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UN´AMANTE PERICOLOSA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

22
MAR
2018

In quel momento tutto andava bene. Viveva l’avventura come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno avrebbe avuto molto da recriminare su quel suo modo di comportarsi e sulle conseguenze che ne sarebbero derivate.
Iole era ancora distesa sul letto sfatto, nuda, e lo stava guardando felice. Anche lui era felice, mentre ritto davanti allo specchio si stava pettinando. In quel momento le parole contavano poco. Parlavano così, per il puro piacere di parlare, come succede sempre dopo aver fatto l’amore, quando i corpi sono ancora caldi e la testa frastornata.
«Mi ami Bruno?»
«Ti amo, ma a te è piaciuto?»
«Molto, ma tu mi ami?»
«Ti ho detto di sì. Quando lo rifacciamo?»
«Ti faccio io il solito squillo».
Bruno si girò e gli fece piacere vedere quel corpo ancora nudo e caldo sul letto.
«Ti piacerebbe passare con me il resto della tua vita, Bruno?»
«Penso di sì. Sì, certo, mi piacerebbe, ma lo sai… siamo sposati. Accontentiamoci».
Le ripeteva sempre, una volta rilassato e con falsa innocenza quella frase che sapeva a lei avrebbe dato fastidio.
Bruno si accese una sigaretta e andò ad aprire la finestra. Non gli importava nulla se qualcuno lo vedeva dalla strada, si trovava in una camera dell’hotel Europa, di proprietà di suo fratello. Fuori l’aria era torrida, il sole ardeva e i pochi passanti, quel 17 luglio, camminavano sotto gli alberi del viale per cercare un po’ di refrigerio. In quel momento dalla strada giunsero lo stridio di freni e il rumore di vetri che andavano in frantumi. Bruno si soffermò a guardare fuori e tra la gente anonima che si era fermata, vide una figura imprevista, un volto conosciuto.
«Tuo marito!» Esclamò, cambiando di colpo tono ed espressione.
«Chi? Giacomo? Dov’è? Cosa fa?»
«Sì, lui! Sta attraversando la strada e sta venendo qui». E dicendo così, raccolse i suoi vestiti, le scarpe e si precipitò alla porta.
«Dove vai?»
«Non posso rimanere qui. Non ci deve trovare insieme».
Colto dal panico, dette un’ultima occhiata fuori dalla finestra e, con i vestiti ancora sul braccio, uscì di corsa dalla stanza. Salito al secondo piano, in fondo al corridoio vide una porta aperta e la cameriera che stava cambiando le lenzuola. Lei lo squadrò dalla testa ai piedi e si mise una mano sulla bocca per soffocare la voglia di ridere.
«Che cosa è successo, signor Bruno? È mezzo nudo. Avete litigato?»
«Suo marito…»
«Vi ha scoperto?»
«Non ancora… ma sta venendo qui».
Quando si davano appuntamento, prendevano tutte le loro precauzioni. Bruno parcheggiava la macchina nel garage dell’hotel, mentre Iola lasciava la sua a trecento metri di distanza, in una strada poco frequentata, ma questa volta qualcosa doveva essere andato storto.
Si era rivestito in un lampo, e con l’orecchio teso, perché si aspettava di sentire da un momento all’altro il marito di Iole urlare, sottovoce disse alla cameriera:
«Vai a vedere cosa fa, e torna subito a riferirmelo».
Quando la cameriera, senza nessuna fretta tornò, Bruno impaziente, chiese:
«Allora?»
«Si è seduto fuori dal bar e ha ordinato una bibita».
«Ha chiesto di sua moglie, di me?»
«No. Ma da dove è seduto, tiene d’occhio le uscite».
Conosceva l’hotel e così, passando per il retro, attraversando le cucine e il cortile interno, scese nell’autorimessa e da lì imboccò, senza essere visto, il vicolo che lo avrebbe portato sulla Nazionale.
Tornando a casa pensava a Iole, a come se la sarebbe cavata lei. Poi si chiese chi potesse essere stato il delatore, chi avesse messo la pulce nell’orecchio al marito. Al paese nessuno sapeva nulla della loro relazione, e nemmeno in città. Solo suo fratello e la cognata ne erano al corrente, ma di loro, ne era certo, si poteva fidare. La cameriera? Si conoscevano da sempre e sapeva che anche di lei si poteva fidare, e allora? Allora pensò a qualche lettera anonima, mandata al marito da qualcuno che Iole aveva respinto e, non si sa come, era venuto a conoscenza della loro relazione.
Bruno guidò lentamente sino al paese e fece anche un giro attorno alla casa di Iole per vedere se fosse tornata, ma le luci erano tutte spente e la sua macchina non era in giardino e allora, sempre più preoccupato, tornò a casa.
«Mamma, è arrivato papà». Disse la piccola Agnese che aveva riconosciuto la vettura e si era girata verso la strada. La madre, come sua abitudine, si asciugò le mani nel grembiule, prese la figlia per mano e gli andò incontro.
«Ceniamo subito Bruno, ti abbiamo aspettato ma la piccola ha fame».
«No. Tra un po’, ora devo salire di sopra a controllare con urgenza delle fatture, contratti, rifare certi conti».
Accanto alla zona notte, nella stanza più piccola, aveva ricavato il suo ufficio, in quel momento ingombro di scatoloni pieni di prodotti e depliants, ma la finestra dava proprio sullo stradone e per una buona mezz’ora stette in attesa di vedere se la cinquecento di Iole transitasse davanti casa sua. Con le mani che gli tremavano e le gambe che non lo reggevano più, si accese una sigaretta. Non gli era mai successo prima una cosa simile, si sentiva a disagio, era preoccupato. Pensava a come l’avrebbe presa sua moglie se avesse saputo del tradimento, alle inevitabili conseguenze. Pensava a Iole e si chiedeva perché ancora non rincasasse. Per fortuna, poco dopo, la cinquecento transitò sullo stradone con Iole al volante e il marito seduto accanto. E proprio in quel momento si sentì chiamare dalla moglie:
«È pronto, la bambina ha fame e non la reggo più. Scendi».
Cenò come le altre sere, ma questa volta senza appetito: due cucchiai di minestra, un boccone di frittata, una forchettata di verdura cotta e lasciò nel piatto la fetta di crostata. Era inquieto, continuava a pensare al rischio che stava correndo e sudava. Non poteva fare a meno di guardare la moglie e provare una gran tenerezza per lei e per la bambina, e si rimproverava per essere stato così incosciente da rischiare così tanto per un’avventura di poco conto e di non aver capito prima che il suo posto era quello. Lì, in quella casa, con loro, con la sua famiglia.
Dopo l’episodio dell’hotel Europa, sebbene Iole insistesse per continuare la relazione, i loro incontri si diradarono, al punto che per un pezzo non si incontrarono quasi più.
Il marito di Iole era farmacista e assieme alla madre, farmacista anche lei, gestiva l’unico punto vendita di medicinali del paese. Iole, sebbene non potesse soffrire la suocera, dava una mano, ma se a Bruno capitava di entrare in farmacia, lei, provando un forte imbarazzo e sentendosi tutti gli occhi addosso, evitava di servirlo e andava a eclissarsi nel retro bottega.
Tuttavia, non riuscendo a fare a meno di lui, continuò a tormentarlo, a cercarlo e dopo mille insistenze, un giorno si ritrovarono all’hotel Europa.
Quel giorno erano entrambi tesi, e nella stanza numero tre ci rimasero molto meno del solito. Il tempo di fare l’amore e poi Bruno, rivestitosi in fretta, prima di andare via le chiese di avere pazienza, di mantenersi calma, di non precipitare le cose. E Iole, malvolentieri, promise che avrebbe avuto ancora un po’ di pazienza ma che, amandolo come lo amava, non poteva fare a meno di lui.
Bruno, cercando di stemperare i suoi bollori, cambiò discorso e chiese come fosse riuscita a cavarsela quel giorno, e lei raccontò che passando dal retro era sgusciata fuori dall’hotel senza essere vista. E che dopo aver preso la macchina ed essere andata al deposito farmaceutico a ritirare la merce, aveva fatto in modo di incontrare il marito per strada e, stordendolo con frottole e fandonie, era riuscita a confondergli le idee tanto che il marito non dubitò più della sobrietà e fedeltà della moglie. E alla fine superò ogni sospetto e accantono anche ogni possibile malinteso.
«Se penso a tutti gli anni che ho perso per colpa tua. A quanto sono stata stupida…»
Gli disse all’improvviso Iole, cambiando discorso.
«Che vuoi dire?» Chiese Bruno.
«Voglio dire che l’amore che provo per te sta ingoiando tutta la mia vita».
Si conoscevano sino dalle elementari e lei era sempre stata innamorata di lui. Poi Bruno si era trasferito in un’altra città e si erano persi di vista. Iole aveva sposato Giacomo, un uomo assai più vecchio di lei, malaticcio che non era riuscito nemmeno a metterla incinta, ma era ricco e di una delle migliori famiglie del paese. Poi Bruno era tornato e bastò uno sguardo per infiammarsi.
«Se io fossi libera, tu avresti il coraggio di lasciare tua moglie?» Gli chiese ancora Iole.
Bruno non sapeva cosa rispondere. Riteneva la moglie la migliore donna del mondo e poi per lui la famiglia era sacra, era tutto, ma Iole proseguì:
«Giacomo è malato, ha un’insufficienza cardiaca e respira a fatica. Non ci vorrà molto. Ora tocca a te decidere». Ma in quel momento Bruno non colse appieno il significato di quelle parole premonitrici, e tutto successe la notte di quel 30 novembre.
Giacomo da una settimana si trovava a letto e il medico, oltre alle cure, gli aveva prescritto assoluto riposo. La madre era andata a trovarlo verso le otto di sera, appena chiusa la farmacia, mentre Iole, per non trovarsela tra i piedi anche a casa, era andata a trovare un’amica. Ma alle tre del mattino Iole telefonò al dottore. Gli disse che il marito stava avendo una crisi, poi, ancora in vestaglia uscì da casa e andò a svegliare la suocera che abitava nell’ala opposta del fabbricato. Tornarono assieme da Giacomo ma quando arrivarono lui era già morto e il dottore non poté fare altro che costatarne il trapasso e scrivere: decesso per arresto cardiocircolatorio.
Con la scusa che doveva vedere dei clienti importanti in città, quel giorno Bruno non si fece vedere ai funerali di Giacomo, e lasciò andare da sola la moglie. Ma intanto era preoccupato, non sapeva quale sarebbe stata, ora che Iole era tornata libera, la sua reazione. A quel punto, secondo l’amante, non ci sarebbero stati più ostacoli alla loro unione, ma…
Il tempo passava e Bruno non si decideva, anzi, cercava di diradare sempre più gli incontri con Iole. Si faceva negare al telefono, evitava di passare davanti alla farmacia e non si faceva vedere nemmeno più in paese. Ma il giorno che la moglie era rimasta a letto con l’influenza e gli chiese di andare in farmacia a prendere le medicine che aveva ordinato il giorno prima, fu costretto e ci andò. Dietro al bancone c’era la suocera, ma come lo vide Iole si precipitò verso di lui e con modi professionali gli chiese se doveva prendere le medicine che stava aspettando la moglie.
«Vado a vedere se sono arrivate». Proseguì, e sparì nel retrobottega.
Dopo qualche minuto era tornata con delle scatoline e uno sciroppo, “per la tosse”, disse.
Tornato a casa, Bruno posò tutto sul tavolo della cucina, mentre la moglie, che nel frattempo si era alzata dal letto, asciugandosi le mani nel solito grembiule, andò a controllare le medicine.
«E questo?» Chiese, prendendo in mano il flacone dello sciroppo.
«Me l’hanno dato in farmacia, fa bene per la tosse, mi hanno detto» La moglie, posò il flacone sul tavolo e si dedicò al caffè.
Bevuto assieme il caffè, Bruno le disse di riguardarsi e andò a lavorare.
Arrivato in città, passò dall’hotel Europa per salutare il fratello, ma soprattutto per sapere se per caso si fosse fatta vedere Iole.
«Sì. È venuta giovedì, ha detto che ti stava aspettando ed è salita in camera. Dopo un’oretta è ridiscesa, ha salutato e se n’è andata senza dire niente».
In effetti, Iole gli aveva strappato la promessa di incontrarsi quel giovedì, ma all’ultimo momento Bruno non se l’era sentita di andarci e l’aveva avvisata con un semplice messaggio:
“Sto lavorando e non riesco a liberarmi. Scusami. A presto”.
Salutato il fratello, Bruno iniziò il suo giro dei clienti e in serata riprese la strada del ritorno e, uscendo dall’ultima curva, vide le finestre di casa sua tutte illuminate e si allarmò. Pensò a sua figlia, pensò alla moglie che quella mattina non stava bene e si era voluta alzare per forza.
Arrivato davanti al cancello, si accorse con stupore che in strada sostavano mezzi della polizia e anche mezzo paese che lo stava aspettando, e subito pensò a una disgrazia.
Mentre entrava in casa, la gente si scostava al suo passaggio, ma invece di guardarlo con rispetto, lo fissava con rabbia e qualcuno lo insultò. E lui non capiva cosa potesse essere accaduto e cominciò a preoccuparsi, a pensare al peggio.
Dentro, in cucina, c’erano dei poliziotti, molti in divisa e altri in abiti borghesi. E c’era anche un capitano dei carabinieri, arrivato dal capoluogo con i suoi uomini.
«Lei è il marito? Finalmente. Dove è stato tutto questo tempo?» Gli chiese il commissario di polizia, appena lo vide entrare.
«Ma cosa è successo, dove sono mia moglie e mia figlia?» Chiese Bruno, ignorando la domanda del commissario e guardandosi intorno interdetto.
«Lo sai meglio di noi, dove si trova tua moglie». Gli rispose un altro poliziotto.
«Sua moglie è in ospedale. Piuttosto, mi dica, ha portato lei a sua moglie questo flacone?»
Chiese il commissario, mostrandogli la bottiglietta.
«Sì, l’ho portato io, assieme alle altre medicine che aspettava. Non stava bene, era influenzata e in farmacia mi hanno dato anche lo sciroppo per la tosse». Rispose.
«Ma cosa le è successo? Ha avuto un incidente?» Insistette preoccupato Bruno.
«Incidente un corno. Non faccia il furbo, sa benissimo cosa è successo. Ha bevuto lo sciroppo che le ha portato lei, ed è morta avvelenata». Gli rispose il capitano dei Carabinieri.
Poi arrivò anche il magistrato di turno, che non gli dimostrò maggiore riguardo degli altri e, senza rivolgersi a nessuno in particolare, chiese se l’imputato avesse già confessato il delitto.
«Fa la parte dell’innocente, com’era da aspettarsi, ma è tutto così chiaro. Abbiamo arrestato anche la sua complice, per correità nel delitto. Domani procederanno alla riesumazione e all’autopsia anche del corpo del marito della sua amante, e sicuramente scopriremo che è stato soppresso con lo stesso veleno contenuto di questo flacone e ingerito oggi dalla moglie del qui presente…»
«Si sa anche il tipo di veleno?» Chiese il magistrato.
«Da quello che ci ha riferito il medico legale, sembra si tratti di cianuro, ma saremo più precisi in seguito. Intanto le posso anticipare quello che ci ha riferito una testimone, la vicina di casa chiamata dalla vittima mentre in preda a forti dolori al ventre le indicava la bottiglietta. Solo che dentro il flacone, come abbiamo accertato, non c’è solo lo sciroppo per la tosse ma anche veleno mortale». Rispose il commissario.

La figlia, Agnese, venne affidata al fratello, mentre Bruno fu condotto in carcere e da quel giorno vide Iole solo sei volte: durante gli interrogatori e le udienze in tribunale.
Lei sembrava del tutto disinteressata all’esito finale, seguiva il processo con distacco ma quando incrociava lo sguardo di Bruno si rianimava e gli sorrideva, mentre lui non poteva fare altro che volgere lo sguardo altrove.
La Corte d’Assisi stabilì, oltre ogni ragionevole dubbio, la correità degli imputati per l’assassinio della moglie di Bruno, mentre per la morte di Giacomo fu riconosciuta colpevole solo Iole, con l’aggravante della premeditazione e della crudeltà, in tutti e due i delitti.



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