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Enrico Ghezzi/Conservo dunque sono

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

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LUG
2013

 

Per secoli, sopratutto dalla rivoluzione di Gutenberg in poi, la maggior parte della nostra memoria collettiva e, quindi, della nostra cultura, è stata raccolta in documenti scritti, nei libri insomma. Poi, con l'invenzione della fotografia, prima,  e del cinema, in seguito,  l'uomo contemporaneo, quello di fine ottocento e di tutto il novecento, ha cominciato a conservare non solo documenti scritti, ma pure immagini, sia fisse che in movimento.

Conservare questa grande quantità di immagini è diventata da subito, insieme alla ricerca del "supporto ideale", una priorità per archivisti e storici.

L'importanza che rivestono, oggi, gli archivi digitali e le mediateche per la conservazione, prima, e per la diffusione, poi, dell'immensa mole di documenti filmati e fotografati che il secolo scorso e il nostro hanno e stanno producendo è stato il tema di un’interessante iniziativa dal titolo: "Digital Heritage - Archivi Audiovisivi nell'Era Digitale". Tra i prestigiosi relatori c'era anche Enrico Ghezzi, noto critico cinematografico, autore di importanti trasmissioni televisive come "Fuori Orario - Cose (mai) viste" e sopratutto "Blob", storica trasmissione che fa del ri-montaggio delle immagini televisive la propria cifra stilistica.

Noi di Extra Magazine, presenti ad alcuni degli appuntamenti, abbiamo avvicinato proprio quest'ultimo per rivolgergli alcune domande.

In un recente saggio, "Non sperate di liberarvi dei libri", Umberto Eco e Jean-Claude Carrière si interrogavano sulla precarietà dei supporti che si utilizzano per conservare la nostra cultura e la nostra memoria e facevano, tra gli altri, l'esempio del VHS, che è andato benissimo per oltre 10 anni per poi essere soppiantato, nel giro di pochissimo tempo, dal DVD. Allora la domanda è questa: se è vero che è importante conservare le nostre memorie, anche quelle dei nostri filmati casalinghi, che possono essere elevate al rango di vero e proprio cinema, che senso ha conservare le nostre memorie su un supporto che tra 10 anni nessuno potrà leggere?

«Come prima cosa, non so cosa voglia dire “vero e proprio cinema”. Secondo, si può immaginare che, a un certo punto, arrivi una soluzione talmente superiore alle altre, con resistenza alle varie deformazioni, sgranature, etc., una sorta di Aleph purissimo e totale, che sarà diffuso e che non sarà troppo costoso, e che sarà anche in grado di mantenere un buon livello di qualità, e allora si accederà a quella. [...] Ogni avanzamento tecnico produce nuovi problemi: pensiamo alle differenze che ci sono tra il conservare un film in 2D, in 3D o in pellicola con le caratteristiche e i difetti propri di ogni formato e supporto. […] Non credo che quello del supporto sia un vero e proprio problema. Lei ha parlato di cinema vero e proprio, non so cosa significhi. Probabilmente il cinema è quello che si conserva perché ci sembra più interessante da conservare; e ovviamente non è vero, perché non siamo noi a scegliere, ma sono le cineteche, gli archivi, alcune persone, che scelgono per dei motivi coglioni (scusatemi il termine); alla fine c'è comunque una scelta. Bisogna sempre stare in guardia dalle scelte definitive tipo: questo sì e questo no. Io personalmente sono per registrare e conservare tutto, il che, mi rendo conto, è impossibile da attuare. […] Tornando ai supporti, il VHS ha una storia paradossale: ha molto meno qualità del DVD, dopodichè è il supporto che globalmente ha retto di più al tempo. Oggi non viene più stampato perchè occupa spazio, sembra obsoleto e fragile fisicamente, ma la qualità dell'immagine è notevolissima, se dovessi oggi valutare il rapporto costi/investimenti/durata la cosa che funziona di più è ancora il VHS».

Compito della nostra memoria collettiva, cui assegniamo il nome di cultura, è non solo quello di conservare e archiviare i dati e le informazioni che riceviamo dalle generazioni passate, ma anche, che lo si voglia o no, di "filtrare", di operare delle scelte, in tutta questa mole di dati. Per dirla con le parole di Umberto Eco, nel libro già citato: "La cultura è un cimitero di libri e di altri oggetti scomparsi per sempre".



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