MENU

È nato/ ‘nu belle Bammine

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

19
DIC
2014
I riti, le ninne nanne e i racconti costituiscono una parte importante dell'inestimabile patrimonio della cultura tarantina. La tradizione natalizia tarantina tra detti, nenie e gastronomia
 
 
La tradizione popolare, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, si avvale non soltanto di tradizioni incentrate su manifestazioni civili e religiose, ma anche e soprattutto di detti, nenie e gastronomia come diremo nel servizio che andiamo a presentare.
Furono Giuseppe Cassano in “Radeche Vecchie”, Cataldo Acquaviva in “Taranto tarantina” e Alfredo Majorano a trasmetterci il patrimonio sui detti proverbiali connessi con il Natale; le nostre nonne ci insegnarono le nenie e i segreti della buona cucina tradizionale in riva allo Ionio. 
Antonio Fornaro da oltre un quarantennio cerca di mantenere vivo questo patrimonio trasmettendolo agli alunni delle scuole, ma anche in altri ambiti cittadini. Si tratta di una operazione non semplice ma importante perché senza di questi componenti la tradizione risulterebbe monca.
I detti dialettali tarantini non fanno riferimento soltanto alle singole festività che scandiscono i tempi del Natale, ma sembrano guidare per mano i cittadini facendo conoscere loro con anticipo il tempo che farà a Natale, a Capodanno e dell’Epifania.
E’ il caso del seguente detto: “Accume Catareneje, accussì Barbareje e accume Barbareje accussì Nataleje”, non si tratta di lingua araba, ma semplicemente del dialetto tarantino con il quale si fa sapere che il tempo, meteorologicamente parlando, che farà il 25 novembre, giorno di Santa Caterina, si ripeterà anche il 4 dicembre, festa di Santa Barbara, e il 25 dicembre, Natale.
Ma, attenti, per il giorno di Santa Caterina perché potrebbe fare molto freddo come recita il detto: “De Sanda Catarine ‘a neve sobbr’ a’ spine”. 
Altrettanto simpatico è il detto riferito al giorno di San Clemente quando si dice che l’inverno ha messo il primo dente. 
Non da meno è il giorno di Santa Bibiana perché se piove il 2 dicembre pioverà per un mese e una settimana.
Lasciamo i detti proverbiali e veniamo alle nenie che le nostre nonne ci cantavano attorno al braciere nei tempi passati per farci addormentare. 
Non capivamo nulla, data l’età, ma sembrava che la dolcezza della musica e la poesia delle parole ci incantasse e ci facesse dolcemente addormentare.
Una così diceva: “‘A ninna nenna nonne, ha parturite  ‘a Madonne e ‘a ffatte ‘nu belle Bammine, vianche, russe e ricciulline. ‘A Madonne ‘u tene ‘mbrazze, San Geseppe l’allisce ‘a facce”.
E veniamo alla parte più succulenta dell’odierna nota, quella gastronomica.
I nostri padri ci tenevano a rendere particolarmente festose le vigilie e le feste natalizie e lo facevano preparandosi nei mesi precedenti attraverso i risparmi e le provviste d’autunno che sarebbero servite non soltanto per il Natale ma per tutto l’inverno. 
Caratteristica del cenone della Vigilia è la presenza dei frutti di mare e del pesce cucinati in tutte le salse, ma non mancano le verdure perché richiamano alla mente la dura vita contadina.
Sulla tavola imbandita facevano mostra di sé salsiccia e provolone piccante, peperoni salati, melanzane sott’olio, fichi mandorlati, frutta secca, finocchi e ravanelli.
Avremo occasione in altra circostanza di far conoscere ai nostri lettori nel dettaglio il cenone della Vigilia che per i tarantini è semplicemente “ ‘u sgranatorie”.
I tarantini chiamano “chiarenze” le bevande che accompagnano il cenone. Si tratta dei vini pregiati dei nostri vigneti.
Il settore dolciario ancora oggi la fa da padrone proponendo le calde, fragranti e semplici pettole o “frittelle dei poveri” ma anche sannacchiudere, carteddate, purcedduzze e diente de San Geseppe con tanto miele e confettini. Una vera golosità, ciascuno con il relativo significato simbolico: le pettole rappresentano il guanciale di Gesù Bambino, le sannacchiudere la culletta e le carteddate le fasce in cui fu avvolto il Bambinello.
Ma che sia una vera golosità lo dimostra il fatto che il nonno di famiglia conservava l’ultimo sannacchiudere per il 10 maggio, festa patronale di San Cataldo per i tarantini.
Il lettore si chiederà cosa occorreva per una rapida digestione di tutto questo bendidio; semplice: un buon bicchierino di rosolio fatto in casa, una mezza tazza di caffè, il liquore di erbe amare chiamato “stomateche”. E se tutto ciò non faceva effetto era pronto “‘u sturature” a base di finocchio e altri ortaggi che agevolano la digestione.
Provare per credere.
Ma che sia una vera golosità lo dimostra il fatto che il nonno di famiglia conservava l’ultimo sannacchiudere per il 10 maggio, festa patronale di San Cataldo per i tarantini.
Qualcuno penserà che potrebbe sembrare una magia.
Ma certe magie, credeteci, le sanno fare soltanto le tradizioni.
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor