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Teatro/L´Inferno serve

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

21
NOV
2014
Non un luogo di perdizione ma una tappa per ritrovare sé stessi. Una chiave interpretativa che va al di là dell’opera di Mozart; è il Don Giovanni di Gabriele Guarino, da lui diretto e interpretato presso l’Auditorum Tarentum
Ciò che muove il mondo è l’Amore insieme al Desiderio, che spinge alla volontà, all’azione, al coraggio e al rischio; sicuramente il Don Giovanni pone in risalto questi concetti, quasi come se li illustrasse. Un’ opera blasfema se si considera il modus vivendi di allora e perché no, anche quello di oggi. Una Commedia dell’Arte dove la maschera ha il suo ruolo fondamentale, utile a proteggere, a rassicurare e a far sentire forte chi la indossa, ma a volte a racchiudere un'anima impossibilitata ad aderire a qualsiasi maschera, volta alla famelica ricerca della sua vera natura; «rivelarsi è rischioso, ma è l’unico modo per non morire soli» ammette Don Giovanni. Un’opera divertente per certi aspetti, che mette a nudo le imbarazzanti situazioni in cui si trovano due contadini prima di sposarsi e quelle del servitore Leporello alle prese con le azioni del suo padrone. Gabriele Guarino, direttore e interprete del Don Giovanni, nasce a Taranto ma vive a Roma, dove ha studiato Saperi e Tecniche dello Spettacolo presso la Sapienza, ha lavorato con Tullio Solenghi, ha insegnato presso l’Istituto Musicale Giovanni Paisiello di Taranto e a gennaio di quest’anno ha fondato  la Compagnia “La Bottega dei Comici” che dirige. 
Gabriele, raccontami com’è dirigere e interpretare il Don Giovanni. 
«Nasco come attore e il debutto alla regia è avvenuto proprio qui a Taranto con un altro spettacolo. Ora vi è la sfida di questa regia abbastanza complessa; ma in realtà è complessa l’idea dello spettacolo di cui poi la regia ne è un effetto. In realtà l’idea è nata molti anni fa,  non riuscendo a trovare però quella innovativa; non volevo rifare il Don Giovanni di Moliere piuttosto che quello di Tirso, ma ancora non c’era nulla che mi stuzzicasse. Fatalmente poi sia l’esperienza di insegnamento in Commedia dell’Arte, sia quella al Liceo Musicale Paisiello mi hanno fatto scattare qualcosa. Lavorando sulle tecniche di consapevolezza corporea, mi ha fatto capire che c’è un intero universo da esplorare nel rapporto tra musica e corporeità e allora mi si è accesa la lampadina e mi son detto: perché non provare a dare corpo alle musiche del Don Giovanni di Mozart attraverso il mio ruolo di attore e la mia nuova compagnia, la “Bottega dei Comici”? Considerando comunque che l’idea di dare corpo alle musiche, storicamente aveva senso, se pensiamo che nel ‘500 la Commedia dell’Arte e il Teatro Musicale erano fusi. Orazio Vecchi o il Monteverdi erano tutti frequentatori dei comici dell’Arte seguendo poi delle linee evolutive diverse. Tutto sommato non ho inventato nulla di nuovo in quanto riunisco due linguaggi che erano già uniti, “musichiamo le maschere e mascheriamo la musica!”».
Esiste il Don Giovanni oggi?
«Tutti gli uomini che sono alla ricerca della loro vera natura e che per arrivare a questa loro natura sono disposti ad andare fino in fondo, anche se questo costa loro mettere in discussione delle certezze che hanno avuto fino a quel momento, anche quelle più profonde e più radicate, perché quello che conta veramente è aderire a se stessi; di uomini così ce ne sono, li ho riscontrati sia in quelli della mia generazione (anni 80) che in quella successiva, quindi credo sia giusto raccogliere queste testimonianze e il teatro sicuramente ci può aiutare in questo. Il teatro stimola e condisce qualcosa che sentiamo di portare avanti e incarnare nella nostra vita, fa render conto, è una metafora, un pretesto per dire “Oh ragazzi se la vostra strada è da un’altra parte, lasciate tutto e andate!».
E’ una provocazione quindi?
«Certamente. Così come l’inferno in cui lo stesso Don Giovanni va a finire, per aver fatto ciò che ha fatto, per esser stato rovesciatore della morale e della convenzione culturale corrente, tradendo il mito dell'empio punito, rovesciandone a sua volta il significato. L’Inferno non è una punizione ma una tappa da attraversare. La domanda è: siamo disposti ad attraversare l’Inferno per trovare noi stessi?!». 
 


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