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SALUTE E SOCIETA´/IL MEDICO, SENTINELLA DELL'AMBIENTE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

22
NOV
2018

È ormai necessario per i medici allertare sull’esposizione e sulla vulnerabilità a fattori di rischio ambientale e favorire un utilizzo appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema equilibrato e vivibile anche dalle future generazioni

Parlare e scrivere di “Ambiente” in un territorio come il nostro, tormentato dall’azione scellerata dell’uomo, è senz’altro un’operazione complessa e delicata.
Ma non farlo e non tentare di capire quale il ruolo, la responsabilità e la “mission” dell’operatore sanitario, del medico e del pediatra di famiglia che operano sul territorio, sarebbe certo dannoso.
Ricordo che il medico durante gli studi universitari di Medicina non sostiene esami legati ai temi ambientali e che invece nella attività routinaria, in particolare quella specialistica, deve fare i conti proprio con la presenza ed il deciso incremento delle patologie legte all’ambiente c.d. ”inquinato”.
Inoltre l’Art. 5 del Codice di Deontologia Medica si chiama “Promozione della salute, ambiente e salute globale" ed obbliga Il medico, nel considerare l'ambiente di vita e di lavoro e i livelli di istruzione e di equità sociale quali determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva, e lo chiama a collaborare attivamente all’attuazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze alla salute, al fine di  promuovere l'adozione di stili di vita salubri, informando sui principali fattori di rischio. Il medico, sulla base delle conoscenze disponibili, si deve adoperare per una pertinente comunicazione sull’esposizione e sulla vulnerabilità a fattori di rischio ambientale e favorire un utilizzo appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema equilibrato e vivibile anche dalle future generazioni.
Il medico e l’operatore sanitario diventano così delle “Sentinelle” dell’Ambiente.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) gli effetti attesi sulla salute umana, in particolare quelli secondari al graduale e progressivo riscaldamento del pianeta, devono essere considerati tra i più rilevanti problemi sanitari da affrontare nei prossimi anni. La complessità delle modificazioni climatiche e delle sue conseguenze ambientali e sociali è in grado di generare rischi sanitari di diverso tipo, primario, come le conseguenze biologiche dirette da ondate di calore, da eventi meteorici estremi e da elevati livelli di inquinanti atmosferici temperatura-dipendenti (ad es. ozono); secondario, cioè rischi mediati da modificazioni di processi e sistemi bio-fisici ed ambientali. In particolare: fabbisogno alimentare, disponibilità idrica, vettori di malattie infettive e (nel caso delle zoonosi) conseguenze ecologiche sull’ospite intermedio; terziario, con l’espressione clinica di problemi di salute mentale in comunità agricole in crisi produttiva, migrazioni, come conseguenze di tensioni e conflitti legati alla scarsità di risorse primarie (acqua, cibo, legname, spazi vitali) originata dalle alterazioni climatiche stesse.
Nessuno al mondo può considerarsi al sicuro da danni causati dai cambiamenti climatici. Si prevede per l’Italia, in caso di scenario caratterizzato da elevate emissioni, un incremento delle ondate di calore con proiezioni che vanno da circa 10 giorni nel 1990 a circa 250 giorni (in media) nel 2100. Nello stesso rapporto si prevede un incremento sia del numero di giorni con fenomeni alluvionali (precipitazioni pari a 20mm o più) che degli intervalli di giorni privi di pioggia (da 30 a circa, in media, 45 giorni, con ampia variabilità annuale). In un contesto internazionale, avremo prevalentemente patologie cardiovascolari e respiratorie, ma anche del periodo perinatale, metaboliche e cronico-degenerative, correlate agli inquinanti atmosferici, le cui concentrazioni sono strettamente dipendenti dall’utilizzo di combustibili fossili usati per la climatizzazione degli edifici (ad es. ossidi di azoto e carbonio) e dalla formazione di inquinanti secondari (soprattutto particolato secondario e ozono) prodotti dal traffico motorizzato. Ci saranno devastanti effetti negativi sulla salubrità degli alimenti, come conseguenza dei cambiamenti climatici sull’agricoltura, sugli allevamenti, sulla distribuzione delle specie animali. Possibile la contaminazione della catena alimentare con sostanze chimiche tossiche derivate sia dall’utilizzo di pesticidi come tentativo di correggere la ridotta produttività agricola che dalla contaminazione del suolo in aree interne (in particolare da PCB e diossine) in seguito a fenomeni alluvionali. La contaminazione del suolo deriverà in tal caso dalla mobilizzazione di sedimenti fluviali e di aree terrestri contaminate (ad esempio aree industriali, discariche) con successivo deposito di sostanze tossiche nelle aree alluvionate
Eventi meteorologici estremi potrebbero dare anche un incremento del rischio di contaminazione microbiologica di cibo e acqua con conseguenti epidemie infettive (leptospirosi, legionellosi, salmonellosi, leishmaniosi cutanea e viscerale, epatite A anche nel nostro Paese.
Non deve inoltre essere sottostimato il possibile incremento di malattie infettive causate da agenti trasmessi da vettori (ad es. zanzare) la cui presenza nelle aree più sviluppate è in incremento proporzionale all’aumento delle temperature atmosferiche, con inadeguata preparazione anche del sistema immunitario di tante popolazioni.
Alcune malattie infettive legate alla diffusione di insetti artropodi torneranno e ve ne saranno di nuove, causa la la cosiddetta “tropicalizzazione” del Mediterraneo legata alle modificazioni climatiche. Diciamo anche che forse saremo impreparati e che tali patologie possono non essere correntemente dell’inadeguatezza di molti laboratori (specie se periferici), dell’assenza di specifico monitoraggio stagionale in alcune aree a rischio. diagnosticate a causa della frequente impreparazione del personale sanitario nel riconoscerne i segni clinici. C’è un rischio concreto di ri-emergenza di agenti infettivi endemici presenti in passato… o di arrivo di patologie infettive esotiche.
Particolarmente rilevante è anche l’analisi dei costi sanitari diretti e indiretti generati dai cambiamenti climatici. La Commissione Europea ha calcolato che, solo nella UE, la riduzione dell’inquinamento atmosferico mediante politiche di controllo e mitigazione delle variazioni climatiche genererebbe, grazie ad una riduzione della mortalità, benefici stimati in circa 38 miliardi di euro/anno entro il 2050. Arrestare e rendere reversibili le alterazioni climatiche significherebbe dunque, anche in brevi intervalli temporali, migliorare le condizioni di salute e contenere i costi primari e secondari dei danni attualmente in corso. Ignorarle, potrebbe rendere il problema irrisolvibile. Per queste ragioni una rapida inversione di tendenza deve considerarsi obiettivo primario per l’intera popolazione mondiale.
Gli organi di governo locale, in Italia come a livello globale, dovrebbero mettere in atto un adeguato piano di adattamento al cambiamento climatico e strategie di annullamento delle disuguaglianze. Dovrebbe essere previsto un percorso partecipato, di collaborazione in cui i soggetti siano anche attuatori delle azioni del Piano, coinvolgendo i rappresentati degli organi di governo locale, i cittadini e i rappresentanti dei settori produttivi. Nel nostro Paese, in particolare, il Piano di adattamento dovrebbe prevedere regolamenti locali finalizzati ad attuarlo (protezione civile, linee guida per la realizzazione di opere di urbanizzazione, regolamento del verde, regolamento dei vincoli idrogeologici, strumenti di pianificazione urbanistica dei Comuni e delle Città Metropolitane).

 



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