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Claretta Petacci, angelo o demone di Mussolini?

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

31
AGO
2021

Aveva indovinato Clara che quella notte fra il 27 e il 28 aprile del ’45 sarebbe stata la prima passata interamente insieme al suo Ben e anche l’ultima per entrambi? Si frequentavano dal ’32, lei viveva giornate attorno al suo sole con una regolarità da impiegata, con il suo “ufficio” a Palazzo Venezia, l’appartamento Cybo dagli splendidi pavimenti maiolicati e dai soffitti affrescati. Era lì che lei conservava le sue variopinte vestaglie, tanto amate da non avere remore di farsi vedere anche da estranei in quella mise: era in vestaglia nei bei tempi quando riceveva i suoi ospiti in tarda mattinata, nella camera da letto della villa di famiglia alla Camilluccia, alla presenza della madre che nel frattempo sbrigava la corrispondenza destinata alla figlia; era in vestaglia anche il 3 aprile del ’44, quando un’inviperita donna Rachele si presentò in un pomeriggio di pioggia nella villa di Gardone, poco lontana dalla residenza di Mussolini e dalla sede della Repubblica Sociale, vomitandole addosso tutta la rabbia di moglie tradita, scoprendo addirittura sui giornali quanto importante fosse la liason tra i due. Sapeva che il marito collezionasse incontri con altre donne ma si vantava che la sera tornasse sempre a dormire da lei. Era vero. Ecco perchè quella notte a Dongo fu la prima e l’ultima dei due amanti, nonostante anni di frequentazione quotidiana: i particolari del rapporto tra i due fu dato alle stampe quando le sorti politiche del duce erano già segnate. I giornali non risparmiarono nulla, neanche la descrizione degli intrighi della corte “petacciana”, trasformando Claretta nel bersaglio dell’odio collettivo: lo studio medico del padre fu il primo a essere devastato alla caduta del regime e la villa alla Camilluccia fu dapprima confiscata, poi restituita e in seguito venduta e abbandonata. Sui suoi resti demoliti sorge oggi un complesso di edifici.

Clara amava davvero così tanto il suo Ben tanto da risultare innocente da qualunque colpa tranne quella, appunto, del suo grande amore? Di certo aveva un merito, almeno per gli storici: scriveva, scriveva tantissimo, riportando su carta (e durante la prigionia del ’43 anche su quella igienica) telefonate e dialoghi, e conservava accuratamente tutto il carteggio, oggi custodito presso l’Archivio di Stato a Roma e solo in parte pubblicato. Proprio da queste fonti di prima mano si comprende quanto il sentimento fosse burrascoso, manesco, tormentato da alti e bassi: lei gelosissima lo inondava di accuse anche nei momenti meno opportuni, lui spazientito le alzava le mani e tentava, soprattutto negli ultimi tempi, di allontanare lei e la sua famiglia sempre più pretenziosa. Un rapporto molto sensuale in cui lei si offriva a lui ma in cambio di continue richieste e favori per il fratello traffichino e spaccone, per la sorella con velleità da attrice, per il padre medico: tutto questo sotto la regia dell’ambiziosissima madre Giuseppina. Un sistema familiare che ruotava attorno ai due amanti e che ne seguì fortune e il tragico finale. Marcello, il fratello maggiore detestato dal “cognato”, fu scambiato per Vittorio Mussolini e messo nel gruppo dei gerarchi fascisti da fucilare. Clara fu uccisa accanto al suo Ben a soli 33 anni: i due corpi furono esposti nel luogo simbolo in cui vi furono ammazzati poco tempo prima per rappresaglia quindici partigiani. Nella rabbia del momento, durante la tremenda sfuriata fatta a Clara nel famoso pomeriggio di pioggia a Villa Fiordaliso, donna Rachele pronunciò, pare, una terribile profezia: “Finirete entrambi a Piazzale Loreto”. E così fu.



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