violenza che avviene tramite videogames, mezzi informatici e mass media hanno prodotto, nel tempo, una disumanizzazione della vittima che solo un’adeguata e forte azione educativa può contrastare. L’organizzare momenti d’incontro e di dialogo tra professionisti della formazione nel campo criminologico, i giovani, i genitori e gli insegnanti sarebbe auspicabile e utile per superare gli stereotipi di genere. Attraverso l’azione discorsiva ed educativa, infatti, i diversi generi sarebbero ascoltati in un confronto alla pari, argomentando ognuno le proprie convinzioni, le proprie paure, esigenze, aspettattive». 

 

Le statistiche ci dicono che la violenza nei confronti delle donne è nettamente superiore a quella maschile, spesso l'uomo è il carnefice, la donna la vittima. Ma quando accade il contrario, l'idea che anche gli uomini possano essere vittime di violenza da parte delle partner come viene concepita dalla società? Come vengono considerati dalla legge gli uomini vittime della violenza psicologica e fisica femminile?

«La violenza esercitata sugli uomini è assolutamente presente ed è un genere di violenza prevalentemente psicologica che si esplica in alcune azioni di controllo dei movimenti e delle azioni quotidiane. Tra queste: il controllo sistematico del telefono cellulare, delle mail, degli spostamenti fuori casa, il continuo frugare nelle tasche degli abiti e, non meno grave, l’accusare  il proprio partner di essere incapace nel proprio lavoro e inadeguato nella vita di coppia. La legge tutela allo stesso modo uomini e donne, tuttavia i casi di violenza della donna sull’uomo sono meno frequenti, ciò è anche  dovuto dal fatto che tali casi raramente vengono denunciati rientrando nel c.d. numero oscuro».   

 

Che cosa suggerisce ai giovani interessati ad iniziare una carriera nel campo delle Scienze Forensi?

«Il suggerimento che io stessa mi ripeto in continuazione: studia! La criminologia è complessa e di difficile comprensione se la si considera come un’astrazione dalla realtà, come una scienza che studia eventi straordinari, da scenario televisivo. Siamo noi, da esseri imperfetti, a creare e ricreare gli assetti della società e siamo noi a modificare il nostro modo di vita a seconda dei nuovi bisogni che quella stessa società, da noi creata, ci impone. Così nasce l’esigenza di stabilire le nuove regole da seguire e, per alcuni, l’esigenza di nuovi modi per poterle violare. Attraverso la conoscenza, l’analisi del contesto in cui si intende operare e la predisposizione a un approccio multidisciplinare si potrà arrivare a prevenire e contrastare le azioni criminali». 

 


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