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CHI SONO?

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

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LUG
2018

Alcuni credono di poter conoscere meglio sé stessi attraverso l’analisi del proprio albero genealogico. Tra verità parziali e falsi miti parliamo di genetica del comportamento e di dinamiche transgenerazionali.

Risultano ancor oggi tantissimi quelli che cercano di rinvenire delle tracce di identità personale nel passato della famiglia, convinti che la conoscenza degli antenati permetta di adire ad una migliore conoscenza di sé stessi. Vi sarà capitato più volte di imbattervi, direttamente o indirettamente, in persone che parlando delle loro origini biologiche attribuiscono certi loro tratti di personalità al ramo paterno piuttosto che a quello materno. E capita sovente che costoro, per giunta, attribuiscano certi tratti non all’antenato in sé bensì alla sua provenienza geografica; quindi, per esempio, arrivano ad asserire tesi del tipo: “ho ereditato la dedizione al lavoro da mio nonno di Milano e la simpatia da nonna di Napoli”. O, in maniera non dissimile, finiscono per sostenere tesi analoghe in merito alle classi sociali, per esempio: “ho preso il carisma di mio nonno galantuomo etc.” Così la trasmissione ereditaria del carattere ‒ concetto, come vedremo, già di per sé discutibile ‒ viene spiegata ricorrendo a degli stereotipi, ossia ad un bagaglio di rappresentazioni assai opinabili in quanto non validate scientificamente; rappresentazioni che, lungi dal descrivere la realtà per quello che è, la descrivono per quello che i gruppi sociali, nel gioco delle reciproche attribuzioni, danno a credere, finendo sovente col crederci loro stessi, tanto che alcuni individui arrivano addirittura a descrivere la loro persona solo attraverso gli stereotipi generalmente attribuiti al loro gruppo sociale, per es.: “amo definirmi un italiano verace: solare e creativo”. E, per una serie di tare intrinseche al nostro stesso modo di ragionare, siamo inoltre tendenzialmente portati a supporre che tali tratti caratteriologici (che reputiamo connessi al ceto, all’etnia etc.) siano, al pari del colore degli occhi, connaturati al nostro essere biologico tanto da risultare in qualche modo ereditabili per via genetica. Un po’ come accade in altre specie animali: il cane di razza x ha un carattere, il cane di razza y ne ha un altro… Questo sarebbe vero anche per noi se esistessero delle razze umane. Il punto ‒ pochi lo sanno ‒ è che le razze umane non esistono. Eminenti genetisti di fama mondiale (Luca Cavalli Sforza, Alberto Piazza etc.) hanno ampiamente dimostrato che ci sono più differenze tra gli individui di uno stesso gruppo etnico di quante non ve ne siano tra gruppi etnici considerati nel loro insieme. Cioè, ci sono più differenze genetiche tra il signor Rossi, il signor Bianchi e il signor Ferrari, tutti italiani, di quante non ve ne siano tra italiani e francesi considerati nel loro insieme. Ed è stato inoltre dimostrato che le piccole differenze nell’aspetto esteriore, quelle su cui si basa la pseudoscienza razziale, poco ci dicono di una effettiva differenza genetica tra popolazioni umane.

Tutto questo, però, non toglie che, al di là dei popoli, esistano delle differenze tra individui e che queste possano essere in qualche modo trasmesse di generazione in generazione. Il punto è che questa trasmissione, genetica e non, avviene secondo dinamiche assai complesse e mai perfettamente lineari: la ricombinazione genetica fa sì che ognuno di noi sia, sebbene composto in gran parte da elementi ereditati, portatore di una sua unicità, in cui poi le eventuali predisposizioni di famiglia si declinano sempre in termini personali. Per esempio, da uno stesso ipotetico tratto ossessivo-compulsivo potremo ottenere, per combinazione con altri fattori concorrenti, un ossessivo grave, un gran collezionista o addirittura un ottimo scienziato. Vi sarà capitato notare qualcosa di simile in quei nuclei dove ogni fratello, pur mantenendo la stessa “aria di famiglia”, prende la sua personale direzione, simile ma differente rispetto a quella degli altri.

Anche l’ambiente, il clima e la cultura familiare influenzano lo sviluppo della personalità e anche questi fattori lo fanno secondo meccanismi non sempre lineari e deterministici. Gli eventi e i caratteri di chi ci ha preceduto si ripercuotono di certo su di noi, ma lo fanno interagendo con altri fattori ancora, il che rende l’esito assai variegato e non sempre prevedibile. Così il figlio di una persona prudente può, per varie circostanze, venir su avventato e il figlio di un avventato può, per motivi analoghi e contrari, divenire prudente. E tra i motivi della prudenza del primo e dell’avventatezza del secondo potremo trovare, in entrambi i casi, la personalità del padre. Il tutto secondo logiche spesso controintuitive, in apparenza caotiche, di fatto complesse.

Perché la verità si trova dietro il paradosso, e la storia sempre oltre il mito, in una miriade di imponderabili concause accidentali, nel cui inaccessibile segreto risiede l’essenza stessa della persona, al contempo una e molteplice, causa ed effetto, eterna e mortale.


 



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