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Oronzo Basile/L´ultimo degli apparatori

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

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LUG
2012

 

Oronzo Basile
 
L’ultimo degli apparatori 
 
Un mestiere assolutamente legato alle antiche tradizioni che ora solo in pochi sono in grado di fare. Lui è uno di quelli: tra nostalgia del passato e un po’ di amarezza per il presente, ci spiega tutto sull’arte degli apparati sacri
 
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un’attività antica e ormai in disuso, ma non è affatto così: quella degli apparati sacri è sì una tradizione che risale alla notte dei tempi, ma tuttora esercita la sua fortuna, e per chi non dovesse saperlo il fulcro principale che si occupa di questa attività risiede proprio qui, a Martina Franca: per la precisione nella grande esperienza e passione di Oronzo Basile, volto noto della piazza che completa lo scenario più bello e suggestivo del nostro centro, sul quale trionfa maestosa la basilica. Nell’ufficio di Oronzo Basile le pareti sono tappezzate di attestati e riconoscimenti, ma tra questi nessuno riporta una firma ‘made in Martina Franca’! Sarà solo un caso? Chissà, lascio svelare l’arcano mistero alla vostra immaginazione, anzi no, alle parole del signor Basile, dedito full immersion alla sua attività e al rinnovo di una tradizione che rivive ancora oggi nei suoi valori più veri e profondi.
Sign. Basile ci descriva un po’ questa sua grande passione per gli apparati sacri, cosa c’è da sapere?
«Ho iniziato ad appassionarmi a questa professione sin da quando ero piccolo, infatti, avevo appena cinque anni, quando andavo ad aiutare mio padre e da allora non ho mai lasciato questa attività, perche tuttora mi regala grandi soddisfazioni. Ci tengo a precisare che noi siamo apparatori e non addobbatori, e questo significa che noi ci occupiamo di realizzare tutta la struttura dell’addobbo per poi rivestirla con drappi e tessuti appropriati. Questa è una delle più antiche tradizioni che sia rimasta a Martina e siamo gli unici a tenerla ancora in vita, continuando una generazione di grandi maestri che risale agli anni ’20 con Fedele Ceglie, Angelo Raffaele Laviano, e poi si sviluppa nel tempo con Marco Leo, Bello Gerardo, fino ad arrivare agli anni ’50 con Agrusta Felice che decise di realizzare una vera e propria società con mio nonno e mio padre, Oronzo e Antonio Basile. Si trattava di una collaborazione che coinvolgeva anche altre persone dal momento che si creavano addobbi molto più maestosi di quelli di adesso, perciò richiedevano più tempo e più lavoro».
Una lunga tradizione che si è sempre sviluppata di figura in figura e che ora vede lei al timone: a chi passerà il testimone?
«Attualmente c’è mio figlio che mi dà una mano, assieme a un mio caro amico, Raffaele Falerio, però io sono impegnato con le onoranze, mio figlio è ragioniere, perciò è sempre più difficile organizzarci insieme. È vero che siamo una ditta molto rinomata e chi chiamano da più paesi, ma non abbiamo gli elementi giusti per andare avanti e con questo mi riferisco alla mancanza di manovalanza: i giovani sono un po’ scettici nell’avvicinarsi a questo mestiere che comporta tanto lavoro manuale, tempo, pazienza, sacrificio e una grande disponibilità, perché gli addobbi devono eseguirsi quando la chiesa è libera, perciò è necessario cogliere i momenti in cui non ci sono né messe, né cerimonie varie. Inoltre è indispensabile tanta creatività e noi saremmo felici di accogliere e rendere nostre le idee di gente nuova: ben vengano i giovani dal momento che noi ci mettiamo passione e volontà e siamo ben disposti a investire in questo settore, ma a patto che ci sia una continuità».
Essendo una tradizione molto antica, le richieste per gli addobbi sono calate o sono ancora molto diffuse?
«Devo ammettere che a Martina sono rimaste in poche le chiese che richiedono gli addobbi, c’è più richiesta fuori. Quando lavoravamo col maestro Agrusta, abbiamo realizzato diversi addobbi persino nella provincia di Foggia, tutto il Gargano e la Cattedrale di Vieste; tuttavia, non era molto semplice coordinare il lavoro in posti così lontani e col passare del tempo, venendo meno qualche braccia lavorativa, abbiamo deciso di mantenerci nella zona di Taranto, nel barese e da un po’ anche nel brindisino. Noi però, effettuiamo solo apparati sacri all’interno delle chiese, perché in alcune città il santo è portato anche fuori nella piazza e viene allestito un apparato esterno, ma i tessuti e il raso che usiamo sono molto costosi, quindi li ricicliamo più volte: se li usassimo per l’esterno, il vento, il freddo e la pioggia potrebbero danneggiarli e sarebbe un gran peccato, basti pensare che il gallone giallo all’interno è laminato in oro».
Lì dove le richieste scarseggiano, il fenomeno è da attribuire al cambiamento dei costumi e delle nostre usanze?
«Sicuramente perché è cambiata la nostra mentalità, in più con il rifacimento interno delle chiese molti preti preferiscono dare sfoggio alle pareti e agli altari, scartando l’idea dell’addobbo. Tuttavia, si tratta pur sempre di un abbellimento temporaneo che da più solennità sia al santo che alla festa, perciò dopo qualche giorno la chiesa torna quella di prima».
Secondo quanto ha affermato, Martina sarebbe tra i paesi in cui si registrano meno richieste di apparati sacri: sembrerebbe un paradosso, visto che la vostra attività ha proprio sede qui.
«Eh già! Io non amo lavorare a Martina, preferisco molto di più spostarmi in periferia e il motivo è semplice: qui la nostra professione è completamente sottovalutata, non c’è nessun apprezzamento e nessun entusiasmo. Negli altri paesi c’è grande fermento ogniqualvolta si avvicina una festa e si avverte la voglia e l’esigenza di avere un addobbo che onori e possa celebrare al meglio il santo: questa gioia la percepiamo mentre lavoriamo e ci ricarica, incentivandoci ad andare avanti, per non parlare dell’immensa soddisfazione che si prova al termine dei lavori, quando ci arrivano innumerevoli complimenti e ringraziamenti. Nel mio studio incornicio tutte le lettere di stima e ringraziamento che ricevo. Mi sono chiesto più volte il perché di questa differenza, ma ancora non riesco a rispondermi: sarebbe stato bello valorizzare e dare risalto a una risorsa del proprio paese, per esaltarla aglio occhi delle altre città, ma non è così e ahìme non lo sarà mai».
Di questi tempi si sa che il lavoro è un bene prezioso e introvabile: siete a caccia di giovani e idee nuove, si potrebbe condurre questo mestiere, in maniera esclusiva e non come seconda attività?
«Io sono convinto che se ci si impegni e si faccia pervenire a tutte le Chiese il proprio nome e la propria professionalità, si possano ottenere buoni risultati e il lavoro sia garantito. Conosco dei ragazzi di Roseto, verso Lecce, che si dedicano solo agli apparati sacri e sono molto richiesti soprattutto nel leccese, dove questa attività è molto apprezzata. D’altronde in questi tempi è sempre meglio accettare un po’ di tutto».
Facendo un profilo della sua persona, basta poco per scorgere un profondo legame col passato: quanto è importante per lei, il recupero delle nostre origini?
«Sono un grande tradizionalista, per questo penso che sarebbe molto meglio non abbandonarsi totalmente alla mentalità moderna, ma recuperare o perlomeno ricordare anche i tempi passati. È importante riflettere sulle proprie origini e avere rispetto per le tradizioni antiche, frutto di tanto lavoro e fatica. Alcuni ragazzi si tengono alla larga da mestieri che richiedono sforzo fisico e sudore, preferendo una bella poltrona e otto ore lavorative, ma il lavoro manuale servirà sempre e ha caratterizzato secoli e secoli di storia: io mi sono sempre dedicato pazientemente al mio lavoro, rinunciando spesso alle feste, al Natale e rimanendo disponibile a ogni ora, ma sono contento di aver tirato su una bella famiglia, continuando ancora a darle da mangiare».
In passato le feste religiose avevano un’incidenza sociale molto più forte, vantavano la partecipazione di tutti i cittadini e godevano di un clima di grande attesa e fermento. Oggi, invece, si potrebbe dire che escludendo qualche festa patronale, le altre passino quasi sotto una sorta di indifferenza.
«Sì, assolutamente. È una questione di cultura: prima i ragazzi erano avviati sin da piccoli a ogni forma di partecipazione religiosa e per noi bambini anche il catechismo era un momento di svago e divertimento, attendevamo con ansia la festa patronale perché rappresentava una delle poche possibilità per avere un vestito nuovo, delle scarpe migliori, adesso invece, ogni giorno non manca occasione per divertirsi, i ragazzi sono più autonomi, più indipendenti e scelgono liberamente se accostarsi o no a uno spirito più religioso. Questo fenomeno, però, non riguarda solo i giovani, ma anche le famiglie moderne: molte persone non si fermano nemmeno davanti a una processione, per non parlare di chi non si affaccia più in chiesa nemmeno per una preghiera o preferisce chiacchierare durante la messa».
Ci conceda una confessione: tornerebbe indietro nel tempo?
«Certamente! È vero che non c’era nulla rispetto a tutte le comodità di ora, ma si stava bene comunque. C’era molto più rispetto, si credeva di più nei valori e poi mi piacerebbe rincontrare dei vecchi maestri: gente dalla grande personalità che non era gelosa del proprio mestiere, anzi si prodigava tantissimo per trasmetterlo agli altri, svelando trucchi e segreti delle proprie capacità».


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