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Il racconto/ ALLE TERME

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

2
OTT
2015
Siamo amici da quando portavamo i calzoni corti. Abbiamo frequentato le scuole elementari, le medie e il classico assieme. Assieme abbiamo imparato ad andare in bicicletta e assieme abbiamo capito quanto sia duro l’asfalto quando si cade con la moto. E sempre assieme abbiamo anche cominciato a guardare e corteggiare le ragazze. 
Solo una volta non ci siamo trovati d’accordo, e fu quando mi disse: 
«Lasciala stare Mariarosa». 
Mariarosa era una ragazza che si poteva incontrare in paese solo di rado: la domenica mattina all’uscita della messa cantata o quando andava a trovare i nonni.
«Lascia stare Mariarosa. E perché?». Gli chiesi.  «Perché quella me la devo sposare».  «Sì? E lei lo sa?». Replicai sornione. Ma lui, serio: «Ancora no. Ma tu lasciala stare lo stesso, perché quella me la devo sposare io». Lasciai stare Mariarosa e lui, tornato dal servizio militare, la sposò. Hanno avuto tre figli e ora anche sei nipoti.
Non viviamo più nella stessa città e con Sandro ci sentiamo al telefono due volte l’anno: una per farci gli auguri all’inizio dell’anno e un’altra per metterci d’accordo sul periodo da trascorrere insieme alle terme.
Quell’anno, avevamo deciso di cambiare zona e andare a passare i quindici giorni canonici in uno stabilimento termale sul Tirreno, in Calabria. Un po’ distanti da Bologna, ma siccome le credenziali risultavano eccellenti per la cura dell’artrosi, grazie ai suoi fanghi, alle alghe bianche e l’acqua sulfurea, prenotammo e a metà settembre partimmo.
Avemmo qualche indecisione solo sul percorso da fare, su quale strada prendere per passare dall’Adriatico al Tirreno, ma poi si decise e nel tardo pomeriggio eravamo a destinazione. Il mattino successivo, presentate le credenziali e passate le preventive visite mediche, iniziammo la nostra prima cura con i fanghi. 
«E’ sempre così, signore. Per la prima e anche la seconda volta i fanghi lasciano sempre un senso di spossatezza, di sfinimento. Oggi si riposi, domani vedrà che si sentirà già meglio».
Mi riferì un’assistente, quando le chiesi del perché mi sentissi così spossato. Seguendo i suoi consigli e in attesa dell’ora del pranzo e mentre Sandro, che per non farsi mancare nulla, dopo i fanghi era passato all’aerosol, io andai a sprofondarmi su una poltrona in veranda.
«E’ il primo giorno per lei? Non l’ho mai vista prima».
Mi sentii chiedere da una signora seduta su una poltrona laterale alla mia. Dando inizio alla prima di una lunga serie di chiacchierate, le risposi di sì. Si chiamava Loredana ed era di Matera e tutti gli anni, come mi riferì, in quel periodo veniva alle terme. Era vedova da tre ma, aggiunse, veniva soprattutto per disintossicarsi dal livore e dalla rabbia che provava ancora nei confronti del marito perché, aggiunse, le aveva nascosto un patrimonio che lei nemmeno se lo immaginava. Il marito era stato per tutta la vita un commerciante e lei casalinga e non avevano mai fatto un viaggio, mai una cena fuori di casa. A tavola le presentai anche Sandro e da quel giorno consumammo i pasti sempre assieme. 
Le terme erano di una modernità e un’efficienza straordinarie, ma il luogo non offriva molto allo svago così, per passare qualche serata in compagnia e vedere gente nuova, dovevamo scendere verso il mare, a Diamante, Paola o Amantea. Con noi portavamo anche Loredana, la quale però, appena saliva in macchina e vedeva dei posti nuovi, puntualmente, si lasciava andare alle solite invettive contro il povero marito: «Ma guardate che posti stupendi, che tramonti, che mare e io non sapevo nemmeno che esistessero». «Beh, signora, anche per noi è la prima volta che veniamo da queste parti».  Le rispose una volta Sandro, pensando di calmarla, ma ottenendo invece solo l’effetto contrario: «Voi da dove venite? Da Bologna avete detto, ed è comprensibile che sia la prima volta che vedete questi posti. Ma per me no. Io vivo a Matera, a duecento chilometri da qui e, grazie a mio marito, non sono mai andata da nessuna parte. Ma proprio da nessuna parte. Solo una volta siamo andati in un paese vicino, a Pisticci, ma solo per i funerali di suo fratello. E qualche volta a casa di mia sorella in un altro paese, sempre vicino a Matera. Mio marito, pace all’anima sua, andava in negozio la mattina e tornava la sera». 
Sandro, cercando di calmarla, insistette ancora col dirle che forse il marito era troppo indaffarato, troppo impegnato, troppo preso dal suo lavoro e che pertanto non aveva tempo per lo svago. Io, per interrompere quella sequela di continue lamentele e battibecchi, continuando a guidare e senza guardarlo, gli detti una gomitata nello stomaco che lo fece zittire. E questo portò anche Loredana ad esaurire progressivamente la sua rabbia. Poi, facendo estrema attenzione a non coinvolgere nel discorso mariti, figli, località turistiche, famiglia, né altre cose che potessero suscitare crisi isteriche a Loredana, parlammo di artrosi, sinusiti, pressione alta, reumatismi e acciacchi vari. 
Una sera, mentre Loredana continuava a snocciolare la sua inesauribile sequela di rimbrotti rivolti sempre al marito, sentii una fitta allo stomaco. Era stato Sandro che mi aveva appena finito di restituire la gomitata che gli avevo dato in macchina e allora capii che dovevo cambiare discorso e chiesi a Loredana:
«Ma Matera com’è? Dista molto da qui?».
«Non conoscete la Città dei sassi? Ma dovete assolutamente venire a vederla. Matera è bellissima ed è anche diventata la città della cultura. Se volete ve la faccio conoscere io».
Così una domenica mattina, visto che nei giorni festivi le cure non venivano praticate, decidemmo di andare a visitare Matera.
Giunti in città, Loredana ci indicò la strada per arrivare in via Dante, a casa sua e poi, dicendoci di avvisarla quando volevamo tornare alle terme, sparì. 
Io e Sandro ci guardammo per un attimo perplessi poi, facendo spalluccia, ci avviammo verso la zona dei Sassi e come ci aveva anticipato Loredana, restammo senza fiato. Un agglomerato di pietre, porte e finestre scavate fino in fondo e poi dimorate. Questo è ciò che ci apparve una volta affacciati agli archi di piazza Vittorio Veneto. Scendemmo anche tra i sassi per percorrere quelle strade e scale foracchiate, dove un tempo hanno visto passare genti, famiglie e fame tutte uguali e restammo senza fiato, anche se ormai quegli anfratti e grotte son diventati bar, ristoranti e B&B. Ci fermammo a pranzare in una trattoria tra i sassi e forse lì esagerammo un poco con il piccante e il rosso primitivo perché, risalendo verso la cattedrale, ci sembrava di essere su una barca. Nel pomeriggio inoltrato, tornammo a prendere la nostra amica e poi ci avviammo per tornare alle terme. «Vi è piaciuta Matera?».  Ci chiese Loredana appena salita in macchina.
«Moltissimo. Forse però meriterebbe maggiore attenzione. Non abbiamo visto molti turisti in giro». Rispondemmo. «Che volete, siamo ormai a fine settembre e anche quasi fuori dal mondo, nel profondo Sud».  E aggiunse: «E Venosa la conoscete?». «No. Dove si trova? Cosa c’è di bello da visitare Venosa?». Domandai. «Venosa è a un’oretta di strada da Matera».  Rispose Loredana. Poi Sandro volle, come al solito, sfoggiare la sua cultura classica e aggiunse:
«Venosa è una città in provincia di Potenza ed è la città dove nel 65 avanti Cristo è nato Quinto Orazio Flacco, più comunemente chiamato solo Orazio». «Sì. Ed è anche la città dove abita mia sorella». Aggiunse Loredana e poi continuò: «Così, se domenica prossima volete andarci, vengo con voi e così vado a trovare mia sorella».  Noi ci scambiammo un’occhiata d’intesa e poi Sandro le rispose: «Volentieri, ma domenica prossima è l’ultima domenica che restiamo qui e vorremmo dedicarla al riposo prima di tornare a casa». 
Tornati alle terme, da quel giorno non andammo più da nessuna parte, né a passeggiare sul litorale calabrese e nemmeno a Venosa. Preferimmo restare alle terme e cercare due avversari per una partita a carte. Ci eravamo stancati di continuando a sentire le lagnanze di Loredana che tornava sempre sull’argomento marito. Tanto che una sera, Sandro si persuase che il marito non l’avesse portata mai da nessuna parte e che stesse tutto il giorno fuori di casa, proprio per non sentirla ripetere sempre le stesse cose.
Finito settembre facemmo le valige, salutammo Loredana, con la falsa promessa di rivederci l’anno successivo e partimmo. In macchina Sandro mi chiese quando intendevo ritirarmi dal lavoro, ma quando lo guardai storto, aggiunse: «Sì, sì, ho capito. Meglio stare in ufficio che trovarsi a dover condividere le giornate con una come Loredana. Hai ragione».
Arrivati a Bologna, lasciai Sandro e poi proseguii per raggiungere casa mia. Sono sposato da tanti anni e quindici giorni di libera uscita mi bastano per rigenerarmi, anche perché non ho come moglie una Loredana, ma una Maria Goretti.
 


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