Dal conservatorio al jazz, dal viaggio in Africa al successo di “E allora balla”. Il musicista martinese ci racconta di sé e del bello – pardon, ballo – della vita, con un avvertimento per le fan: lui, dal suo “armadio”, non si separa mai
Ha studiato contrabbasso classico, ma ha ottenuto il successo grazie a un singolo di genere decisamente diverso. Ama stare in compagnia, ma necessita dei momenti di solitudine. Appare allegro e gioviale, eppure sa essere anche molto introspettivo e affronta temi che si aprono a lunghe e mai banali riflessioni. Camillo Pace è l’uomo dei contrasti, così come le sue canzoni dai testi significativi e dalle musiche vivaci. E come quel tatuaggio sul polso che raffigura un mezzo sole e una mezza luna e che rappresenta la metà che ognuno di noi cerca. E non si riferisce al noto mito di Platone, non è della metà della mela che stiamo parlando. Ma della metà in senso lato, di quel qualcosa in grado di completarci, o meglio di costruirci. Perché completi non lo si è mai. E lui, alla costante ricerca di viaggi, di incontri e di avventure, lo sa bene.
“Si cambia musica”. Spesso sentiamo pronunciare questa frase da qualcuno che spera in una importante novità, in una ventata di freschezza. Nel tuo caso, visto il singolo che ci ha accompagnato per tutta l’estate, non è proprio una metafora.
«Effettivamente ho davvero cambiato musica, letteralmente. Nasco come contrabbassista classico, l’ho studiato in conservatorio, avvicinandomi in seguito al jazz, uno stile musicale che amo molto perché è in grado di donare un infinito senso di libertà. Grazie alla possibilità di improvvisazione, che invece altri generi musicali non ti permettono, il jazz offre l’opportunità di sperimentare ogni volta dei nuovi suoni. Ogni assolo non è mai uguale al precedente, ed è affascinante come dagli stessi accordi possano nascere musiche così diverse e libere. E soprattutto, l’improvvisazione ti consente di suonare a seconda dell’umore e dello stato d’animo di quel momento. Ci si lascia trasportare dalle proprie sensazioni, e per un artista è il massimo. La cosa più bella e curiosa, poi, è riuscire a trasmettere agli ascoltatori l’emozione che desideravo che loro provassero. Riuscire a dire senza parlare, credo che sia il più grande successo per un musicista».
La scelta di un genere musicale può dipendere dal carattere di una persona?
«Direi di sì, senza dubbio. Il jazz è uno stile che rompe gli schemi, va fuori da ogni cosa prestabilita, proprio come me. Io presento diverse sfaccettature caratteriali, perché passo dall’espansività, dall’estroversione alla misantropia. Sono un amante della compagnia, ma a volte ho bisogno di quei momenti di introspezione, avverto la necessità di star solo, chiuso in una stanza, per conto mio. E questo si riscontra anche nel tipo di musica che suono, così piena di contrasti. Molti mi riconoscono il merito di saper passare da un genere all’altro e questo mi fa piacere, poiché non desidero rinchiudermi in un unico stile. Non a caso nel nuovo disco, che uscirà a breve, vi è una certa diversità fra i brani. Chi mi conosce per “E allora balla”, rimarrà colpito dai brani strumentali, tanto per fare un esempio».
Ora ci arriviamo al tuo disco. Ma prima spiegami: perché proprio il contrabbasso?
«Beh, da ragazzo suonavo in un gruppo. Io ero alle tastiere, ma ben presto mi sono accorto che la mia curiosità veniva destata dal basso. Quando il bassista lasciava lo strumento, io lo prendevo e lo suonavo di nascosto, senza farmi vedere da nessuno, e pian piano ho cominciato a innamorarmene. Ma in quel periodo al conservatorio non era possibile suonare uno strumento elettrico. Pertanto ho scelto il contrabbasso, quel bestione che in gergo viene chiamato “l’armadio”, sia per le dimensioni che per il suono così grave. All’inizio ero un po’ impacciato, ma poi l’ho sentito sempre più mio. Solitamente, quando si ascolta una sinfonia, il suono del contrabbasso non lo si riesce a distinguere facilmente. Quando facevo sentire ai miei amici o ai miei familiari i dischi che incidevo, tutti mi chiedevano “Ma tu quale sei?”. Il contrabbasso è lo strumento che in un gruppo se ne sta lì, in penombra, in un angolo. Non vuole essere in primo piano, è quasi nascosto; eppure molti non sanno che è il perno su cui si basano anche le altre linee melodiche. È quello che porta il ritmo e scandisce le armonie. Ha una funzione importantissima, fondamentale, ma non ama darlo a vedere».
Il contrabbasso non lo rinneghi neanche nel singolo che ti ha reso così popolare, “E allora balla”. Ho visto che nel video della canzone, lo strumento è onnipresente. A un certo punto ci dormi persino assieme.
«È verissimo, e questo perché il mio strumento è come se fosse un po’ la mia donna. È sempre al mio fianco, come un amico, un consigliere, un angelo o un supervisore. È lì che mi osserva, è parte di me, una parte imprescindibile. Chi sposa me, deve sposare anche lui. Non a caso, nella scena del video che hai citato, la ragazza è costretta a condividere la camera da letto con me e con il contrabbasso. O entrambi o nessuno».
Come è nata l’idea di “E allora balla”? So che c’è una storia molto interessante dietro.
«Premetto che io scrivo testi da tanto tempo, è una cosa che mi appartiene. Dico sempre di non essere un cantante, ma un cantastorie: mi piace raccontare qualcosa. “E allora balla” è un racconto, infatti. Nasce da un incontro che ho fatto una notte a Lecce. Passeggiavo per i vicoli barocchi con i miei amici e a un certo punto, giunto in piazza vicino alla Chiesa madre, vedo un ragazzo con delle cuffie enormi sulla testa che cantava a squarciagola e ballava roteando su se stesso e dimenando le braccia. Ho saputo, poi, che questo ragazzo è molto noto a Lecce. Ebbene, io sono rimasto colpito dalla sua libertà. Non gli importava che lo guardassero, né che lo giudicassero un pazzo. Faceva esattamente ciò che aveva voglia di fare, senza alcuna inibizione. Vederlo è stato un po’ come tornare bambino e pensando a lui ho scritto il testo di “E allora balla”».
Qual è dunque il messaggio della canzone?
«Il messaggio è di non arrendersi mai, di continuare ad andare avanti, per la propria strada nonostante gli ostacoli e le avversità che si possono riscontrare. “E allora balla, balla fino alla morte”: significa non fermarti, mai per nessuna ragione. Alcuni mi hanno fatto notare che in una canzone così allegra nomino anche la morte. Ma il bello è proprio quello: combinare un testo più triste e significativo con una musica vivace».
Una canzone che nasce da un incontro. Sei un fatalista? Credi nel destino e negli incontri che ti cambiano la vita?
«Credo nel destino, sì, ma credo anche al fatto che il destino altro non è che la combinazione delle occasioni dettate dalle nostre stesse scelte. Non sono un fatalista, nel senso che non aspetto che le cose avvengano da sé. Al contrario, sono fermamente convinto che la vita la si costruisce, scegliamo noi il percorso da affrontare. E in base al nostro cammino, a come abbiamo affrontato la strada, il fato ci presenta delle occasioni. Io ritengo che la vita non sia un discorso chiuso, un insieme di routine: credo che se osserviamo con curiosità ciò che ci sta attorno, allora può capitare che una giornata venga sconvolta da un episodio che rivoluziona il corso degli eventi. La vita è in continua evoluzione, bisogna costruirla passo dopo passo.»
Quindi, per te, è più importante il viaggio della meta?
«In un certo senso. La meta è importante, ma solo perché ci dà la spinta per affrontare il cammino. Ognuno di noi deve porsi degli obiettivi da raggiungere; però è necessario anche godersi il viaggio perché solo se lo si è affrontato nel migliore dei modi allora la meta potrà avere un buon sapore: non sarà che la realizzazione e la conclusione di un lungo cammino».
Possiamo dire che il disco che stai realizzando e che è in fase di ultimazione sia il risultato di tanti viaggi?
«E di tanti incontri. Questo disco è il riassunto della mia vita. Ogni pezzo racconta un evento che ha avuto una grande importanza per me. Per esempio, il brano “Maisha” parla dell’incontro con un padre missionario durante il mio viaggio in Africa. Il titolo della canzone significa “vita” ed è un nome che viene attribuito solitamente a persone allegre, gioiose e, appunto, vitali. Provate a farci caso: la cosa che colpisce e che attrae di più dell’Africa è il sorriso meraviglioso dei bambini, i quali nonostante le difficoltà che sono costretti ad affrontare, non perdono mai la voglia di vivere e quella luce negli occhi che li rende così incredibili. Il brano “Il viaggio” invece ha un’atmosfera un po’ più caraibica e parla di un viaggio fantastico, della voglia di andar via e conoscere nuovi mondi e nuove culture. Ma attenzione, il viaggio non deve essere necessariamente reale: si può viaggiare con la mente e si possono scoprire nuove cose anche durante una passeggiata per le vie della propria città. Occorre solo avere quella disposizione d’animo che ci consente di aprirci all’altro, di osservare e catturare il mondo che ci circonda.»
Hai citato l’Africa. Deve essere stata una gran bella esperienza…
«Inimmaginabile. Ci sono stato per un paio di mesi nel 2005. Ero partito per accompagnare un padre missionario e mi sono innamorato di quella terra. Non è stato facile; ricordo che i primi giorni ho sofferto i soliti problemi di adattamento: c’è un clima completamente diverso dal nostro e non è semplice abituarsi. Ma quando sono dovuto andar via ho sofferto ancora di più. Mi è venuto il mal d’Africa, una nostalgia incredibile. Infatti il mio sogno è tornarci e girare un live per le strade del continente. L’Africa mi ha cambiato la vita, ha cambiato il mio modo di fare musica e il mio rapporto con gli altri.»
Si vociferava una probabile partecipazione a Sanremo. Ti vedremo all’Ariston?
«Purtroppo no, non ci sarà alcun Sanremo. Il Festival della canzone italiana ha delle logiche particolari; dipende molto dalle etichette e io per il nuovo disco sto aspettando delle risposte. Quello delle etichette è un meccanismo piuttosto complicato e non nego che Sanremo sarebbe stata un’ottima vetrina. Però non è l’unico modo per ottenere visibilità, così come non è necessaria la partecipazione ai talent. “E allora balla” nel giro di poco tempo ha ottenuto quasi diciottomila visualizzazioni: un risultato insperato che mi ha fatto davvero tantissimo piacere, perché YouTube è il popolo. Non c’erano logiche di mercato dietro il mio video, non ci sono state grosse sponsorizzazioni. Eppure ha avuto un grande successo. Mi auguro di ottenere lo stesso gradimento anche con gli altri brani.»
Dunque, tutti in attesa dell’uscita del disco…
«…che, salvo complicazioni, è prevista per l’inizio del nuovo anno. Sto girando adesso l’ultimo brano, molto diverso da quello ormai noto, e sto valutando le location. Non vi svelo nulla, dico solo che il video sarà girato in notturna e avrà un’atmosfera metropolitana. Per scoprire il resto bisognerà pazientare ancora un altro po’».