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Bif&st/Bari città aperta

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

25
APR
2014
Numeri strepitosi per la kermesse cinematografica barese che in pochi anni ha saputo imporsi a livello nazionale e internazionale, proponendo film, documentari e cortometraggi di qualità. L'edizione di quest'anno ha visto un tributo al grande attore Gian Maria Volonté
 
Di Raffaello Castellano
In questo periodo storico il cinema sta subendo la sua ennesima rivoluzione, silenziosa e sommersa questa volta: dal 2015 le grandi majors italiane, europee e mondiali non distribuiranno più i film in pellicola, ma solo su hard disk e quindi solo in supporto digitale, costringendo di fatto molti esercenti a sostituire i loro proiettori a pellicola con i modernissimi e costosissimi proiettori cinematografici digitali. Una situazione, questa, che di fatto sta causando la chiusura di tutte quelle sale, sopratutto piccole, che già erano  in affanno per la concorrenza dei cinema multisala e la carenza di spettatori. 
Il cinema, però, resiste, si reinventa, esplora nuovi luoghi di fruizione, come i musei, cerca nuovi spettatori fra i giovani e giovanissimi, sbarca sul web con dirette streaming e contenuti speciali, riempie le sale con concorsi, premi e sopratutto con i festival, che diventano autentici catalizzatori di sguardi, di illusioni, di sogni e di visioni.
E' con questo spirito che si è conclusa la quinta edizione dell'Bif&st (la sesta se si considera l'edizione n°0 del 2009), la kermesse cinematografica barese che in pochi anni ha saputo imporsi a livello nazionale e internazionale, proponendo film, documentari e cortometraggi di qualità. L'edizione di quest'anno ha visto un tributo al grande attore Gian Maria Volonté al quale, a 20 anni dalla morte, è stata dedicata la più grande retrospettiva mai organizzata in Italia: oltre 75 gli appuntamenti (film, sceneggiati tv, incontri speciali, etc.) nel cartellone del festival.
Impossibile per qualunque operatore della comunicazione abbracciare l'intero evento; noi di Extra Magazine, con il piglio anticonformista che da sempre ci accompagna, abbiamo seguito, sopratutto, quel filone che più di altri sta riscrivendo, reinventando e premiando il cinema italiano: il documentario. Ci siamo goduti la visione di due documentari in concorso, "Casa Nostra" di Livia Parisi e "Lei è mio marito" delle registe Annamaria Gallone e Gloria Aura Bortolini, l'evento speciale "Che strano chiamarsi Federico", il docu film omaggio a Federico Fellini, firmato da Ettore Scola, regista di fama mondiale oltre che presidente del Bif&st, ed in ultimo concedendoci l'unico film, ed optando per la rassegna "Gian Maria Volontè e i media", con "Summit", di Giorgio Bontempi, del 1968, nel quale il grande attore interpreta uno dei tanti giornalisti portati sul grande schermo, questa volta impersonando un intellettuale di sinistra, inviato in Francia ad un summit internazionale, diviso fra il suo impegno politico e l'amore per una problematica ragazza francese.
Il primo documentario, "Casa Nostra", nasce come un reportage (Livia Parisi, la regista, è infatti una giornalista) sull'occupazione di alcuni stabili a Roma, soffermandosi specialmente su quello dell'ex Scuola Hertz, occupato da una comunità multietnica, organizzata in un Comitato Popolare di Lotta per la Casa, diretto da una donna tutta di un pezzo di nome Pina.
Gli occupanti organizzano i lavori di pulizia, di ristrutturazione, di manutenzione, tinteggiatura, etc., affrontando tutti i problemi che comporta la convivenza, diventando, nello spazio chiuso della scuola, un vero e proprio laboratorio sia di convivenza che di rigenerazione urbana che di recupero e valorizzazione di un bene comune.
L'esperimento è così riuscito da interessare il Parlamento Europeo, che invita una rappresentanza della comunità ad un convegno per presentare "questo esempio di riutilizzo di spazi abbandonati e modalità concreta per superare il problema abitativo", mentre il Comune di Roma e le forze dell'ordine eseguono l'ennesimo sgombero.
Ancora più intrigante il secondo documentario, "Lei è mio marito", che racconta l'autentica trasformazione di un uomo in una donna, girato in tre anni, nei quali le due registe hanno seguito il protagonista Alessandro passo-passo in questo percorso di rinascita a una nuova vita ed ad una agognata epifania. Un film che è sia reportage che documento sociologico strepitoso. Raggiunte a fine proiezione, le due registe ci hanno parlato delle emozioni e della necessità di un lavoro così particolare.
«Per me è difficile dire quale è stata l'emozione più forte - ci confessa  Gloria Aura Bortolini - poiché tutto il percorso ha avuto i suoi momenti emozionanti: chiaramente cominciare da capo questa nuova vita, il coraggio di Alessandro di rinunciare alla propria identità e ripartire da donna, è stato quello probabilmente il momento chiave più emozionante».
«Penso che un film come questo sia un film necessario - ci dice senza mezzi termini Annamaria Gallone - e lo dico immodestamente, ma non perchè lo abbiamo fatto noi, perchè io stessa conoscevo poco l'argomento, ma anche perchè si viaggia con un sacco di pregiudizi e stereotipi. Penso pure che un film di questo genere dovrebbe essere visto nelle scuole superiori e diffuso attraverso ogni canale possibile, proprio per aprire le nostre teste rispetto a tutta una serie di deja vu, che sono assolutamente scorretti e gravi e penalizzano la nostra società».
L'omaggio di Ettore Scola al suo amico Federico Fellini, uno degli eventi speciali in cartellone, è un docu film ispirato e pieno di ironia, che mette a confronto due grandi del nostro cinema che si conoscevano fin dalla loro comune esperienza presso il giornale satirico Marco Aurelio durante il periodo fascista. Vero e proprio atto d'amore, il documentario è anche una importante pagina di storia del nostro cinema, che, all'indomani della seconda guerra mondiale, con il Neorealismo prima, e la Commedia poi, sbancava botteghini, vinceva premi e sopratutto promuoveva un immaginario italiano nel mondo. 
Infine abbiamo avvicinato Maurizio di Rienzo, consulente responsabile della sezione Documentario in Concorso, al quale abbiamo chiesto le sue impressioni su questo "bisogno di realtà" che sembra aver contagiato gli italiani, sempre più interessati al documentario e al cinema del reale.
«Penso a quel decennio del Neorealismo, a film come “Roma Città Aperta”, “Paisà”, “Sciuscià”, “Ladri di Biciclette”, etc., film ancora pulsanti di sangue e guerra, in un tempo in cui l'Italia e la realtà furono costretti a convivere. Quindi noi veniamo dalla realtà, ed alla realtà in qualche modo dobbiamo tornare. A me risulta evidente che anche la gloriosa stagione della Commedia all'Italiana è stata frutto di un'attenta osservazione della realtà. Detto questo, è vero che la produzione di un documentario costa meno di quella di un film, però un documentario si ‘vede’ meno, quindi c'è un problema della sua distribuzione e collocazione. In questo i festival ed i concorsi svolgono un ruolo ormai fondamentale, sopratutto nel trovare e sensibilizzare un nuovo pubblico, ma poco possono per la distribuzione del documentario che non compete a loro. Oggi la distribuzione di un film documentario viaggia attraverso altri canali che non sono solo la sala, ma le Tv satellitari, i video on demand, alcuni canali You Tube, qualche sito internet, i Musei, etc., quindi in definitiva credo che oggi di cinema del reale se ne veda più di quanto si pensi; anche perchè il documentario italiano sta riuscendo, da una decina di anni, a colmare le lacune incredibili che gli altri media lasciano.[...] Oggi il cinema Italiano, anche quando va all'Estero, riesce a raccontare, a spiegare delle storie, non solo in maniera sociologica ma anche cinematografica, e cerca non solo le  storie , ma personaggi, luoghi, persone, situazioni che noi non conosciamo del nostro paese, e non si tratta solo di scandali, cose terribili o cose drammatiche, ma storie che ci aiutano a capire meglio il tessuto sociale nel quale viviamo».
Realtà, realtà ed ancora realtà sembra il comune diktat che emerge dal nostro particolare percorso all'interno di questa edizione del Bif&st, una realtà che ci parla del problema abitativo, quanto mai attuale in città sempre più inurbate come le nostre, giungle di cemento nelle quali anche possedere un riparo pare un lusso solo per pochi. Una realtà che ci parla di sesso, genere, pregiudizi ed identità, quattro argomenti mica da poco in una società sempre più connessa virtualmente e sempre più scollata a livello fisico, nella quale i rapporti veri sembrano sfarinarsi o peggio trascendere nei sempre più frequenti omicidi ed atti di violenza fra le mura domestiche. Una realtà che ci parla di amicizia, ironia, immaginario e poesia, quattro direttrici che, forse, noi italiani stiamo smarrendo, quattro elementi un tempo così affini alla nostra natura, e oggi così estranei, che a stento riconosciamo quando li incontriamo lungo il nostro cammino.
Cinema e realtà, cinema è realtà: non è stato il grande regista Jean-Luc Godard a dire, ironicamente, "se la fotografia è la realtà, il cinema è la realtà 24 volte al secondo"? 
 


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