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LA MANSARDA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

29
DIC
2016
Dopo anni di supplenze, dal provveditorato agli studi mi giunse la comunicazionedella mia messa in ruolo e il conseguente trasferimentoin un paesino dal nome montano. Rifiutare sarebbe stato come dire addio al posto fisso, così mi misi l’anima in pace e accettai.
Tornata a casa, andai su internet persaperne di più su quel paesinoe lessi: “Comune che conta 2.259abitanti - altitudine623metri sul livello del mare - centro più popoloso della zona”. Piccolissimo. E piccolo lo era davvero.
Quando ci andai per la priva volta, l’anno scolastico non era ancora iniziatoetrovai una scuola grande e moderna. Troppo grande, per un paesino così piccolo, pensai.
Il paeseera piccolo e la scuola grande, ma perché erano state accorpatele quattro sedi deipaesi limitrofi, mi spiegò la dirigente scolastica. Terminate le formalità,chiesi sepoteva aiutarmi a trovare una sistemazione malei, stringendosi nelle spalle, rispose:
«Di preciso non saprei dirti, ma c’è una signora, un po’ fuori paese che ospita dei forestieri. L’anno scorso c’è stata anche una collega. Però, per saperne di più, dovresti chiedere al postino. Quello sa tutto di tutti, qui».
Ricevuta la dritta, salutai e andai subito alle poste a cercare il portalettere.
«Sì, è la signora Amelia che affitta la sua mansarda, soprattutto d’estate ai villeggianti. Vada, e dica pure che la mando io».Mi rispose.
Ringraziato il postino, presi la macchina e con le indicazioni ricevuteuscii dal paese e m’inoltrai su una strada sterrata fino ad arrivare davanti al cancello di una grande casa rurale.
«Mi scusi, cerco la signora Amelia». Sa, dove posso trovarla?»
Chiesi alla persona di cui vedevo solo le suole delle scarpe che spuntavano da sotto un trattore.
«È mia madre, ma non c’è». Rispose, uscendo da lì sotto eavvicinandosi al cancello. 
Era un ragazzo alto, con la barba ispida, incolta, spettinato e che indossava una tuta da meccanico, unta e bisunta. 
«Sono qui per la mansarda. Sa se si affitta?» Chiesi.
«Devi parlare con lei, io non so niente di queste cose». Replicò, con la dolcezza della carta vetrata etornando a infilarsi sotto il trattore.
Non mi fece una buona impressione, anzi, lo trovai decisamente antipatico. Ma siccome ero lì per tutt’altra ragione, gli spiegai che stavo cercando un alloggio per il periodo scolastico e che ero stata indirizzata lì da loro dal postino del paese. Ma la mia impressione fudiaver parlato al vento e allora, chinandomi per poterlo guardare in faccia, replicai:
«Scusa, ma quando posso trovarla tua madre?»
La madre, spiegò, non aveva orari. Andava e veniva secondo gli impegni. Assisteva degli anziani e faceva loro anche da infermiera. 
«Può essere qui tra un po’o anche tra un’ora o magari più tardi». Rispose, continuando a trafficare sotto il trattore.
«Ma non potresti essere più preciso? Che cosa faccio qui, se non soquando torna?»
«Guardati intorno.Vedrai che tra un po’ arriva. Fa sempre così, avanti e in dietro. Io comunque sono Paride, il figlio, e tu come hai detto che ti chiami?»
«Non ti ho detto come mi chiamo. Comunque io sono Valeria e da quest’anno insegno alle scuole medie del paese e avrei la necessità di trovare una camera, una sistemazione. Ecco perché sono qui».
Risposi, rimanendocon le mani appoggiate alle ginocchia e aspettandola suarisposta.
«Sto per finire. Un attimo che arrivo».
Dopo un tempo che a me sembrò lunghissimo e per lui probabilmente era volato, riemerse da sotto il trattore e, detergendosi il sudore con uno straccio più unto del suo viso, mi disse:
«Se vuoi, puoi salire e darci un’occhiata. Le scale sono quelle lì esterne, e le chiavi le trovi nella toppa».
«Ma, non so? Preferirei aspettare». Risposi.
Ma lui aggiunseche così, se non era quello che cercavo, me ne sarei potuta andare senza perdere altro tempo, senzaaspettare la madre. 
Invece la mansarda mi andava proprio bene, mi piaceva. Era un piccolo appartamento arredato con gusto, con un grande terrazzo tutt’intorno ea perdita d’occhio prati,vigneti, casolari, tetti rossi e campanili lontani.
Tornata in giardino, mi stavo guardando intorno per vedere dove fosse finito il ragazzo, quando sentii una voce dietro di me che chiedeva:
«Se cerchi mio figlio, è andato a farsi la doccia».
Mi girai e vidi una signora che mi osservava con un sorriso paziente, da suora pietosa.
«Sinceramente, se è lei la signora Amalia, cercavo proprio lei. Per la mansarda, intendo».
Dopo le presentazioni chiese chi mi avesse indirizzato da lei, se avessi già visto l’appartamento e se mi fosse piaciuto. Sì, l’avevo visto e mi piaceva molto,con quel soffitto spiovente, le pareti candide e le tendine colorate alle finestre. Le dissi per quanto tempo mi sarebbe servito e così entrammo in casa e stilammo una specie di contratto di locazione. “Una proforma”, ci tenne a precisare la signora.
L’ultimo sabato, prima dell’inizio dell’anno scolastico,feci le valigie, salutai genitori e fratello e mi trasferii alla periferia di quel piccolo paesino che contava 2.259 animee la sera, stanca morta, stavo per andare a letto quandomi sentii chiamare dalla signora Amelia e allora scesi da lei.
Cenammo assieme ma lei aveva anche una gran voglia di parlare e così seppi che era vedova e che il figlio,“un bravo ragazzo”, aveva dovuto abbandonare gli studi per dedicarsi interamente alla campagna. Lei, per arrotondare, assisteva gli anziani e faceva anche l’infermiera a domicilio e aggiunse che la mansarda la affittava prevalentemente d’estate o per brevi periodi a forestieri che dovevano sbrigare i loro affari in paese.
Lei continuava a parlare e intanto sentivo gli occhi che si chiudevano dal sonno.
Paride non si era visto ela curiosità mi stava spingendo a chiederne il motivo ma poi, trattandosi di un sabato sera, pensai che dovesse avere di meglio da fare che starsene in casa a sentir parlare di cose che a lui non dovevano interessarlo per niente.
«Invece di startene qui a sentire gli sfoghi di una vecchia vedova, è meglio che tu vada a dormire. Hai gli occhi arrossati e si vede che sei stanca». Disse all’improvviso la signora Amelia. 
Io le risposi che sì, tra viaggio e il trasloco mi ero stancata. Dopodiché ci salutammo e subito andai a mettermi a letto.
Stavo dormendo beatamente tra due guanciali, quando all’improvviso fui svegliata da un gallo che non la smetteva più di cantare e, subito dopo,qualcuno mise in moto anche un motore. 
Era ancora buio enon riuscivo a rendermi conto di dove mi trovassi. Mi girai e guardai l’orologio: non erano ancora le cinque del mattino e allora mi tirai le coperte sin sopra la testa ma non servì a nulla, il frastuono era insopportabile e penetrava sin sotto le coperte. 
Dopo un po’sentii il rumore del motoreche si allontanava e subito dopo anche il gallo si zittì così, tornato il silenzio, ripresi subito sonno e dormii sino alle dieci, ma mi svegliai con un fastidioso mal di testa e allora preferii non uscire e trascorsi il resto della mattinata in casa a riordinare le mie cose.
Arrivata ora di pranzo, qualcuno bussò alla porta. 
«Avanti». Risposi, credendo fosse la signora Amelia. Invece era Paride.
«Mia madre dice se vuoi scendere e pranzare con noi. Sei sola e ha pensato che forse non ti sei ancora organizzata».
Vederlo mi mandò in confusione. Sbarbato, pulito, pettinato e con una camicia attillata e candida, sembrava tutt’altra persona, diversa da quella che avevo visto uscire da sotto il trattore. E stavo per rispondergli di no, che non volevo disturbare, ma poi buttai lo sguardo sulla tavola, dove c’erano tre mele e un pacco di grissini che dovevano costituire il mio pranzo e mi venne spontaneo rispondergli di sì. Grazie. 
«Allora vado a dirle che scendi». Rispose Paride, e stava per richiudere la porta dietro di se quando lo fermai per chiedergli come mai, in piena notte, il gallo si fosse messo a cantare e subito dopo un motore si fosse messo in moto. 
Il motivo per cui gli feci quella domanda non era naturalmente né il gallo né il motore, lo trattenni solo pernon dover entrare in casa loro da sola.
«Intanto non eravamo nel cuore della notte, ma erano già le cinque passate. Era quasi l’alba, e i galli cantano sempre al sorgere del sole e per quanto riguarda il motore, era quello del trattore che avevo messo in moto per andare in campagna». Rispose.
«Va bene, passi per il gallo, ma tu vai sempre alle cinque di mattina in campagna, anche la domenica?» Gli chiesi, tanto per continuare a trattenerlo sin quando non fossi stata pronta.
Mi rispose che per lui non esistevano né feriali né festivi e che in quel periodo andava in campagna molto presto per preparare i campi alla semina del grano.
«E come fai a svegliarti così presto?» Gli chiesi.
«Vado a letto altrettanto presto. Ieri sera, mentre stavi giù con mia madre, io ero già a letto e vi sentivo parlare». 
«Scusami. Lo avessi saputo…»
«Non preoccuparti. Ancora non dormivo, stavo leggendo. Allora scendiamo?» Mi chiese, facendosi da parte per lasciarmi passare.
Quella domenica pranzai con Paride e la signora Amalia, ma non vedevo l’ora di tornarmene in mansarda. La signora era premurosa, gentile, ma l’atmosfera non era quella giusta. Parlava solo del marito e delle disgrazie che le erano capitate, mentre il figlio daval’impressione di non aspettare altro che il momento per potersene andare a riposare.
Iniziate le scuole, Paridelo incontravo di rado. Al canto del gallo lo sentivo partire con il suo trattore e quando rincasavo, non era ancora tornato. Qualche volta, di ritorno dalle riunioni d’istituto, lo trovavo nel cortile che armeggiava intorno al suo trattoree allora ci scambiavamo un ciao, un saluto, ma tutto si esauriva lì. 
Un venerdì, per trascorrere un weekend assieme, doveva venirmi a trovare mio fratello Luca, ma siccome sulla sua carta d’identità, alla voce segni particolari, avrebbero dovuto scrivere: “Ritardatario”, era già sera inoltrata quando sentii la sua macchina fermarsi davanti al cancello. 
Scesi e gli andai incontro e passando davanti a Paride,che era intento a riporre i suoi attrezzi, sentii addosso il suo sguardo inquisitorio, come a chiedermi chi fosse quell’intruso.Lo salutai e lui rispose al saluto, ma poi buttò un’occhiata così torva a mio fratello che mi fece riflettere: “Chissà chi crede che sia, e forse si sarà anche ingelosito”, pensai. E la cosa, dovetti ammetterlo, mi fece piacere.
Quella sera con mio fratello decidemmo di andare a mangiare fuori e durante la cena Luca parlò molto del lavoro, dei nostri genitori e di mille altre cose, ma intanto io continuavo a distrarmi, perdevo il filo, e questo perchépensavo a Paride e mi stavo chiedendo perché non gliavessi detto chi eraLuca.
La mattinata della domenica mio fratello si alzò sul tardi e decise di ripartire subito per tornare a casa. Era quasi mezzogiorno e lo accompagnai alla macchina e lì ci salutammo con il nostro abitualeabbraccio, poi lui salì in macchina e partì.
Quando mi girai per tornare in mansarda, alla finestra vidi Paride che mi stava osservando. Sventolai la mano in segno di saluto, ma lui si ritrasse dietro le tendine senza rispondermi.
Non so cosa mi stesse passando per la testa, ma intanto, ogni giorno di più, trovavo Parideun ragazzo adorabile, serio, buono e anche timido, forse troppo timido, per i miei gusti.
In serata, mentre stavo riposando, sentii bussare alla porta, ed eralui.
Nella mia tuta da ginnastica e con i calzettoni di lana, spettinata e senza trucco,mi sentivo impresentabile e stavo per non aprire, ma subito allontanai quel ridicolo pensiero e andai ad aprire. 
«Ciao. Scusami se ti disturbo e puoi anche rispondermi che non sono fatti miei e mandarmi al diavolo, ma volevo chiederti se quello che è andato via poco fa è il tuo ragazzo?»
Per ingelosirlo stavo per dirgli di sì. Che era il mio ragazzo, ma...
«Ma no, che ragazzo e ragazzo, non ho il ragazzo. Quello era Luca, mio fratello. Siamo molto legati ed è venuto a trovarmi». Gli risposi sorridendo.
«No, è che non sapendo chi fosse e sapendoti da sola, non ero tranquillo.
«Grazie. Ma come ti ho detto, era mio fratello. Tranquillo». Risposi, non sapendo che altro aggiungere.
«Meglio così». Ed era tornato sulla soglia di casa e stava per uscire quando, come preso da un dubbio, da qualche ripensamento, si fermò e tornò a girarsi verso di me.
«Non so? Scusami, ma l’idea che quello stesse qui e avesse dormitocon te, non mi ha fatto dormire per due notti».
«Non mi dire che sei geloso di Luca, adesso». Gli risposi, ben sapendo a cosa si riferisse. 
«Quando si è fatti di carne, non bisogna pensare che gli altri siano di marmo». Replicò.
Rimanemmo per un tempo imprecisato sulla soglia della porta, senza sapere che altro aggiungere. Poi Paride si avvicinò e,preso le mie mani e strette tra le sue,chiese:
«Ti andrebbe di venire a fare un giro con me?».
«Ora? Ma sono in disordine, dove dovremmo andare?» Risposi. 
«Non sei in disordine. Sei bellissima anche senza trucco e poi non dobbiamo andare lontano. Ti voglio portare in un posto qui vicino e farti vedere una cosa». Poi,tenendoci sempre per mano scendemmo le scale, uscimmo dal cancelletto e ci avviammo sul sentiero che portava al laghetto.
«Ecco, siamo arrivati. Volevo dirtelo qui, dove spesso la sera vengo per pensare a te».
Ma non disse più nulla, si girò verso di me e mi strinse forte. Iochiusi gli occhi e mi abbandonai tra le sue braccia,mentre le nostre labbra si sfiorarono per darsi il primo bacio.
Che momento magico. Solo noi due, abbracciati sotto i raggi di quella luna che, riflettendo le nostre immagini argentate nell’acqua del lago, sembrava volerci fare da testimone.
 


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