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ANORESSIA TRA SACRO E PROFANO

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

19
SET
2018

Molti pensano che le anoressiche siano superficiali e modaiole. Alcuni spunti di riflessione per capire, al di là degli stereotipi, la complessità di questo fenomeno

I preconcetti nei confronti dell’anoressia nervosa possono allontanarci dalla comprensione di un fenomeno ben più complesso di quel che ci veicola una certa divulgazione massmediatica incline alla semplificazione e al sensazionalismo. Quindi, anche in questo caso, la conoscenza scientifica ci consente di cogliere degli aspetti essenziali che vanno ben oltre lo stereotipo.
I tanti preconcetti oggi invalsi ci portano a declinare l’anoressia esclusivamente al femminile e a ritenere che questa patologia si esprima soltanto come restrizione alimentare. Sapere, per esempio, che ne esiste anche una versione maschile e addirittura una “muscolare” – focalizzata non sulla perdita ma sull’acquisizione di massa – apre la mente riguardo all’esistenza di altre possibili varianti, sicuramente diversissime tra loro, ma tutte accomunate dal medesimo nucleo: il controllo ossessivo dell’andamento ponderale, dell’immagine corporea e dell’alimentazione.
La mentalità anoressica in senso lato si sviluppa quale reazione a un contesto di vita percepito come difficilmente gestibile, dove l’individuo coinvolto si concentra, per ripiego, sull’unico oggetto che suppone di poter controllare: il corpo. E dalla riuscita di questo insano esercizio trae quella soddisfazione e quel senso di identità che stenta a rinvenire nella realtà sociale. E, contrariamente a quanto si pensi, chi ne è affetto, giacché spesso rinuncia a piacere (e al piacere), non persegue uno scopo propriamente estetico, bensì etico, mosso da una morale che esige il dominio della volontà sul desiderio, dell’ideale sul reale. Non si spiegherebbe altrimenti il fenomeno medievale delle sante anoressiche, che proprio nell’esercizio del digiuno credevano di allontanarsi dall’imperfezione del mondo e di avvicinarsi alla perfezione del Divino.
Tutto questo ci mostra come la questione della vestibilità, additata da numerosi critici quale causa prima della malattia, possa costituire, al limite, solo un pretesto per l’estrinsecazione di dinamiche che di fatto trascendono l’effimera contingenza della moda.
Pertanto si eviti di minimizzare questa condizione come se si trattasse di un capriccio, ma la si consideri per quello che è: la patologia psichica con il più alto tasso di mortalità. E la stessa morale valga per ogni altra manifestazione, sana o patologica: non la si giudichi con facilità, ma, se si vuol davvero capire, la si studi per bene, senza però mai pretendere di averla compresa del tutto.



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