MENU

FRANCESCA PELLEGRINO/PESSIMISTA IO?

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

21
MAR
2014
Vincitrice del premio letterario “Certamen Poeticum Apollinare 2014” con la sua opera “Chernobylove”, la bravissima poetessa tarantina ci conduce nel mondo della sua scrittura, condividendo con noi riflessioni, sogni e ambizioni.
 
«La mia poesia non è pessimistica, è solo realistica. È intrisa di ironia e sarcasmo e questo la salva dall’essere di natura prettamente negativa». A parlare è la bravissima poetessa tarantina Francesca Pellegrino, vincitrice con la sua ultima pubblicazione, di un importantissimo premio letterario. Chiacchieriamo del più e del meno, ci addentriamo nella sua poetica e mentre sorseggiamo un caffè caldo mi racconta la sua visione del presente. «Il mio è solo un occhio critico sul contemporaneo, su ciò che la nostra generazione, una generazione di sballati, sta vivendo. Siamo vittime di un periodo storico senza patrimonio genetico. Ci sorbiamo anziani che si ostinano a non mollare il posto di lavoro e a non lasciare spazio ai giovani, affinché avvenga un normale ricambio generazionale. Ci costringono a restare figli per sempre, a non poter fare grossi progetti sul futuro, a vivere in una perenne situazione di instabilità lavorativa ed economica. Come faremo a realizzarci? Prendi la politica, per esempio: è piena di ottantenni che continuano a occupare indisturbati poltrone che non sanno più gestire e a toglierci il diritto di dire finalmente la nostra, di farci valere. Insomma, come si fa a non essere critici su questo?». 
Francesca Pellegrino, autrice – tra gli altri – di “Chernobylove”, scruta la realtà circostante, facendosi portavoce attraverso le sue poesie ma non solo, dei desideri e dei sogni di una generazione che stenta a decollare e che nonostante ciò ha la forza e la voglia di continuare a lottare e a ribellarsi. Proprio come lei, che vive di “burrasche emotive” di cui, tuttavia, non riesce a fare a meno e che alimentano la sua vena creativa.
 
Francesca, domanda banale… ma non posso non partire da qui: perché scrivi?
«Per una sorta di urgenza aborigena, direi. È una necessità che ho da sempre, sin da bambina. Ho cominciato da piccolissima tenendo un diario personale, cosa che fanno quasi tutti. Ma ben presto ho iniziato ad annotare i miei pensieri, le mie riflessioni sul mondo circostante, sui fatti che mi accadevano. Non una mera cronaca di fatti quotidiani adolescenziali, dunque, ma delle considerazioni su tutto ciò che avveniva attorno a me, sui temi più disparati. Avevo dodici anni quando ho cominciato a mettere nero su bianco tutti i miei sentimenti e il mio io più interiore».
 
Oltre ai tuoi diari hai scritto sempre e solo poesia?
«No, in realtà ho provato anche con la prosa, cimentandomi in alcuni racconti. Mi è uscito anche qualcosa di buono, ma non è la mia sfera. Io divento me stessa, riesco a esprimermi al meglio nella sintesi, nell’accuratezza del linguaggio e nella necessità di individuare un tipo di scrittura maggiormente ricercata. Con la poesia elimino tutto il superfluo, accorcio i versi ancora e ancora, sempre di più fino a quando non rimane l’essenziale: quella parola, o quelle poche parole, che bastano da sole a spiegare la forza di un sentimento. E naturalmente più ci si addentra in questo stile e più ci si allontana dalla narrativa, la quale al contrario ha bisogno di essere arricchita da spiegazioni. La poesia è immediata. Tanto è vero che dopo averla scritta quasi non la riconosco più come mia. Esprime un sentimento di getto, e poi rileggendola mi stupisco della forza, e perché no, talvolta anche del coraggio, che ho avuto».
 
Visti i riconoscimenti che hai subito ottenuto, è innegabile che la poesia sia proprio il tuo campo.
«Ho avuto molte soddisfazioni e ne sono davvero felice, perché mi danno la forza di continuare. Scrivere non è facile, è una strada tortuosa che ti obbliga a fare i conti con te stesso. A volte penso che vorrei non avere questo bisogno impellente di scrivere, perché questo è: un bisogno, una necessità. Non ne posso fare a meno, anche quando fa male. Non capisco, infatti, chi si cimenta nella scrittura scegliendo questa strada non per “vocazione”, come è giusto che sia, ma per “moda”. In fondo, non lo si fa certo per un ritorno economico. Dunque a che pro? Per la gloria? All’arte non ci si approccia. L’arte non si sceglie. È lei che in un certo senso sceglie te. La poesia è complicata, ma mi dà l’opportunità di raccontare il vissuto. La poesia nasce in funzione di ciò che vivo e non il contrario».
 
Nel 2006 consegui un importante premio…
«Esatto. In quell’anno ho partecipato alla seconda edizione del concorso “Io Scrivo” indetto dall’editore Giulio Perrone, dove mi classifico tra i finalisti. Successivamente vengo selezionata per la collana “Donne in poesia” curata da Elisa Davoglio, con “L’enunciato”, un libricino contenente dieci poesie, in ognuna delle quali racconto la storia di un personaggio, che poi in realtà sono sempre io. Ma è il 2009 l’anno della mia prima vera pubblicazione, quella più corposa, insomma».
 
Parli di “Dimentico sempre di dare l’acqua ai sogni”? Bel titolo, a proposito. Ce lo spieghi?
«Il titolo del libro, pubblicato da Kimerik, fa riferimento al verso di una delle poesie contenute al suo interno. Nasce da… una pianta che si è seccata! (ride, ndr). Non sono stata brava a prendermene cura e l’ho vista lentamente seccarsi davanti a me e ho iniziato a considerare che questo non accade solo alle piante, ma anche a un sentimento, a un rapporto interpersonale o ai sogni, naturalmente. Se non ce ne prendiamo cura nella maniera corretta, rischiamo di perderli. E proprio come le piante ognuno di noi ha bisogno di una quantità diversa di “acqua”: a volte ne basta poca, altre volte ne serve molta di più. Ognuno necessita di individuare la sua “sete”. Tra l’altro, questa prima pubblicazione in realtà stava quasi per non avvenire».
 
In che senso?
«Avevo inviato il manoscritto a questa casa editrice, che però inizialmente mi aveva fatto una proposta di pubblicazione che non mi andava giù. Non potevo permettermi i costi e allora decisi di inviare immediatamente una mail per ribellarmi a questa cosa. Insomma, non sopportavo l’idea che chi non gode di una solida base economica debba vedersi negata la possibilità di realizzare il suo sogno. Così, ecco… me ne lamentai con un certo cipiglio. Fui ricontattata nel giro di pochissimo tempo dall’editore stesso, il quale mi disse – rendendomi pazza di gioia, naturalmente – che la mia scrittura meritava di essere conosciuta e divulgata e che avrebbe pubblicato il mio mano scritto investendo lui stesso nel mio talento. Ne fui felicissima, davvero. Ho vissuto una vera e propria burrasca emotiva in quei giorni: la felicità di essere subito contattata, la delusione per aver creduto che i miei sogni fossero andati già in frantumi e di nuovo la gioia di godere della stima di un bravo editore. D’altronde se non vi è questa altalena di sentimenti non sono contenta. Le cose troppo facili non mi piacciono!».
 
E poi è stata la volta di “Niente di personale”.
«Che in realtà è precedente al primo libro, anche se l’ho pubblicato dopo».
 
Visto che stiamo parlando dei tuoi meravigliosi titoli, spiegaci anche questo. La poesia in realtà non è personale?
«Certo che lo è. Ma questo titolo, in realtà, vuole essere l’inizio del precedente, cioè: “Niente di personale… dimentico sempre di dare l’acqua ai sogni”. Nella mia mente si tratta di un unico libro, perché uno è il seguito emotivo dell’altro. In ogni caso, “Niente di personale” è stato pubblicato nella collana Samizdat per la Biblioteca Clandestina Errabonda».
 
E arriviamo a “Chernobylove”.
«Esatto, che però si differenzia dalle prime due pubblicazioni. Le prime due, infatti, raccontano il dolore puro – non pessimistico, badate… anche se a una lettura superficiale potrebbe apparire tale; in realtà però si tratta solo di realismo, di una presa di coscienza del dolore e della verità anche quando non è piacevole –, “Chernobylove” invece rappresenta una sorta di distacco emotivo. È un dolore postumo. Il sottotitolo, infatti, è “Il giorno dopo il vento”, proprio perché quando arriva il vento impetuoso cambia il paesaggio, sposta le cose, ti offre nuovi punti di vista. E non è detto che sia sempre un male. A volte le cose belle, perfette, sono solo un’illusione e una folata di vento che scompiglia le carte in tavola le cambia per permettere di riprendere in mano le redini della propria vita e di andare avanti. Dopo il grande disastro di Chernobyl, proprio il giorno dopo, intendo… lo sapete com’era il cielo? Stupendo, incantevole, brillante. Eppure non andava bene. Era illusoria tutta quella bellezza. Come quella che ci propinano con alcune pubblicità, dove ci mostrano il piattume del “come deve essere”. Famiglie sorridenti che fanno colazione insieme, donne che passano l’aspirapolvere con i tacchi e vestite di tutto punto. È una realtà bugiarda. La verità è meno perfetta, ma senz’altro migliore, poiché appunto reale!».
 
“Chernobylove” ti ha fatto vincere l’importante premio letterario “Certamen Poeticum Apollinare 2014 - I Edizione”, organizzato dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. E anche qui dietro c’è un aneddoto curioso…
«Ho vinto a un concorso al quale non sapevo neanche di aver partecipato! (ride, ndr). In realtà è la mia casa editrice a inviare il manoscritto ai vari premi letterari, comunicandomelo via email. Lo scorso mese di dicembre, tuttavia, è stato un periodo piuttosto movimentato per me, e dunque nella confusione generale devo aver erroneamente cancellato la mail senza leggerla e senza neanche rendermene conto. Dunque non ho neanche vissuto l’ansia dell’attesa, sai… quando controlli tutti i giorni se sono usciti i risultati. Io mi sono goduta direttamente la chiamata in cui mi avvisavano della vittoria».
 
Fantastico! Oltre a questo, di cosa ti stai occupando?
«Ho partecipato ad alcune mostre di poesie e inoltre insieme alla straordinaria fotografa Paola Aloisio ho realizzato delle videopoesie, anzi delle fotopoesie, sull’inanimato. Inoltre ho due importantissimi progetti che ho molto a cuore e di cui spero di potervi parlare molto presto. Per ora dico solo che uno riguarda l’America e che l’altro… beh, con l’altro… “sono arrivata proprio alla frutta”!».
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor