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Claudia Lezza/Tra vocazione e dovere

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

2
AGO
2013
La riscoperta dell’arte e della propria dimensione esistenziale: una giovane martinese, con un passato di avvocato e un presente da pittrice
 
Trovare la propria strada non è facile. La realtà attuale spesso mette a dura prova i giovani. Vi sono delle parti conflittuali e contendenti sempre presenti in ognuno di noi, che spingono da un lato verso la responsabilità, dall’altro verso la libertà. Spesso si ha di sé una valutazione che non è la propria. Di questa valutazione si deve essere consapevoli: è necessario uscire dall’ambiguità del “cosa devo fare – cosa mi piace fare”  e andare incontro alla propria vocazione. L’arte, poi, è un qualcosa che tutti giudicano un po’ “aerea”, poco pratica, però comunque inseguita a ogni costo in quanto tutti aspiriamo a un’elevazione personale: è una sorta di spiritualità che ci fa stare bene.  Claudia Lezza è una giovane pittrice che non ha una formazione accademica ma che ha il fuoco sacro dell’arte, visibile negli occhi e nei pennelli :un mondo “lirico” dove riscopre sé stessa, trovando un equilibrio personale. In pochi mesi ha sviluppato tecniche pittoriche che molti “accademici” a fatica riescono a imparare. Per questo la trasfigurazione artistica non appartiene a nessuno, meno che mai a quei “poeti laureati” di cui parlava Montale - per chiarire il concetto di un’arte che nasce perché deve nascere, non perché si “possiede titolo”. Claudia ha comunque voluto imparare e mettersi in gioco in poco tempo. Con ottimi risultati. 
Claudia è abilitata all’esercizio delle professione forense e ha esercitato la professione come consulente legale sia in azienda che in banca. Poi nel 2012 la decisione … di cambiare strada, un po’ per “problemi” sopraggiunti (be’, la crisi non ha risparmiato nessuno, manco gli avvocati) però cogliendo l’occasione per “dirsi la verità”. 
C’è chi dipinge per esibirsi. Ho invece la sensazione che tu lo faccia in tono intimista. E’ arrivato il momento di trovare un compromesso, lasciando che il tuo talento emerga?
«Grazie per la parola “talento”, ma credo di avere molta strada da percorrere per migliorare il mio curriculum artistico. Sicuramente l’aver iniziato in tenera età e l’aver coltivato nel tempo la mia passione mi ha portata a un buon livello anche da autodidatta. E questo primo anno appena concluso con la scuola di pittura ha ulteriormente affinato le mie capacità di disegnatrice. Se poi ci sia del talento non sta  a me dirlo. Leo Longanesi diceva “l’arte  è un appello al quale troppi rispondono senza essere chiamati”. Spero non sia il mio caso. Non vorrei peccare di vanità se dico che una “chiamata” l’ho sempre avvertita dentro di me, probabilmente anche per il mio carattere tranquillo, sensibile e, a tratti, inquieto, che mi ha portato a esprimere le emozioni più con la matita che con la parola. Disegnare era ed è ancora per me un angolo di pace, uno spazio tutto mio dove dar forma a sensazioni e fantasie, in solitudine e silenzio. E, tuttavia, non parlerei di compromesso, ma di semplice evoluzione. Arriva il momento in cui si ha voglia di condividere la propria passione. Per me il momento è stato la perdita del posto di lavoro che mi ha dato la spinta a riprendere in mano la matita con convinzione, per tentare di dimostrare agli altri quello che amo. Se poi qualcuno dice che ho del talento, la cosa non può che farmi piacere. Ma anche se non avessi talento, continuerei a dipingere ritornando nella mia intima solitudine, per necessità e passione». 
Ma preferisci fare l’avvocato o dipingere?
«Istintivamente? dico subito che preferisco dipingere. Mi viene naturale ed è parte di me. Ma penso che la vita non possa essere assorbita da un’unica passione. Cercare nuovi stimoli, provare nuove attività, apprendere un mestiere, significa comunque arricchirsi e crescere. Ogni attività può avere il suo fascino, anche fare l’avvocato. Soprattutto se ti rendi conto che puoi far bene, con impegno, in ambiti che non reputi tuoi. Ogni esperienza in altri settori può tornare utile. Lavorare in azienda prima, in banca poi, ha influenzato la mia vita e il mio carattere e quindi anche il mio modo di disegnare. Devi conoscere un po’ il mondo per saperlo dipingere». 
Hai fatto l’avvocato, poi la stilista, ti sei cimentata con il fumetto. A sentire questo sembra che tu sia una delle poche persone che riescano a trovare l’equilibrio tra ciò che è necessario fare e ciò che invece ci piace fare della vita. Come ci sei riuscita?
«Hai detto bene: sembra ma non è così. L’equilibrio è una delle cose più difficili da raggiungere nella vita. Io ho solo cercato di preservarmi piccoli spazi in cui dare libero sfogo a me stessa, anche quando lavoravo e il tempo libero era poco. Era terapeutico ma davvero duro: la fantasia nasce dal pensiero libero, se questo è troppo occupato dalle faccende quotidiane non può spiccare il volo. Qualcuno dice che l’arte vuole un po’ di ozio, di sicuro ci vuole tempo a disposizione». 
Parlaci della tua esperienze di stilista.
«Grazie ai miei fantastici amici Bruno Simeone e Daniele Del Genio nella loro promettente azienda “Rossorame”, avevo appena smesso il mio impiego di avvocato in azienda e ho potuto così sperimentare una nuova esperienza. Poi ho trovato un posto in banca e ho preferito la sicurezza, smettendo completamente di creare perché non riuscivo a trovare più il tempo. Poi di nuovo la perdita del posto di lavoro e la riscoperta dell’arte. Ecco forse l’equilibrio è questo: reinventarsi senza mai abbandonarsi a se stessi». 
Grazie al tuo maestro, Igli Arapi, hai imparato in pochi mesi delle tecniche che un accademico se le sogna. Chi devi ringraziare: il tuo insegnante o te stessa?
«L’incontro col maestro Igli è stata una rivelazione: lui non parte dalla tela, ma dalla matita: “Se non sai disegnare, come fai a dipingere?”. Senza le sue lezioni non avrei mai potuto fare il salto di qualità. Mi ha permesso di aguzzare la mia vista al più piccolo dettaglio allenando il mio occhio ai mille colori della natura. Mi ha insegnato a miscelare le tinte, a creare quei giochi di luci e ombre che danno profondità e forza alle immagini. Non credo si possano raggiungere buoni risultati senza un ottimo insegnante. Devo ringraziare lui, e poi anche me stessa, perché ci ho messo testa e cuore». 
Ci parli dell’esperienza con Camillo Pace e delle vignette che hai disegnato per il suo disco?
«E’ stato molto divertente. Tutto è nato per gioco. Ha visto i miei disegni e gli è venuta l’idea di realizzare un fumetto che facesse riferimento al video della sua canzone “E allora balla”. Io sono stata felicissima di realizzarlo. Non avevo mai disegnato un fumetto intero ma mi sono buttata  con entusiasmo. Il risultato è visibile su You tube al canale di Camillo. Poi ha scelto di pubblicare alcune vignette sul suo nuovo album “Autoritratto” uscito a giugno. Non posso che ringraziarlo». 
Si nota nelle tue opere una certa propensione all’utilizzo dell’acquerello. Una tecnica che lascia immagini a metà tra il definibile e l’indefinibile. A metà tra il realistico e l’immaginario. E’ un qualcosa che rispecchia la tua personalità?
«E’ una tecnica versatile che ti consente di realizzare quadri, illustrazioni, fumetti. Ma è molto complessa come tecnica, più di quella ad olio, perché deve mantenere sempre quel caratteristico aspetto vitreo e leggero che rende le immagini un po’ sfumate. E’ questa la sua bellezza. Ma in fondo l’arte tutta è un po’ sogno e un po’ realtà. Credo che rispecchi il mio modo di essere: piedi per terra e testa in aria». 
Adesso che intenzioni hai: fare l’artista a tempo pieno o tornare a fare l’avvocato? 
«Dopo aver cercato per anni il classico “posto sicuro” e dato che la mia vita mi riconduce sempre all’arte, per ora mi dedicherò a dipingere. Contemporaneamente però sto inseguendo un altro piccolo sogno con la mia famiglia: aprire un agriturismo. Ma è meglio non fare mai progetti troppo definitivi. Diceva Goethe: “Non si arriva mai tanto lontano come quando non  si sa più dove si va”». 
 


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