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Perché la pandemia difficilmente si diffonde nelle scuole

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

19
NOV
2020

La riapertura delle aule scolastiche, da sola, non ha provocato l’innalzamento della curva del contagio da Covid come previsto dai più pessimisti e dove si sono verificati dei focolai sono stati contenuti. Se ne deduce ovviamente che la scuola non è luogo di grande diffusione della pandemia, eppure sembra subire gli effetti di quello che accade fuori e non causarli. Il contesto scolastico presenta diverse caratteristiche favorevoli alla trasmissione virale perché numerose persone sono in un luogo chiuso per un numero elevato di ore, ma il contagio avanza tra gli alunni in modo molto lento rispetto agli adulti. Le scuole sono state riaperte in sicurezza in quanto la diffusione comunitaria del virus era bassa. In Italia come in altri Paesi in cui la campanella è suonata con la curva epidemiologica in risalita, i focolai sorti nelle scuole sono stati relativamente pochi dovuti alle misure di prevenzione adottate. Solo 1.212 scuole italiane hanno registrato contagi da Covid e nella maggior parte dei casi si trattava di singole infezioni. Solo una scuola superiore ha registrato un cluster con più di dieci infezioni. Da gli ultimi dati disponibili risulta chiaramente che alle scuole italiane è riconducibile una bassa percentuale dei focolai nazionali di Covid di cui si conosca l'origine. Bisogna considerare eventuali contagi nelle attività extrascolastiche, che ovviamente non sono regolate dai severi protocolli scolastici. Dove il coronavirus SARS-CoV-2 arriva, non sembra quindi divampare come fa in altri contesti affollati e frequentati dagli adulti. I dati sulla trasmissione della Covid nelle scuole del Regno Unito, ad esempio, rivelano che nella maggior parte dei focolai iniziati in ambito scolastico censiti a giugno dipendevano dalla trasmissione tra i membri dello staff insegnanti e soltanto due erano partiti con un contatto tra studenti. Il rischio cresce con l’età in quanto una possibile spiegazione sta nel fatto che, secondo diverse analisi, i bambini di età inferiore a 12-14 anni sono meno suscettibili all'infezione e una volta che l'hanno contratta, pur ospitando un’elevata carica virale la trasmettono più difficilmente.  Anche in Germania è stato dimostrato che la trasmissione della CoViD-19 è meno diffusa tra i bambini di 6-10 anni, rispetto a quelli più grandi e agli adulti che lavorano nelle scuole. Negli USA alcune ricerche hanno rilevato come il tasso di infezione è più elevato per gli adolescenti rispetto ai bambini da 5 a 11 anni di età e che l'incidenza delle infezioni aumenta in modo direttamente proporzionale al ciclo di studi frequentato. Per questo le prime misure di mitigazione nelle scuole, nei contesti in cui la diffusione del virus è alta, dovrebbero focalizzarsi su adolescenti e insegnanti. Quello sulla suscettibilità dei bambini e sulla loro capacità di trasmissione è uno dei tanti dubbi irrisolti. I dati sono influenzati dalle misure anti-Covid (mascherine, distanziamento, igiene delle mani) che impediscono di osservare l'andamento naturale dei contagi. Può essere che, avendo i bambini polmoni più piccoli, diffondano meno aerosol, è quello che accade per la tubercolosi, per la quale il contagio si diffonde dalle lesioni polmonari; ma non è detto che valga per questo virus, che  infetta prima le vie respiratorie superiori. Chiunque abbia a che fare con i bambini sa che muco, starnuti e contatti non sono facilmente evitabili. È possibile che i bambini tendano a trasmettere meno facilmente l'infezione perché più spesso asintomatici o paucisintomatici. Anche tra gli adulti, il tema dell'infettività degli asintomatici e della definizione stessa di asintomatici è ancora pieno di incognite, e crea confusione.

 



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