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Col senno di poi/Tutti i campi di Daniele Garbo

Pubblicato da: Categoria: SPORT

22
MAG
2015
Ha vissuto e raccontato in prima persona i successi tennistici italiani in coppa Davis e quelli delle squadre italiane di calcio in tutto il mondo. Il grande giornalista sportivo ha annunciato nei giorni scorsi che il 30 giugno 2015, dopo 40 anni, terminerà la sua carriera lasciando Mediaset dopo 27 anni di servizio
 
Ciao Daniele, ci ha colpito il tuo annuncio dove, con molta umiltà, hai annunciato che terminerai a breve la tua carriera. Come vivi questi giorni e come vedi il tuo futuro dal I luglio 2015?
«In questi giorni sto vivendo benissimo perché sono padrone del mio tempo, riesco a fare le cose che mi piacciono di più, non ho l’obbligo di alzarmi a orari definiti e in realtà la giornata poi vola. Poi ormai siamo vicini all’estate e alle vacanze, non ho ancora pensato a cosa farò dopo, ci penserò dopo le vacanze. Ci sono varie cose che potrebbero arrivare ma non ho fretta di decidere perché c’è tempo».
 
Più gioie o qualche rimpianto?
«I rimpianti ci sono sempre in tutti i mestieri e fanno parte della vita. Alla fine però, per quanto mi riguarda, sono di più le soddisfazioni che i rimpianti».
 
Il tuo primo servizio televisivo?
«Sì, lo ricordo. Era un servizio che realizzai a Bologna dove lavoravo come direttore della rivista di tennis Matchball. Per la prima volta in vita mia montai un servizio per la tv Video Bologna. L’operatore, famoso a Bologna, era anche montatore ed era bravissimo, si chiamava Campagnoli. Mi fece da guida e montammo il tutto in due minuti e mezzo con una procedura abbastanza curiosa che era esattamente il contrario di come si usa fare un montaggio. Quando l’ho visto in onda ho provato una grande emozione».
 
L’intervista che avresti voluto fare?
«Guarda ne ho fatte tante. Le tante interviste che ho fatto a Maradona sono forse le più importanti della mia carriera. Ma ho intervistato moltissimi grandi sia di ieri sia di oggi. Forse mi manca ancora Messi ma c’è ancora tempo …».
 
Le differenze tra il giornalismo di un tempo e quello di oggi?
«E’ cambiato tutto. E’ cambiato il modo di esercitare questa professione. Certi parametri che prima erano fondamentali ora non lo sono più. C’è più immediatezza nel senso che internet ha cambiato il modo di fare informazione. Non lo ha cambiato sempre in meglio anzi, lo ha cambiato anche in peggio perché all’informazione oggi ha accesso chiunque e in qualunque momento quando prima non era così. Questo comporta dei rischi: che sia sbagliata, fuorviante, in malafede e questo è il grave pericolo di questa epoca. C’è troppo pressapochismo, troppa improvvisazione. Un ritorno ai valori del passato con notizie preventivamente verificate e controllate prima di diffonderle».
 
Un consiglio a chi si avvicina a questa professione ?
«Cambiare professione».
 
Un collega che ricordi con affetto ?
«E’ un collega che non c’è più, Alberto D’Aguanno (giornalista sportivo molto noto agli sportivi, passato nell’1989 a Mediaset deceduto all’età di soli 42 anni stroncato da un malore N.d.R.). L’ho tenuto a battesimo nei suoi primi servizi televisivi perché me lo affidò il direttore dicendomi “stagli vicino, mi sembra un ragazzo con un futuro”. In realtà Alberto non aveva bisogno di una mano perché era un fuoriclasse. Ero io che avevo bisogno di una mano. Con lui poi si è creata negli anni una grande amicizia. La sua scomparsa mi ha colpito molto perché era un collega di straordinaria bravura oltre a essere un amico».
 
Hai lavorato nei più prestigiosi impianti sportivi internazionali. Un ricordo particolare?
«Ce ne sono due su tutti ed entrambi legati al tennis. Il primo è la conquista della coppa Davis a Santiago del Cile nel ’76. Un’esperienza strordinaria e fantastica che è impossibile raccontare a parole senza averla vissuta. L’altro ricordo è legato alla prima volta in cui ho messo piede nella tribuna stampa del campo centrale di Wimbledon. E’ stata una delle cose più emozionanti della mia vita».
 
Ti sei occupato sia di calcio sia di tennis. Cosa ti ha gratificato di più?
«Ho visto posti, stadi e città che non avrei mai visitato se non fosse stato per questo mestiere. Il tennis mi ha dato tanto in dieci anni di carriera ma il calcio non mi ha dato meno. Anzi mi ha dato moltissimo perché la maggior parte della mia carriera si è svolta intorno al calcio».
 
Il più grande tennista di tutti i tempi e tra quelli che hai visto giocare?
«Ne parlavamo ieri sera con degli amici. Federer secondo molti è il più grande di sempre perché lo dicono i numeri. E’ quello che ha vinto di più. Io dico che è impossibile fare un raffronto tra epoche diverse e soprattutto tra giocatori che giocano con strumenti diversi. Le racchette di oggi consentono delle cose che le racchette di una volta non consentivano. Infatti Federer è uno dei pochi che potrebbe giocare molto bene con le vecchie racchette in legno con l’ovale molto piccolo. Il migliore giocatore che ho visto giocare invece è Rod Laver (tennista australiano oggi 76enne), un mancino che ho visto dal vivo verso la fine della sua carriera e mi ha affascinato molto. Lui è stato l’ultimo giocatore a completare il Grande Slam nel 1969 ma lo aveva completato anche nel 1962 quando venne creata una suddivisione tra i professionisti e i cosiddetti dilettanti. Da quel momento, fino al ’68, i primi facevano solo delle esibizioni in giro per il mondo a pagamento mentre i dilettanti disputavano i tornei come accade oggi. Nel 1968 fu poi abolita questa ridicola distinzione e iniziò l’era Open che vide appunto nel ’69 Laver completare di nuovo il Grande Slam. Chissà quanto avrebbe potuto ancora vincere in quei 7 anni. C’è da tener presente tra l’altro che prima era molto più difficile giocare rispetto a oggi. In passato si disputavano due tornei sull’erba e due sulla terra battuta. Oggi due tornei si giocano sul sintetico (Australian Open e US Open), uno sull’erba (Wimbledon) e uno sulla terra battuta (Parigi). E oggi si giocano tante partite importanti mentre all’epoca si giocavano solo 4 tornei importanti con un livello medio che era molto più basso».
 
Cambiamo argomento. Berlino fa riaffiorare alla mente degli italiani dei bellissimi ricordi azzurri. Il 6 Giugno 2015 si giocherà la finale di Champion’s League tra la Juventus e il Barcellona proprio dove l’Italia si laureò campione del mondo nel 2006. Pronostico secco: chi vince ?
« La tecnica dice che dovrebbe vincere il Barcellona se guardiamo solo l’attacco stellare di cui dispone. Detto questo, la Juventus è una squadra che ha attributi considerevoli, lo abbiamo visto nella doppia sfida contro il Real Madrid e non sarà quindi una squadra facile da battere. In una partita singola può succedere di tutto: la stessa Juve nell’83 perse una finale ad Atene contro l’Amburgo che valeva 1/3 dei bianconeri che coi 7 campioni del mondo più Platini e Boniek era strafavorita eppure perse con il gol famoso di Magath. Così come il Milan di Capello, sfavorito contro il Barcellona, sempre ad Atene vinse 4-0. Sai, tornando alla Juve, ci sono tanti elementi che lasciano pensare che sia l’anno dei bianconeri perché ha avuto sorteggi complessivamente “benevoli”, in semifinale ha incontrato la squadra “più abbordabile” (Real Madrid) che era nel suo momento peggiore e ne ha saputo approfittare molto bene arrivando in finale».
 
La Juve ha vinto il suo quarto titolo consecutivo. Di chi sono i meriti e qual è stato secondo te il giocatore che è stato determinante ?
« Di sicuro i meriti vanno suddivisi tra molte componenti: li ha la società che non è certo l’ultima componente essendo alla base di tutto, seria e solida e poi i giocatori che hanno sempre dato la massima disponibilità al tecnico. Poi l’allenatore Allegri che è arrivato dopo tre anni di successi di Antonio Conte che ha cambiato la storia della Juventus e che era andato via dicendo che non poteva rimanere in una squadra non all’altezza di lottare in Europa. La risposta che è arrivata quest’anno è un po’ una smentita delle convinzioni di Conte. Infatti Allegri, maltrattato al suo arrivo alla Juve dai tifosi, si è calato nella nuova realtà con grandissima umiltà e professionalità cambiando poco all’inizio e poi mettendoci del suo cambiando un po’ alla volta la squadra riproponendo la difesa a 4 che gli ha dato ragione perché in Europa con la difesa a 3 è un modulo con cui fai poca strada. Lui invece è arrivato in finale di Champion’s League con questo credo tattico, è stato bravo a gestire gli uomini, soprattutto a non prendersi i meriti perché lo stesso Allegri dice che gli allenatori possono incidere ma non così tanto come qualcuno può pensare. Lui dice modestamente che l’allenatore incide solo del 5%, esagera in modestia ma indubbiamente le partite le vincono i grandi giocatori. Lui è stato molto bravo perché con personalità ma con umiltà e intelligenza ha saputo gestire un gruppo dei grandi giocatori in cerca di nuovi stimoli dopo 3 anni di vittorie che avevano determinato la fine del ciclo Conte e lui ha saputo dare una nuova linfa e un nuovo impulso dimostrando di essere un grande allenatore».
 
Lunedì 25 maggio alle 18 si giocherà l’importantissimo derby Lazio-Roma. In ballo c’è il secondo posto attualmente occupato dalla Roma che ha un solo punto sulla Lazio. Chi vince?
«La Lazio è condannata a vincere e ti spiego perché: se la Lazio perde o pareggia, la Roma va sicuramente al secondo posto perché all’ultima giornata incontra il Palermo in casa. La Lazio è costretta a vincere e potrebbe non bastarle neppure per arrivare seconda perché se vince il derby ma poi perde l’ultima giornata nello scontro diretto a Napoli sarebbero secondi i napoletani perché dalla loro parte hanno gli scontri diretti contro i laziali».
 
Un’ultima domanda Daniele, cosa farai da grande?
«Mah, spero di potermi godere la vita, di fare qualche bel viaggio che è la cosa che mi piace di più e spero anche di mettere la mia esperienza al servizio di qualcosa o di qualcuno affinchè non vada disperso tutto ciò che ho fatto finora nella mia professione».
 
Daniele ti ringraziamo per il tempo che ci hai concesso e ti facciamo tantissimi auguri per il prosieguo della tua carriera e della tua vita. 
«Grazie a voi».
 


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