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Disagio giovanile/Cresciuti a pane e tablet

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

16
OTT
2015
Sempre più sono i bambini che sanno usare perfettamente uno smartphone, ma che non sanno allacciarsi le scarpe. La psicologa Loredana Caporusso spiega la linea sottile di confine tra l’eccesso e la dipendenza
 
 
Il web è un mondo sconfinato ricco di opportunità e di pericoli. Per meglio affrontare l’argomento, abbiamo ricercato il parere della dottoressa Loredana Caporusso, psicologa esperta in ipnosi, Associata A.M.I.S.I. Associazione Medica Italiana per lo Studio dell’Ipnosi e operatrice all’interno del Dipartimento Dipendenze Patologiche di Acquaviva delle Fonti. Svolge la sua attività clinica all’interno di differenti realtà territoriali nelle province di Bari e Taranto.  Si occupa di disagio giovanile e interventi di prevenzione e sensibilizzazione sul territorio specie nel settore Dipendenze. 
 
Dottoressa Caporusso, data la sua competenza, pensa che a proposito delle nuove tecnologie, si debba parlare di uso o abuso?
«Mi preme sottolineare che le tecnologie non sono né buone né cattive, a fare la differenza è l’utilizzo che si decide di farne. Oggi purtroppo è molto più facile pensare ad un abuso: la comunicazione telematica sembra sostituire quella reale. È l’immediatezza delle risposte offerte dal web che consente di sperimentare una sorta di condizione di onnipotenza, ma anche di fuga dalla realtà e dai problemi della vita reale».
 
Questo tsunami digitale sembra condurre verso evoluzioni o involuzioni?
«Non è possibile predire come saranno i nativi digitali da adulti. Necessario è adattarci ad una profonda rivoluzione, inutile cercare di arrestarla, dobbiamo imparare a gestirla al meglio. È fondamentale riuscirne a fare un utilizzo consapevole. Ricordiamo che la stessa tecnologia è una meraviglia creata dall’essere umano con lo scopo di migliorarne la qualità della vita, raggiungere obiettivi in breve tempo possibile, con il minor dispendio di energia e di risorse». 
 
Cosa riguarda la dipendenza cibersessuale? E la dipendenza ciber-relazionale?
«La dipendenza da internet, meglio conosciuta nella letteratura psichiatrica con il nome originale inglese Internet addiction disorder, coniato da Ivan Goldberg nel 1995,  è un disturbo da discontrollo degli impulsi.
Nel dettaglio distinguiamo la dipendenza ciber-sessuale in cui i soggetti sono alla perenne ricerca di siti porno, di chat erotiche e relazioni amorose e la dipendenza ciber-relazionale, prevede invece che gli individui cerchino e coltivino relazioni amicali o sentimentali, sono grandi fruitori di chat, newsgroup, facebook etc. Questi soggetti tendono a preferire le relazioni virtuali a quelle reali rischiando di isolarsi e alienarsi all’interno della rete». 
 
Pensa che i casi di bullismo in rete incidano e abbiano ripercussioni paralizzanti tanto quanto quelli della vita reale?
«Molti studi dimostrano la possibilità di conseguenze ugualmente gravi sulla salute delle vittime fino alla difficoltà di concentrazione, ritiro dalla vita sociale, aggressività, ansia, depressione e suicidio.
Secondo dati per Save The Children quattro minori su dieci sono testimoni di atti di bullismo on line verso coetanei. I social network rappresentano la modalità d’attacco preferita che di solito colpisce la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie.Rispetto al bullismo tradizionale si ha la difficoltà di risalire al molestatore, l’indebolimento delle remore morali, agevolato dalla possibilità di celarsi dietro un nickname, ciò garantisce al bullo di agire indisturbato e impunito». 
 
Qual è la risposta della scuola di fronte a un popolo di “Always on”, (perennemente connessa)?
«Molto spesso resto piacevolmente sorpresa dall’impegno assiduo e proficuo degli insegnanti che cercano con passione e dedizione di colmare questo gap generazionale, impegnandosi nel ridurre le distanze anche attraverso l’introduzione di strumenti tecnologici all’interno della tradizionale didattica. La scuola non può esimersi dal perseguire un fine di alfabetizzazione, la didattica tecnologica si basa proprio sul presupposto di usare i linguaggi più affini agli alunni per migliorare il processo di insegnamento».
 
Queste continue iperstimolazioni digitali hanno cambiato la struttura del cervello dei nativi digitali? Cosa ne pensa a riguardo? 
«Diversi studi dimostrano come l’essere nati in piena era digitale li renda di fatto madrelingua nell’uso delle moderne tecnologie, con le quali interagiscono dimostrando innata agilità e senza alcun tipo di disagio. Tutte queste continue e ripetute stimolazioni hanno cambiato la struttura del cervello. I nativi hanno indubbiamente una particolare competenza rappresentativa, una risposta più rapida a stimoli attesi ed inattesi. Hanno una maggiore capacità di osservazione e formulazione di ipotesi, riescono a fare più cose contemporaneamente in modalità multitasking e riescono più facilmente ad immaginare un qualcosa senza doverlo sperimentare in pratica. Di contro, un utilizzo eccessivo e sconsiderato delle nuove tecnologie porta ad altrettante modificazioni celebrali».
 
I genitori delle nuove generazioni, secondo la sua esperienza professionale, quanto le sembrano allarmati del fenomeno?
«La posizione dei genitori in realtà risulta ambivalente. Gli stessi genitori che propongono come acquisto uno smartphon di ultima generazione piuttosto che un buon libro di lettura o un abbonamento a teatro, sono gli stessi che sembrano spesso allarmati dal fenomeno. I genitori potrebbero introdurre delle regole di utilizzo che per i bambini e gli adolescenti sono di primaria importanza poiché riducono il caos presente nell’ambiente e forniscono sicurezza». 
Ritiene che un’educazione rigida e lontana da ogni utilizzo virtuale possa essere la soluzione di tutti i mali?
«È importante essere buoni modelli, suggerirei in primis  nel dare il buon esempio e in secondo luogo porsi come genitori attivi, capaci di ascoltare i bisogni, le emozioni e le necessità dei propri figli. Escluderli dall’evoluzione del mondo non sarebbe una scelta saggia, ma condividere e negoziare delle regole affinché ci sia una giusta comprensione dei comportamenti e degli utilizzi più adeguati delle nuove tecnologie. Se i giovani avanzano in una determinata direzione è compito degli adulti seguire e comprendere il loro percorso evolutivo al fine di sostenerli nei processi di crescita e accompagnarli in una maggiore consapevolezza di sé stessi e del mondo, arginando in tal modo quelle eventuali condotte di utilizzo/abuso che le nuove tecnologie potrebbero generare». 
 


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