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ANTONIO MORELLI/La legge nasce bene (è dopo che vengono i problemi)

Pubblicato da: Categoria: COVER

26
OTT
2012

 

Processi mediatici, storture, interferenze politiche ed economiche. Il Presidente del Tribunale di Taranto, alla soglia dei cinquant’anni di carriera, racconta la sua idea di giustizia
 
 
«In generale, la Giustizia è uguale per tutti, perché è utile nei rapporti sociali; ma in casi particolari, e a seconda dei luoghi e delle condizioni, risulta che la stessa cosa non è giusta per tutti.»(Epicuro)
 
Un tribunale è il posto in cui una persona di sani principi (che non sia avvocato o giudice, ovviamente) si augura di non finire mai, almeno per questioni che lo riguardino da vicino. Se si tratta di fare un’intervista per lavoro, ci si può addentrare con più serenità, ma la sensazione di inquietudine, mista anche a una certa curiosità, permane: dopotutto su quegli stessi pavimenti, per quegli stessi grandi corridoi, hanno camminato criminali e innocenti, o, nel caso delle vittime di omicidio, i loro rappresentanti. E’ l’immagine che siamo abituati a vedere dalla televisione a condizionare le nostre sensazioni; ma poi ci si addentra e si incontrano tanti amici, tutti avvocati, che tornano dal lavoro e la sensazione sgradevole passa: entrandovi per la prima volta per intervistare il presidente Morelli, è capitato di incocciarne ben tre.Saliti fino al secondo piano di questo grande edificio dotato di larghe vetrate e scalinate enormi, incontriamo nel suo ufficio il dottor Antonio Morelli, 73 anni, giudice e presidente del Tribunale di Taranto. Nativo di Taranto, suo padre, medico, già da bambino lo educò alla cultura (leggeva i giornali dall’età di sette anni). E’ sposato e ha due figli: sua figlia è giudice, a Taranto, nella sezione Penale; suo figlio, invece, vive a Napoli ed è funzionario della Banca d’Italia.La sua carriera inizia all’età di 24 anni, fatto che, con gli standard attuali, sarebbe giudicato quantomeno miracoloso, ma che negli anni ’60 costituiva la normalità. Ha cominciato il proprio cursus da pretore (categoria soppressa nel 1998), gradino importantissimo per salire di ruolo. Passato in Tribunale, divenne giudice istruttore (altra attività oggi sostituita dal GIP) e, in tali vesti, seguì processi anche molto importanti in tema di terrorismo (erano gli Anni di piombo), di criminalità organizzata e di reati di colletti bianchi. Successivamente presiedette la sezione penale. Come Presidente della Corte d’Assise, presiedette, tra gli altri, il maxiprocesso passato alle cronache giuridiche tarantine e nazionali col nome di “Ellesponto”: 110 imputati, 36 omicidi.Dal 1998 al 2008 fu Presidente del Tribunale dei Minori. Il presidente Morelli ricorda questa come un’esperienza particolarmente bella, in quanto la funzione del giudice, in fatto di giurisdizione minorile, non è tanto quella di “giudicare” quanto quella di “soccorrere”. Decaduta la sua presidenza in quel tribunale dopo un decennio, quindi, «per fortuna più che per merito», afferma con umiltà lui stesso, è diventato Presidente del Tribunale di Taranto.        
 
 
Comincio con una domanda forse un po’ abusata, ma cui molti ancora non sanno dare una risposta: esiste la Giustizia assoluta, che sia davvero uguale per tutti?
«E’ una bella domanda, questa. Innanzitutto dobbiamo partire da un presupposto: la prima ingiustizia è che la Legge non è uguale per tutti. In un regime democratico, l’uguaglianza di tutti davanti alla Legge è un principio costituzionale, e infatti così recita l’Articolo 2, però di fatto le situazioni individuali sono tali che queste uguaglianze, di fronte alla Legge, diventa un eguaglianza solo formale. Anche dire che tutti hanno diritto allo studio è, sì, un bel dire, ma in concreto c’è chi accede a tutti gli studi possibili perché si può pagare la retta alla Bocconi e i master in America, e c’è poi chi non riesce nemmeno a pagare i libri per la scuola elementare, o chi magari è costretto a lavorare prima del termine del corso di studi. Quindi, se da un punto di vista astratto tutti sono uguali di fronte alla Legge, da un punto di vista concreto c’è la più assoluta ineguaglianza, tanto è vero che lo stesso Articolo 3 della Costituzione dice  che è dovere della Repubblica di eliminare o attutire gli ostacoli che si frappongono all’eguaglianza di tutti davanti al giudice.Il giudice deve applicare la legge, quindi la applica così come essa è, con quelle ingiustizie che sono intrinseche alla stessa. Se però mi si chiede se il giudice applichi la legge in maniera diversa, a seconda della ricchezza, del genere e della potenza dell’imputato, io dico che ciò non accade, nella maggior parte dei casi, ovviamente. E’ vero anche, però, che le leggi a volte non sono applicate giustamente perché ci sono persone che possono usufruire più di altri di mezzi di tutela più raffinati e perfetti. In un processo chi può pagarsi un avvocato bravissimo può ottenere risultati migliori di chi, magari, è difeso da un difensore d’ufficio, ma questa stortura, ripeto, non sta nel giudice. Essa sta nella famosa disparità che deriva dalle disparità delle convenzioni economiche e sociali interne già alla società. Capita alcune volte che un giudice vada anche al di là degli schemi formali, ma se lo fa è per aiutare il debole piuttosto che il forte. Questa qualità del giudice me la arrogo completamente».
 
Arriveremo anche a questo, ma prima Le chiedo: una legge come dovrebbe nascere perché sia difesa la Giustizia?
«La legge nasce in funzione delle esigenze della società, quindi quando la legge nasce, nasce in genere bene; però, ripeto, non dipende tanto dalla legge in sé, che è sempre generale e astratta. Faccio un esempio: la Legge dice che tutti devono pagare le tasse e non ci sarà mai una norma che dica “alcuni paghino, altri no”; però, al momento dell’applicazione di tali leggi, mentre chi vive di uno stipendio minimo pagherà fino all’ultima lira, chi ha i mezzi di portare il denaro all’estero, riuscirà a evadere le tasse.La legge nasce bene, cresce non bene e finisce o viene applicata non bene, ma non è colpa della legge. E’ la società a essere ingiusta, ma questo risale a cause che tanti hanno voluto eliminare senza riuscirci. Da Cristo sino a Marx, ognuno ha cercato di rimediare a queste ingiustizie. Passi avanti ne sono stati fatti, numerosi, ma ancora non si è arrivati a quella equa distribuzione delle ricchezze e, soprattutto, delle prospettive e delle possibilità: chi oggi nasce in una culla ricca, avrà molte più prospettive rispetto a chi nasce in una famiglia povera. Ma questo, ribadisco, è una stortura sociale».
 
In un paese sano come dovrebbe essere il rapporto Giustizia-Politica?
«Politica versus Giustizia, in Italia, è uno scontro che è posto sostanzialmente dall’epoca di Mani Pulite. E’ dal ’92 che se ne parla, perché allora si è passati dalla I alla II Repubblica per vie giudiziarie e non politiche. Fisiologicamente, Giustizia e Politica dovrebbero essere due cose nette e distinte. Certamente c’è una Politica della Giustizia, che non è qualcosa di eterno e fisso, ma che muta col mutare dei tempi e dell’assetto sociale. La Giustizia deve occuparsi di reati: accertare se vi sono stati e da chi sono stati commessi. La Politica, invece, è quell’arte che le persone chiamate a governare devono esercitare per ottenere quanto più bene possibile a favore del più alto numero possibile di persone.Se accade che chi fa Politica (e si badi bene – non esiste il politico in sé), cioè chi ha in mano la Cosa Pubblica, sia egli parlamentare, presidente regionale o assessore comunale, commette dei reati mentre assolve il proprio compito, interviene il giudice. E se questi reati sono commessi reiteratamente e frequentemente, il giudice reiteratamente e frequentemente se ne deve occupare. Quali sono le possibili storture: da un lato, la Politica, che dovrebbe essere l’arte più nobile per arrivare al bene comune, molto spesso copre loschi interessi, e quindi abbiamo i politici corrotti; altre volte ci sono giudici che fanno politica nel senso che si espongono in maniera particolare, per cui sembra che la loro azione sia dettata non tanto dall’applicazione della legge ma da uno schieramento politico. Nel complesso, le colpe di questo scontro stanno più nella Politica. Devo ammettere però che, se qualche giudice parlasse meno, frequentasse meno i convegni dei partiti, si candidasse di meno o non rientrasse nei ranghi dopo la candidatura, certamente daremmo un’immagine della Magistratura più imparziale e attenta».
 
 
C’è un altro rapporto “vizioso” che interessa la Giustizia, o meglio, il Reato. In Italia il rapporto Media-Reato ha qualcosa di morboso, e Taranto ne conosce bene un esempio: il caso Misseri. Insomma, com’è possibile che i tribunali diventino dei circhi mediatici?
 «Questo è un altro dei grossi problemi. Il problema del rapporto tra giurisdizione e pubblicità della stessa viene da lontano. Innanzitutto, la pubblicità è un’essenza fondamentale della Giustizia: quando un giudice emette una sentenza, deve farlo in nome del Popolo Italiano e davanti al Popolo Italiano. La giustizia non è una cosa segreta. La pubblicità all’interno delle aule di giustizie ha varcato i confini di queste, cioè ha conquistato i mezzi di comunicazione, che nel frattempo si evolvevano e occupavano molta parte del contesto sociale. Prima i Presidenti del Consiglio facevano importanti dichiarazioni ai comizi, adesso lo fanno in televisione. Le dichiarazioni più importanti vengono fatte da Vespa, a “Porta a Porta”. A poco a poco, allora, la pubblicità del processo non solo è diventata esasperata, ma i mezzi di comunicazione stanno addirittura hanno preso il sopravvento: non è più una comunicazione del processo, ma è costruzione del processo in televisione!Siamo arrivati, e il caso Misseri è emblematico in tal senso, ad avere due processi paralleli: uno, quello che vale, è quello che si fa nelle aule di giustizia e negli uffici delle forze dell’Ordine; l’altro è quello che si tiene nei salotti televisivi. Un testimone sarà sentito dal pubblico ministero così come dal giornalista.A cosa può portare questa stortura del rapporto? E’ presto detto: alla fine possono venirsi a creare due tipi di convincimento diversi, il che poi porta alla meraviglia della gente quando una sentenza, in sede legale, viene ribaltata. E non solo! Si rischia anche un condizionamento della Giustizia dei codici da parte della giustizia dei giornalisti. Non è escluso che un pubblico ministero o un poliziotto, che devono seguire indagini secondo i giusti tempi, possano venire condizionati dalle “indagini” televisive, che seguono tempi televisivi, cioè immediati, per dare risposte alla gente».
 
Ora Taranto soffre un altro problema: lo scontro tra Salute e Lavoro. L’esasperazione che sta derivando da questa situazione potrebbe trasformare il desiderio di giustizia di tantissimi tarantini in… sete di vendetta?
«Il problema Ilva lo affronto qui in maniera fenomenologica. Parlando in termini generali, come fenomeno, devo dire che il processo, o l’indagine, è così importante che non può non avere ricadute sul piano sociale. Gli attori, in questo caso, non sono semplicemente norme e reati, che ci sono, ma c’è in gioco anche il destino di Taranto! Da un lato c’è la salute del cittadino, che è il più fondamentale tra i valori, e dall’altro c’è il fatto che l’Ilva è la più grande industria siderurgica d’Europa, una volta e mezza la stessa città, e che da circa sessant’anni Taranto e provincia fondano la propria economia su di essa. Non solo si parla dei quindicimila operai che vi lavorano, ma anche di tutti quelli che lavorano per l’indotto e per tutta l’economia in generale.Data la mia veneranda età, ho visto crescere Taranto prima dell’Italsider. Taranto ha completamente mutato il suo destino economico dopo la costruzione dell’Italsider e delle altre industrie. Oggi, chiudere l’Ilva non è cosa semplice: non si tratta di una pizzeria che emette fumi e disturba i condomini. Il fatto stesso di come chiuderla è di per sé problema; non basterebbe sigillarne i lucchetti! E’ necessario smantellarla, che è come voler abbattere una città intera. Sul piano sociale potrebbe avvenire di tutto: da un lato c’è la gente che dice “qua si muore” (escludendo le strumentalizzazioni, che ci sono ovunque ci siano fenomeni di tale portata); dall’altro c’è la gente che teme di morire di fame. Al di sopra di costoro c’è un interesse generale che si chiede cosa ne sarà di Taranto. Più che di vendette parlerei di uno scontro epocale tra due valori fondamentali: il Lavoro e la Salute. Il famoso slogan “conciliare lavoro e salute”, escluso quando viene usato come schermo da alcuni, è diventato quanto mai attuale. Non è più uno scontro tra Lavoro e Salute: è uno scontro di destini! Dobbiamo andare verso un futuro dove l’economia sarà languente oppure possiamo cercare di conciliare lavoro e salute? Questa è la via da seguire, ma più che per vie giudiziarie, bisogna seguire vie politiche».


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