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Il segreto di Pulcinella

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

29
MAR
2018

Più di 51 milioni di profili Facebook sono stati sottratti all'insaputa degli interessati per essere utilizzati nella campagna elettorale di Trump e quella a favore della Brexit. Ma è davvero possibile che chi, come Zuckerberg, scaltro creatore di un enorme contenitore sociale, sia stato così sprovveduto da lasciare che il suo social network fosse liberamente sfruttato da altri?

Mark Elliot Zuckerberg. Questo nome potrebbe non significare molto per tanti eppure si deve a lui la possibilità di esprimere pubblicamente il proprio pensiero anche a distanze di migliaia di chilometri con l’uso della rete internet. Parliamo di Facebook, quell’applicazione che gli utenti dei sistemi di comunicazione, come computer connessi in rete o telefoni smartphones, usa almeno una volta al giorno. Zuckerberg è il presidente e amministratore delegato di Facebook Inc., la società che controlla il social network più famoso e diffuso al mondo di cui è fondatore con Eduardo Saverin, Andrew McCollum, Dustin Moskovitz e Chris Hughes. Per un’ottima intuizione unita al nostro costante contributo giornaliero, quest’uomo, nato a White Plains – Stato di New York il 14 maggio 1984, è il quinto uomo più ricco del mondo vantando un patrimonio di circa 72,4 miliardi di dollari. Mentre il rapporto dell’Oxfam International ci comunica che l'1% della popolazione mondiale detiene l'82% della ricchezza prodotta in un anno e 789 milioni di persone vivono in povertà estrema, Zuckerberg continua ad accrescere le sue ricchezze con Facebook. Nell’era in cui sono sconosciuti i rimedi per molte malattie mortali, uno studente dell’Harvard University inventa prima un’applicazione per votare il ragazzo e la ragazza più cool del campus con i suoi compagni di stanza, poi per mettere in comunicazione gli studenti della sua università, in seguito quelli di tutti i campus e, infine, l’intero pianeta. Così nasceva Facebook. Il segreto che ha portato un giovane informatico a diventare uno degli uomini più ricchi del mondo, risiede in alcune condizioni che si sono perfettamente incastrate. Mark Elliot Zuckerberg nasce da una famiglia dell’upper class ebrea americana, condizione che gli permette di avviarsi a qualsiasi tipo di studi, privilegiando quelli classici e imparando a leggere e scrivere in francese, ebraico, latino e greco antico. Durante la sua adolescenza si specializza in informatica tramite le lezioni private impartitegli dallo sviluppatore David Newman. In breve inventa la prima applicazione che intuisce le preferenze dell’utilizzatore. La tendenza di immagazzinare gli usi, i costumi e qualsiasi dato utile a conoscere le preferenze degli utenti, lo ha accompagnato per tutta la sua carriera culminata con la diffusione del social network mondiale. Zuckerberg è un genio? No, lui è un “nerd bookworm”, il nostro “secchione” fissato per l’informatica, che si è servito di ottimi collaboratori sfruttando a suo vantaggio le loro doti. La predisposizione di Mark Elliot a fruire del talento e dell’intelligenza altrui, così come quella di spingere i suoi sistemi al limite della privacy, nascono con la creazione del primo social network. Mentre Zuckerberg lanciava in rete il sito thefacebook.com, convinceva i tre co-creatori, studenti di Harvard, che il loro lavoro fosse, invece, finalizzato alla generazione dell’indirizzo internet HarvardConnection.com. Questo gli consente l’esordio nel campo dei social networks con gli esiti che tutti conosciamo. I tre giovani ricercatori ricorsero contro Zuckerberg riuscendo, dopo alcuni anni, a ottenere un risarcimento pari a 300 milioni di dollari in azioni Facebook. Una cifra ragguardevole ma insignificante se confrontata alla fortuna che Zuckerberg ha accumulato con il loro lavoro. Zuckerberg è un genio? No, è uno delle migliaia d’imprenditori senza scrupoli che diventano milionari. A lui, però, bisogna riconoscere una dote: conoscere le debolezze della società, saper condizionare le scelte della popolazione e trarre, da questo, un enorme vantaggio. Una macchina complessa come Facebook, però, presenta imperfezioni, fosse solo perché ideata da un uomo che, come tale, appartiene alla stessa società che tenta di manovrare: come lui ha saputo sfruttare le capacità altrui, qualcuno ha fatto la stessa cosa con lui, dirottando a proprio vantaggio i milioni di dati sensibili contenuti nel social network. Più di 51 milioni di profili Facebook sono stati sottratti dal sito all’insaputa dei diretti interessati, per essere utilizzati nella campagna elettorale di Donald Trump e quella a favore della Brexit. Questo è quanto si è scoperto oggi lasciando intravedere possibili sviluppi. Un’immensa e irreversibile violazione dei diritti dei consumatori divenuti inconsci elementi di un contorno business. Non parliamo di un furto informatico ma di una compravendita di dati effettuata da un’azienda di consulenza e marketing online, la Cambridge Analytica con a capo Robert Mercer. Questi è un imprenditore miliardario statunitense molto vicino agli ambienti di estrema destra tanto da essere finanziatore del sito Breitbart News, diretto da Steve Bannon ex consigliere di Trump. Per spiegare come abbia funzionato il meccanismo messo in atto Cambridge Analytica, faremo un semplice riferimento: ogni volta che aggiungiamo un “like”, oppure scegliamo un gruppo piuttosto che un altro o, ancora, condividiamo una notizia, commentiamo o scriviamo un post, stiamo, di fatto, esprimendo un giudizio. Attraverso l’uso di speciali algoritmi è possibile conoscere le nostre più probabili preferenze tanto da poterle catalogare, anticipare e, perfino, condizionare. In breve, l’uso di uno o più social networks, permette la conoscenza delle personalità, a condizione che quelle rese pubbliche siano reali ma, tramite la verifica delle contraddizioni, è possibile scoprire anche questo. Nel momento in cui pubblichiamo fotografie e riferimenti, ad esempio, offriamo uno spaccato della nostra vita da cui si può apprendere cosa facciamo, come ci vestiamo, dove siamo, cosa vogliamo, dati che possono essere adoperati strumentalmente. Per chi non teme alcuna influenza e non ha difficoltà a mostrare pubblicamente la propria identità, la conoscenza da parte di terzi dei propri dati non è un problema. Nel caso contrario può esserlo. Ad esempio, è insensato dichiarare al fisco un reddito minimo e poi pubblicare le proprie fotografie mentre si sorseggia un Margarita sulle spiagge di Puerto Vallarta. Se quella che può diventare vulnerabilità è ripetuta milioni di volte, si diventa l’ingranaggio di una macchina del controllo sociale come quella attuata da Cambridge Analytica e non solo. La responsabilità della Facebook Inc. in questa vicenda è l’aver permesso a molte applicazioni associate di eseguire il login adoperando quello di Facebook dal quale, estraevano tutti i dati personali. Recentemente Mark Zuckerberg ha affidato a un post su Facebook un suo comunicato in cui si dichiara responsabile della mancata protezione dei dati di milioni di utenti, aggiungendo che porrà rimedio perché l’accaduto non si ripeta. Intanto, dopo la denuncia pubblicata dal Guardian e dal New York Times, si moltiplicando i messaggi in rete che invogliano gli utenti a cancellare i profili Facebook così come si diffondono gli hashtag #deletefacebook e #boycottfacebook. Molte grandi aziende che affidavano le loro comunicazioni pubbliche al social network, lo hanno già fatto e, considerando i risultati ottenuti dalla campagna in difesa delle donne “MeToo”, Zuckerberg dovrebbe essere seriamente preoccupato. Oltre a questo, non tarderanno a presentarsi gli sviluppi legali di questa vicenda, certamente finalizzati alla richiesta di maxirisarcimenti e multe milionarie. Ma è davvero possibile che chi, come Mark Zuckerberg, scaltro creatore di un enorme contenitore sociale, sia stato così sprovveduto da lasciare che il suo social network fosse liberamente sfruttato da altri? È probabile che, se non lui, qualcuno all’interno della Facebook Inc. abbia deciso di trarre vantaggio economico dal commercio dei dati personali. Ciò che è certo riguarda il valore delle azioni FB che cala vorticosamente in borsa. Il rapido successo di Mark Elliot Zuckerberg potrebbe, a breve, diventare la sua rovina proprio per mano dei 2 miliardi di utenti Facebook che lo hanno decretato. Per l’utente medio, oltre l’indignazione iniziale, non spetta molto di più perché se ha affidato alla rete i secreti più reconditi della sua vita, avrebbe dovuto aspettarsi che, alla fine, qualcuno gli avrebbe letti.  



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