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Parole che contano

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

21
GIU
2013
C’è infinita fame d’amore e di bellezza: che sia “presente sospeso”, “sala d’attesa” o “permesso di soggiorno”, la vita ha bisogno delle parole della poesia.
  
MALASPINA
“Ho imparato a esprimere gli umori -/anche gli umori forti-/ senza camuffarli./Senza infingimenti. Mi godo brevi soste felici/di sospensione e improvvisa/adesione./Mi oriento verso un mondo più affabile e poroso.” E’ questa la poesia-manifesto che apre “MALASPINA”, (Mondadori)  la nuova raccolta poetica di Maurizio Cucchi con la quale l’autore, con una lingua luminosa e chiara, sfrondata dal superfluo, compie un viaggio nella porosità della materia e negli anfratti della memoria, pur mantenendo il tenace ancoraggio al presente. La raccolta divisa in cinque sezioni (“Berretto a sonagli”, “Nel cortile delle giovani mamme”, “Macchine movimento terra”, “Abbandoni”, “Console o capitano”), si apre e si chiude con il tema  del gioco delle maschere, dello scambio d’identità, costante tematica di Cucchi, a sottolineare la traiettoria del fare poetico: in poesia infatti niente mai finisce, ma tutto comincia da capo e ogni volta i versi aprono nuovi orizzonti all’immaginazione. Altro tema presente in “Malaspina”  è quello della memoria, che “raspa indifferente”; una memoria  goduta o subita a “spezzoni”, come un “trailer di un vecchio film perduto e presente per sempre, sepolto.” Il poeta ritrova così i luoghi di Milano, il laghetto ghiacciato Malaspina, i conoscenti,  gli oggetti come “le biglie di terracotta colorate, la carriola, le spade giocattolo, lo stucco pastoso …la cartella di cuoio.” Evidente è in questa raccolta la tensione tra la tenace volontà di aderire al presente, alla materialità degli oggetti, all’esserci pienamente e  lo sprofondamento  nel passato per tornare, liberato dalle scorie  e luminoso al presente: “Perciò io adoro il presente/perché solo il presente contiene/tutto quello che è stato/ma il presente sospeso, la luce/questo blocco di terra pressato.” Un testo  solido, ben costruito, “animato da un’affabilità istintiva e rara nella poesia d’oggi, come il romanzo di un Io ricongiunto e tuttavia estraneo  a ogni gravame  autobiografico o psicologico.”
 
IL CHIOSCO
Quella di  Hans Magnus Enzensberger è  una poesia veicolo, strumento di indagine, coscienza critica che  mette a nudo la presunta sapienza dell’essere umano. Di lui  Roberto Galaverni scrive: “Dopo il grande antecedente rappresentato da Brecth, può essere considerato il poeta che negli ultimi decenni ha lavorato con maggiore consapevolezza sulle possibilità conoscitive e saggistiche del fare poetico. E non solo in area tedesca.”  Sulla scorta di tali riflessioni, pertanto, abbiamo voluto segnalare “CHIOSCO” , una raccolta che Enzensberger  ha pubblicato nel 1995 ( egli è nato in Baviera nel 1929) ed  è uscita ora in Italia con Einaudi, tradotta da Anna Maria  Carpi. 
Curiosità, ironia, intraprendenza, passione analitica e descrittiva, spiccato sense of humour , giochi linguistici, sono gli elementi con i quali il poeta porta avanti la sua permanente critica sociale e politica.  Oggetto di “Chiosco” sono i comportamenti dell’uomo, la sua ipocrisia: “Strano dunque che per tutta la vita, sempre daccapo,/abbiamo creduto alla bontà dell’uomo – e creduto/in genere.” L’autore passa in rassegna l’arrivismo, gli interessi economici, la volontà di potenza, ma anche qualche raro esempio di giustizia e armonia, che caratterizzano l’esperienza umana.  Apparenza, maschera o autenticità – sembra voler dire Enzensberger – quello che nella vita si fa e si vede è comunque quello che conta. Una poesia tratta dalla raccolta: Programma di minima – “Distacco, rinuncia, ascesi -/questo sarebbe già volare troppo alto./Impressionante come di tutto si può fare a meno./Non prender nota delle offerte speciali, puro piacere!/Non emergere da nessuna parte,/tralasciare il più-/Acquisto di conoscenza tramite gesti di rifiuto./Solo chi non vede tante cose/può vedere qualcosa./L’Io: una forma cava,/definita da ciò che tralascia./Quel che si può tener stretto,/quel che ci tiene stretti/è  il meno.”
 
SONO FRAGILE SPARO  POESIA
“Un essere fragile, il poeta. Nella carne e spesso anche nella mente, creatrice di quel che il mondo ha di più forte, di più strenuo contro le forze del male: il pensiero poetante, il verso folgorante…Dire poesia, insegnare a dirla, per molti anni, “spararla” in scena qua e là, tradurre poeti veggenti, fabbricare versi, mi ha fatto dimenticare quanto fossi fragile anch’io.” Sono le parole con le quali  Guido Ceronetti introduce quella che lui stesso definisce “piccola antologia personale”: “SONO FRAGILE SPARO POESIA” (Einaudi). Un’antologia ossimorica, in quanto accosta aggressività e docilità, forza e vulnerabilità, perentorietà ed evanescenza, e che propone una selezione di quanto all’autore stesso sembra la migliore testimonianza del poetare.
Ceronetti è autore di saggi, reportage, romanzi, testi per il teatro e traduzioni. Ha scritto più di cinquemila versi. E’ stato lui, come abbiamo già detto, a ordinare personalmente i versi che vanno a comporre questo libro. Lo ha fatto attingendo dalle sue migliori raccolte poetiche Compassioni e disperazioni, Scavi e segnali, La distanza, La ballata dell'angelo ferito, Gineceo (originariamente pubblicato sotto il nome di un eteronomo turco: Mehmet Gayuk) - scegliendo le poesie che gli sembrano avere mantenuto intatta, ancora oggi, la carica di emozione e di ispirazione da cui sono scaturite. Il risultato è un libro che parla una lingua intima e personale, ma anche universale, in cui la bellezza della parola e "la tenebra insolubile che è la vita" si sposano "in qualche ideogramma di compassione, di ricordo e di desiderio della luce". Per Ceronetti, nato a Torino nel 1927 e  attualmente residente in provincia di Siena,  la poesia è un "buon Cristoforo al guado", perché ci porta in salvo sull'altra sponda, senza celebrare se stessa, "tra distese di solitudine e di affollati spazi impauriti".
 


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