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Taranto/Da vittime a guerrieri

Pubblicato da: Categoria: COVER

1
MAR
2017

I cittadini stanno trovando la forza di riconquistare il territorio ripartendo da quelle che sono le sue reali peculiarità. Turismo, artigianato, cultura, arte, scienze, agricoltura, pesca, commercio erano le sue antiche virtù e proprio da lì che la città sta ripartendo, dimostrando che, con acciaio, armamenti e corruzione, non ha nulla da dividere

L’animo umano è difficilmente disposto ad accettare la morte come naturale epilogo della vita salvo che in alcune culture dove, comunque, è male accolta quella prematura e accidentale, quella dovuta a cause violente, quella causata volontariamente. E’ un sentimento normale che cresce con l’assenza della conoscenza e trova, spesso, soluzione nella rassegnazione o nel fatalismo. Meno si conosce la vita e più cresce l’arrendevolezza verso la sua fine. Constatazione, impotenza, accettazione.
La storia dei popoli della nostra terra parla di una tacita arrendevolezza dovuta a guerre, carestie, epidemie. Eventi considerati sovrumani anche se, spesso, causati dall’uomo stesso. Con lo stesso stato d’animo, erano vissute le morti sul lavoro. Flotte di pescherecci lasciavano il porto con l’incertezza del ritorno così come gli operai si apprestavano ai cantieri consci dei gravi pericoli cui erano sottoposti in cambio di un misero salario. Anche i giovani militari, mandati al fronte, partivano con l’incertezza di ritornare, senza nemmeno una precisa cognizione del loro compito e dei suoi motivi. La cultura del lavoro, quella del servizio, erano volontariamente indottrinati di abnegazione e senso del dovere incondizionati. Proprio per questo, le nostre famiglie, quasi come in un rito buddista, esponevano i ritratti dei giovani parenti deceduti con quelle dei bambini e degli antenati come se fossero una prova del loro diritto di esistere e continuare la specie. Nelle regioni meridionali, non era così eccezionale vedere donne prematuramente ammantate di nero per onorare la memoria di un parente deceduto.
Nella storia dei nostri popoli la morte era vissuta come un tributo da pagare per consentire il seguito della vita. Tutto questo ha avuto fine con il progresso sociale, la determinazione dei popoli all’interno della società civile, con l’evoluzione. Gli italiani smettevano di subire passivamente cercando spiegazioni fra gli eventi della vita.
Eppure lo sviluppo non ha portato, sempre e ovunque, la consapevolezza del diritto di esistere tanto da indurre ancora i popoli a dover accettare lo scellerato connubio fa lavoro e infortunio, crescita economica e inquinamento. Lo sviluppo e l’evoluzione reinterpretati a uso e consumo di un sistema basato sui numeri e sulla crescita di un paese diviso fra milioni di produttori della ricchezza e poche centinaia di fruitori.
Questo è quanto è successo a Taranto negli ultimi 57 anni. Sottrarre una città alle sue antiche vocazioni, così vicine all’uomo e alla natura, per condurla verso un progetto ambizioso quanto insensato, da sviluppare in quell’Italia che aveva ricominciato a rivivere dopo un pesante conflitto bellico, ripartendo, proprio da ciò che aveva lasciato, seguendo la sua storia e le sue attitudini. L’Italia dell’industria aveva scelto Taranto per compiere il suo balzo nel futuro. A qualsiasi costo.
Di quello che è divenuta Taranto, abbiamo parlato molte volte nei nostri articoli perché anche noi siamo Taranto e con lei abbiamo vissuto e viviamo i suoi eventi.
Tutto quanto raccontato sino ad ora ha il preciso scopo di spiegare in quale stato d’animo abbiano subito i cittadini del Bacino Ionico per oltre mezzo secolo. Taranto e altre città del nostro Paese sono state scelte per concretare un progetto d’industrializzazione dell’Italia secondo un incomprensibile schema politico che mirava a snaturare la vera identità della nazione a favore di altri modelli europei o statunitensi.
Prima lo Stato così lontano dalla Costituzione del 1948, poi imprenditori senza scrupoli che in nome del profitto hanno soffocato ogni velleità e i diritti di un intero popolo, hanno trasformato un immenso stralcio della nostra terra in fabbrica di acciai, assorbendo tutta la forza lavoro reperibile nel raggio di centinaia di chilometri, sottratta alle sue antiche attività e soggiogata a un miraggio di crescita economica e sviluppo.
Una delle più antiche culle della cultura mediterranea è stata distrutta per volere politico, con la complicità del clero, dell’imprenditoria e di una manciata di piccoli uomini reclutati fra le vittime di quel territorio, proprio come kapò nei campi di concentramento.
Mentre il resto d’Italia scalava il Mondo con la perseveranza storica e la capacità dei talenti, Taranto tornava alla prostrazione e alla dipendenza simile alla condizione sabauda che aveva cancellato il Mezzogiorno. Tutto creato con grave sprezzo per la vita umana e per la sua dignità, tanto da considerare una normale prassi diffondere morte fra i cittadini e veleni nell’ambiente.
Chi ha voluto questo ha scordato che il tempo, alla fine, riconduce ogni cosa alla realtà e che nel sangue del popolo di Taranto scorre ancora sangue greco e spartano. Dopo il silenzio e la sottomissione, pagati con la corruzione e le assunzioni di massa in quella fabbrica di morte, è subentrata la consapevolezza, sicché i cittadini dei Due Mari hanno compreso l’improcrastinabilità di dare fine a quel lento stillicidio economico e di vite al solo fine di compiacere un padrone ormai scoperto nel suo disegno criminale. I cittadini di Taranto stanno trovando la forza di riconquistare il loro territorio ripartendo da quelle che sono le sue reali peculiarità. Turismo, artigianato, cultura, arte, scienze, agricoltura, pesca, commercio erano le sue antiche virtù e proprio da lì che Taranto, con l’aiuto delle città sorelle che la circondano, sta ripartendo, dimostrando che, con acciaio, armamenti e corruzione, non ha nulla da dividere.
Perfino chi esitava nel riconoscere in ILVA lo pseudonimo di morte pur di salvare un becero lavoro, ora si schiera in nome della rinascita, della tutela alla vita e del territorio. Il vento del cambiamento parte dai cittadini ormai consapevoli e non solo da eccellenti esponenti fra intellettuali, studiosi, medici e scienziati. Taranto ha chiesto aiuto alla politica ricevendone solo umilianti e inconcludenti risposte. Ora cerca autonomamente di emergere ritrovando la forza attraverso il confronto, il mutuo aiuto e la condivisione, proprio come nelle poleis greche.
Nessun tarantino è più disposto a pagare il suo tributo di morte per vivere. E così che le piazze e le strade della Città dei Due Mari si riempiono di pacifici cortei di donne e uomini che vogliono riscattare il diritto alla vita nella loro terra. Sabato 25 febbraio ancora una volta la gente di Taranto è scesa per strada a manifestare il proprio dissenso verso ILVA e le scellerate scelte politiche che riguardano lo stabilimento. Lo farà ancora e sempre più spesso sino a quando i ritratti di giovani vittime saranno sostituiti da finestre aperte su uno dei territori più belli al mondo.
Ora in quei lunghi cortei c’è qualcosa di differente: forza e determinazione hanno occupato il posto di speranza e disperazione. Da vittime a guerrieri.



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