MENU

Volere è potere

Pubblicato da: Categoria: COVER

13
OTT
2016
Già Questore di Roma e di Firenze e Prefetto di Pisa, è stato lui a istituire la tessera del tifoso. Un curriculum ricchissimo e una vita intensa che si basa su solidi valori. Ora che è in pensione ha eletto come suo rifugio la masseria di famiglia a Crispiano e ci emoziona con il racconto della sua giovinezza, quando a guidarlo erano queste tre parole 
 
 
 
Ognuno di noi da giovane nutre in cuor suo un progetto di vita e ora pensa di fare questo e, più tardi, di fare quello e, così elabora progetti di vita fino a poi decidersi di scegliere quello che ritiene più adatto alle sue capacità. 
E’ ciò che in parte è capitato con il nostro interlocutore, il crispianese Francesco Tagliente che partito dalla palestra dei Vigili del Fuoco di Taranto, ha prima assaporato la soddisfazione di primeggiare nello sport per poi iniziare, a laurea conseguita, una carriera tutta in ascesa che lo ha visto ricoprire ruoli nella Polizia di Stato fino alla guida di importanti sedi di prefettura italiane e di incarichi prestigiosi anche a livello nazionale ed internazionale.
Oggi il dottor Tagliente, da pensionato, torna spesso nella sua villa paterna di Crispiano, per “recuperare” il tempo perso quando gli impegni lavorativi lo tenevano lontano da quella che è stata la sua scuola di formazione alla vita.
Di questo e di altro ne parliamo con lui nell’intervista di seguito.
 
Lei è nativo di Crispiano, ci vuole brevemente ricordare i momenti più importanti per Lei trascorsi nella “città delle Cento masserie?”.
«I momenti più importanti li sto vivendo adesso. Ho vissuto a Crispiano nella Masseria Belfiore fino a 18 anni. In quegli anni guardavo avanti viaggiando con la mente a una velocità tale da non consentirmi di osservare, assaporare e respirare il profumo di tutto quello che mi circondava. Anzi, avevo la sensazione di vivere in una realtà povera non rendendomi conto che la mia terra e la mia famiglia mi stavano trasmettendo i più alti valori della vita. Quei valori che hanno formato la mia personalità e che mi hanno accompagnato rappresentando il filo condutture di tutta la mia vita affettiva, professionale e di relazionale. Oggi questa terra, le pietre e gli alberi che sono sculture della natura sono per me una calamita al punto che spesso mi fanno ritardare il rientro a Roma».
 
Nel corso degli studi di scuola superiore quali discipline la attiravano maggiormente e perché?
«Mi attiravano le discipline giuridiche soprattutto perché consentivano di capire regole, doveri e valori. Consentivano di capire il senso vero della Repubblica. E’ indubbio che le regole sono necessarie per rendere le istituzioni più rispondenti alle esigenze poste dalla modernità; ma da sole non bastano perché un paese civile, oltre ad essere disciplinato da esse, è orientato dai valori. Le regole senza valori, cosi come i valori senza regole, non sono sufficienti per la vita dei cittadini e per il buon funzionamento delle istituzioni».
 
Queste discipline hanno avuto influenza sulla scelta che avrebbe determinato il suo futuro professionale?
«Non credo. Io sono entrato in Polizia grazie allo sport. A 15 anni ho iniziato a frequentare una palestra dei Vigili del Fuoco di Taranto. Facevo lotta greco-romana. Avendo vinto i campionati italiani juniores, a 18 anni sono stato chiamato dal gruppo sportivo della Polizia di Stato e ho gareggiato con le Fiamme Oro indossando poi la maglia azzurra. 
La scelta del mio successivo percorso professionale la devo a un grande olimpionico barese, Pietro Lombardi che in occasione della sua presenza a una gara della Nazionale a Savona (Trofeo Porro), mi parlò delle sue vicende umane raccontando che i suoi successi sportivi gli avevano consentito di avere un posto di lavoro alla raffineria Stanic di Bari. Questa notizia mi colpì al punto che durante il viaggio di ritorno a Roma decisi di chiudere con lo sport per dedicare tutte le mie energie per entrare all’Accademia del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza».
 
Quale è stato l’apporto formativo e affettivo dei suoi genitori?
«L’apporto formativo e affettivo di mia madre e di mio padre (reduce di 4 campagne di guerra e di 2 anni in un campo nazista in Germania) sono stati determinanti per la formazione e l’evoluzione della mia personalità. Le influenze principali sullo sviluppo della personalità si manifestano nel corso dell’educazione del bambino, in quanto condotta in un ambiente di vita familiare».
 
Quali sentimenti provò nel momento in cui prese la decisione di “staccarsi” dalla natìa Crispiano?
«Ricordo uno stato di benessere psico-fisico caratterizzato da entusiasmo ed euforia. Quando, appena diciottenne, mi hanno comunicato che dal gruppo sportivo dei Vigili del Fuoco di Taranto sarei passato a quello delle Fiamme Oro e che dovevo presentarmi alla Scuola Allievi del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza a Nettuno, ho percepito che la mia vita stava per cambiare. 
Ero felicissimo. Pensavo al mio futuro sportivo fantasticando come un bambino. Ricordo che sono passato a salutare tutti i parenti carico di entusiasmo. 
In quei giorni nella mia mente compariva ripetutamente un aforisma sulla volontà e sul desiderare: ‘Volere è potere’ letto senza una particolare attenzione davanti a una scuola di recupero serale al Rione Tamburi di Taranto. Non immaginavo che poco tempo dopo a Roma nei pressi dell’Accademia del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, su un palazzo storico del Lungotevere Flaminio quella massima l’avrei trovata scritta in latino: ‘nihil difficile volenti’ cioè ‘nulla è arduo per colui che vuole’. 
Leggendo quella locuzione ebbi allora modo di riflettere che il destino mi voleva far tenere sempre e ovunque presente l'importanza della forza di volontà nella realizzazione degli obiettivi. Esattamente quello che mia madre e mio padre ripetevano a me e ai miei fratelli come un ritornello. Quegli insegnamenti e quei messaggi sulla volontà mi incoraggiarono a tentare di entrare in Accademia. Partecipai al concorso. La notte successiva agli esami finali di ammissione, che superai, rimasi sveglio a fantasticare sul mio futuro e riflettere sul potere della determinazione, della forza di volontà. Qualche anno dopo il mondo del lavoro mi ha fatto conoscere compagni di viaggio straordinari alcuni dei quali napoletani che mi hanno tradotto cosi il brocardo latino: ‘Dicette o pappice vicino a’ noce, ramm’ o tiemp’ ca te spertose’  (‘Disse il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo’) riportandomi spesso con la mente davanti a quella scuola tarantina dei Tamburi: “Volere è potere».
 
Lei ha messo su famiglia inculcando nei suoi figli gli stessi valori ricevuti dai suoi genitori? E pensa di aver trascurato i suoi cari a vantaggio del suo servizio nello Stato?
«Premetto che i miei genitori sono stati un modello di riferimento anche per le mie figlie. Sono fiero dei miei genitori e allo stesso tempo grato perché mi hanno cresciuto con un insegnamento che sicuramente è stato e sarà trasmesso di generazione in generazione: l’amore per la nostra Patria, la più completa dedizione ad essa senza compromessi e a costo di rimetterci la propria vita. Questi alti valori morali mi sono stati trasmessi dalla figura di mio padre Donato, reduce di 4 campagne di guerre e due anni di deportazione nei campi nazisti. Un uomo che ha dedicato 11 anni della sua vita per difendere la Patria sottraendoli agli affetti della sua famiglia. Dal loro esempio sono convinto che le mie figlie abbiano ereditato a coltivare il rispetto, la dignità e la consapevolezza di cosa significhi servire, amare, difendere il proprio Paese. Sono convinto che tutte le volte che mia moglie e le mie figlie mi hanno visto rinunciare ai miei diritti per garantire quelli di chi versava in una condizione di bisogno non si sono sentiti trascurate bensì orgogliose di essere parte indiretta di quel modo di servire la comunità bisognosa». 
 
Quando ha ricoperto il primo incarico importante della sua vita quali sensazioni ha provato?
«La sensazione che ho provato, a seguito di tutti gli incarichi importanti che mi sono stati affidati dal primo all’ultimo, è stata costante: la responsabilità della struttura organizzativa che mi veniva affidata. Questa sensazione è stato il filo conduttore di tutti i miei impegni istituzionali: Dirigente della Sala Operativa della questura di Roma, Capo di Gabinetto di quattro diversi questori di Roma, Direttore dell’Ufficio Ordine Pubblico del Ministero, Presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, Presidente del CNIO per la sicurezza generale delle Olimpiadi, Questore prima di Firenze e poi di Roma e infine Prefetto di Pisa».
 
Quali sono le maggiori difficoltà nel guidare Prefetture importanti d’Italia come è capitato a Lei?
«Le maggiori difficoltà sono legate alla gestione delle emergenze di protezione civile. Penso alle catastrofi ambientali. Per il resto se si è preparati e abituati a servire istituzioni e cittadini con senso dello Stato, determinazione e passione, non possono esserci difficoltà».
 
Lei è oggi, per la storia, considerato il “papà” della tessera del tifoso, ma le sono certamente note le critiche che questa ha determinato. Oggi riproporrebbe la stessa?
«Certamente. La tessera del tifoso per me resta una grande risorsa per i tifosi, per i Club e per le comunità che ospitano le partite di calcio. Le critiche sono state alimentate da un difetto di comunicazione. Un rischio che avevo previsto tentando di prevenirlo. Da presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive ho elaborato la normativa per garantire la sicurezza negli stadi. Per corrispondere alle esigenze rappresentate dai presidenti delle società che lamentavano ritardi nel controllo accessi con i “biglietti nominativi” ho elaborato il progetto “Tessera del tifoso”. Temendo che questo strumento potesse essere considerato imposto dall’alto ho ritenuto di denominarlo “Carta del tifoso” con l’obbiettivo di far accogliere il documento come Tessera “dei diritti” del tifoso. La successiva gestione della comunicazione , facendola percepire (erroneamente) imposta dall’alto, ha procurato danni alimentando l’odio verso i vertici istituzionali».
 
Essere responsabili per l’ordine pubblico di un Giubileo romano è certamente motivo di orgoglio, ma anche di responsabilità. Cosa ricorda di quel periodo della sua carriera?
«Ho pianificato e gestito la sicurezza del Grande Giubileo del 2000 fino al mese di giugno dalla Questura e da giugno in poi dall’Ufficio del Commissario straordinario a Palazzo Chigi. Ricordo un grande lavoro di squadra per prepararlo e per accogliere in sicurezza nella maniera migliore i giovani. La cooperazione tra le istituzioni italiane e vaticane hanno rappresentato in punto di riferimento per gli altri grandi eventi internazionali ospitati in Italia».
 
“Curiamo i carnefici, soltanto così salveremo le vittime”. Lo ha detto durante un recente convegno dedicato al delicato argomento sulla violenza alle donne. Può approfondire per i lettori questa sua affermazione?
«Sul tema della violenza alle donne la legge del 2009 e quella del 2013 hanno introdotto numerosi e importanti strumenti giuridici penali, procedurali e di prevenzione. Tutti strumenti giuridici importanti, ma non sufficienti, se non utilizzati congiuntamente alla professionalità e al sapere scientifico, da parte di tutti i rappresentanti delle Istituzioni, Amministrazioni e Enti, a vario titolo coinvolti nelle diverse fasi di prevenzione e repressione degli abusi. Ciò vale soprattutto con riferimento alla tutela della vittima che ha denunciato la violenza e agli interventi nei confronti del maltrattante o dello stalker, in particolare, se già ammonito. Se a distanza di 7 anni dalla prima legge e dalle disposizioni ancora più incisive del 2013, a fronte dell’aumento delle denunce, degli ammonimenti, degli arresti in flagranza di reato, si registrano ancora tanti fatti gravi ritengo necessario, accanto ai punti di forza, valutare le criticità.
Ritengo importante che si agisca su più piani: rendere efficaci le comunicazioni tra istituzioni, curare ancora di più la formazione degli operatori e soprattutto rendere effettiva la tutela della vittima prestando maggiore attenzione alla figura del maltrattante e dello stalker. L’autore è una figura essenziale, ancora in ombra. Per contrastare la violenza è necessario l’intervento nei confronti di maltrattanti e stalker, attraverso l’attivazione di percorsi psico-educativi e l’attività di sensibilizzazione.
Per proteggere le vittime, oltre al prezioso lavoro svolto dai centri antiviolenza, servono professionalità specializzate nell’ascolto e nell’intervento sui maltrattanti all’interno di servizi territoriali, consultori familiari, centri di salute mentale, centri per le dipendenze e strutture specializzate del privato sociale. Serve una formazione che coniughi competenza ed esperienza e che si traduca in linguaggio comune, regole e procedure operative condivise. Si rende necessario soprattutto affinare gli strumenti per il controllo dello stalker disturbato mentalmente, che a seguito dell’ammonimento potrebbe maturare atteggiamenti non sempre prevedibili».
 
Uno dei libri a lei dedicati inizia con un passaggio di Eugenio Battaglini: “devi essere sempre presente, pronto… devi capire, metabolizzare… risolvere i problemi… subito, immediatamente”. Il suo lavoro richiedeva costantemente adrenalina ai massimi livelli. Ma nei suoi momenti bui, di sconforto e di solitudine dove cercava tranquillità, dove cercava conferme?
«Il libro che ospita quelle interessanti riflessioni di Eugenio Battaglini (uno degli eccellenti operatori che hanno lavorato con me quasi un decennio nella Sala operativa della Questura di Roma, dal titolo ‘Doppiavela 21, 113 pronto! Un viaggio tra storia e immagini’) è il risultato di due anni di impegno anche nelle ore serali e notturne in sala Operativa dell’autrice Marianna Di Nardo.
Per quanto riguarda i momenti bui e di sconforto, voglio sottolineare che in 47 anni di servizio non mi sono mai alzato con il peso di dover affrontare gli impegni anche complessi che mi aspettavano. Confermo che lungo il mio percorso professionale ho attraversato momenti molto critici. In quei momenti mi è capitato spesso di fermarmi a riflettere sul mio ruolo, sulla mia condizione sociale, sul luogo e punto della mia partenza, di pensare soprattutto a quanti maggiori sacrifici erano richiesti dalla vita che conducevano i miei familiari e i miei concittadini. Bastavano pochi fotogrammi per trarre tutte le energie e la determinazione ad affrontare le criticità che dovevo gestire».
 
Quale è il suo hobby e perché ritiene indispensabile ritornare una o più volte all’anno nella sua tenuta di Crispiano?
«Torno spesso perché sono orgoglioso delle mie radici e perché una delle Cento masserie di Crispiano è la mia casa paterna. Il mio è un hobby ereditato da mio padre difficilmente comprensibile. Amo le rocce monumentali del territorio che sono delle vere e proprie sculture naturali».
 
Secondo Lei che cosa Taranto dovrebbe fare per affrancarsi dal peso dell’industria pesante e programmare un futuro senza problemi per la salute dei cittadini?
«A Taranto serve fare squadra e cambiare politica della prevenzione del degrado ambientale.
Taranto è una città con un grande passato che sta pagando un prezzo altissimo, con una crisi senza precedenti, in termini di salute e occupazione. E la causa va ricercata nelle scelte inadeguate con la conseguente insufficiente tutela dei diritti. Sono stati commessi gravi errori nella pianificazione della prevenzione del degrado e dello squilibrio ambientale e non solo. Al centro dei problemi di Taranto infatti, oltre all’inquinamento ambientale ci sono la disoccupazione, il disagio sociale e declino urbano.
Voglio pensare che ci sia ancora spazio per intervenire. Tutte le componenti pubbliche, economiche e sociali hanno il dovere di agire senza esitazioni per restituire, almeno, la speranza di un futuro dignitoso a Taranto per i nostri figli».
 
A un giovane che si appresta a lasciare Taranto alla ricerca di un futuro più sicuro cosa si sentirebbe di dire?
«Cosa dire. I giovani di oggi trovano maggiori difficoltà rispetto a quelli della mia generazione. Non ho la sfera di cristallo per poter orientare le scelte. Ironizzando, ma non più di tanto, gli direi: prima di partire passa dai Tamburi, forse c’è ancora la scritta ‘Volere è potere’ e se ti capita di andare a Roma soffermati sulla locuzione latina ‘nihil difficile volenti’ al Lungotevere Flaminio. Scegli il tuo obiettivo e, rimanendo nella più stretta legalità, lotta finché non lo avrai raggiunto. Ricorda che la forza di volontà e determinante nella realizzazione dei propri sogni: nulla è arduo per colui che vuole».
 
Da pensionato oggi di quale incarico ricoperto ha più nostalgia?
«Io non ho nostalgia dei miei incarichi quanto dei miei compagni di viaggio, tutti professionisti e grandi Servitori dello Stato, di cui sono orgoglioso».
 
Al termine dell’intervista, alla luce delle puntuali e attente risposte fornite, emerge la figura di un tarantino che si è fatto onore con le sue forze e con le sue capacità lasciando vari segni della sua impronta nei luoghi in cui è stato chiamato a servire lo Stato.
Un tarantino, dunque, che fa onore a se stesso e alla sua terra, ma anche una persona semplice, affabile, concreta alla quale il successo non ha prodotto il fenomeno della “ubriachezza” intesa come esaltazione esagerata di se stesso.
Anzi, al termine dell’intervista possiamo ricavare alcuni punti di riflessione validi anche per i giovani di oggi e che il Tagliente propone facendo riferimento al suo vissuto. Si tratta dell’attaccamento alla propria terra natale, ai profumi e ai sapori della campagna crispianese, agli esempi straordinari ricevuti dai genitori e all’attaccamento a quei valori di vita che, se ben compresi e altrettanto bene messi in atto, rappresentano un humus sempre fresco e attuale nel quale far cadere la ripresa dei valori civili e morali dei quali ci siamo forse ben presto dimenticati.
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor