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LA LITIGATA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

29
GEN
2016
Il litigio con Laura aveva fatto finire male la serata e iniziare anche peggio la giornata odierna. I motivi? sempre gli stessi: incomprensioni, malumori, nervosismi ... 
Questa mattina stavo facendo tardi al lavoro e allora ho chiesto a Laura se poteva pensarci lei a portare il bambino all’asilo e così è ricominciata la sicumera della sera prima, ma questa volta con proporzioni inaspettate. Mi ha ripetuto che sono un irresponsabile. Mi ha accusato di non essere mai presente quando ha bisogno, di non interessarmi di nulla e di lasciare tutta la responsabilità di nostro figlio e della casa sulle sue spalle e ha voluto anche puntualizzare, per ferirmi, che lei ha un lavoro molto più impegnativo del mio: semplice impiegato. Naturalmente io le ho risposto piccato e a tono, e allora la discussione è degenerata sino a quando, non potendone più, ho infilato la porta d’ingresso e sono uscito.
Ho girato intorno all’edificio un paio di volte prima di ricordarmi dove avevo lasciato la macchina la sera prima e quando finalmente sono riuscito ad individuarla, su una via traversa, ho trovato la batteria scarica perché avevo dimenticato i fari accesi. Mi sono guardato intorno e ho chiesto aiuto a dei ragazzi che stavano passando in quel momento e mentre loro spingevano io, sino a quando il motore non si è messo in moto, ho continuato ad armeggiare con il cambio e la frizione e a smoccolare come uno scaricatore di porto. Partita la macchina, ho abbassato il finestrino e mentre qualcuno mi gridava: “cambialo quel catorcio”, con la mano ho fatto un cenno di saluto e di assenso e poi mi sono infilato nel traffico, che oramai era diventato un intasamento totale, e allora mi sono messo tranquillo perché tanto, anche questa volta avrei fatto tardi al lavoro.
Certo che Laura sa essere irritante quando ci si mette. E sa farlo ancora di più con quei suoi silenzi esasperanti. Io invece non mi comporto così. Lo so che sbaglio, ma quando sono nervoso mi lascio andare sino a spingermi troppo oltre con delle parole che poi mi devo immancabilmente rimangiare. 
Dopo una serata passata a litigare; una nottata a girarmi e rigirarmi nervosamente nel letto, mentre lei dormiva come un ghiro e dopo la discussione al nostro risveglio, quello che ci vuole, prima di iniziare a lavorare, era un buon caffè ristretto e allora, parcheggiata la macchina, vado al bar. Tanto è ormai scontato che l’ora persa all’entrata dovrò recuperarla all’uscita. Giunto in ufficio, sebbene facessi di tutto per celare il mio malumore, i colleghi hanno subito colto il mio stato d’animo e non hanno perso l’occasione per chiedermi se la mia squadra del cuore avesse perso anche quella domenica. Ho risposto sdegnosamente qualcosa mentre mi stavo sedendo alla scrivania e poi senza più ascoltare nessuno ho dato inizio al solito tran tran. Io non ho un lavoro che mi piace e appagante come quello di Laura che fa l’archeologa e studia la storia delle civiltà antiche. Io sono un semplice ragioniere che si occupa della gestione del personale dell’azienda: presenze, assenze, ferie, malattie, turnazioni e permessi sindacali. Insomma un gran rompimento di scatole, senza nessuna soddisfazione, avendo a che fare con 287 dipendenti, più una schiera infinita di sigle sindacali.
Acceso il computer mi immergo nelle scartoffie quotidiane e inserendo nel pc dati e cifre, per un po’ riesco a distrarmi, ma ecco che improvvisamente sento riaffiorare i pensieri più cupi e il nervosismo che sta ritornando più sordo che mai. Non ricordo nemmeno il motivo per cui abbiamo iniziato a litigare ieri sera, ma è sicuro che è stata una brutta litigata perché ho ancora bene in mente il fastidio, il disappunto, sfociati infine nel suo mutismo e nelle sue solite smorfie di indifferenza, se non proprio di compassione nei miei confronti che, tra parentesi trovo odiose e lei lo sa. 
Quando litighiamo si comporta sempre così, come se io le stessi dicendo solo delle banalità o peggio la stessi provocando. Ed allora, per farmi sentire ancora di più uno stupido, ecco comparire sul suo volto quell’espressione di sufficienza e compassione che mi fa imbestialire ancora di più.
Tenendo continuamente gli occhi fissi sul monitor comincio a vedere le schermate che traballano e allora a metà mattinata stacco e vado a prendermi un altro caffè. Camminando mi chiedo cosa starà facendo Laura in quel momento? Forse farei bene a chiamarla, magari con una scusa qualsiasi, ma per orgoglio o forse per timore che si possa ricominciare a litigare, bevuto il caffè torno a sedermi davanti al pc e cerco di concentrarmi su quelle schede che rappresentano ognuna un dipendente che guadagna più di me. Sono nervoso e la giornata in ufficio non è cominciata bene: il direttore mi ha fatto chiamare e questo, da sempre, mi crea ansia. Tuttavia, tra un inserimento e l’altro, continuo a pensare a Laura e mi innervosisco ancora di più perché non mi chiama, magari con una scusa qualsiasi. Invece di barricarsi, come fa sempre, dietro i suoi odiosi silenzi, perché non fa lei il primo passo e fa squillare questo maledetto cellulare che ho depositato davanti alla tastiera del pc? Piano piano però la rabbia lascia il posto alla preoccupazione. Sono le undici e allora vado dal direttore, il quale mi riceve con quella cortesia e sorriso che so benissimo dove vogliano andare a parare. Infatti torno alla mia scrivania con tre cartelle piene di nominativi di dipendenti che non sono ancora stati esaminati perché il collega che doveva farlo è assente per motivi di famiglia. (Frase convenzionale usata da chi, quel giorno, non ha voglia di andare a lavorare).
Intanto continuo ad essere sempre più preoccupato e allora chiamo la mamma di Laura e le chiedo se per caso si è sentita con la figlia e con una scusa le domando se per favore può andare lei a prendere il bambino dall’asilo. Mi risponde che si, andrà lei a prendere Gianpiero, perché si è sentita con Laura e le ha detto che lei sarebbe stata impegnata tutto il giorno. Ha anche aggiunto che se volevo, quando andavo a casa loro, a prendere il bambino, potevo fermarmi a pranzo. Tradotto in parole povere: Laura aveva chiamato la madre e non me, e questo voleva significare che era ancora arrabbiata e che, quel giorno, avrebbe fatto anche più tardi del solito. Ringrazio mia suocera per la premura e aggiungo di non preoccuparsi per il pranzo, perché avrei fatto tardi anch’io.
Finito di lavorare, un ora dopo del normale perché dovevo recuperare, passo da mia suocera a prendere Gianpiero e siccome il bambino ha fatto i capricci e non ha voluto mangiare con i nonni, mi fermo e mangio con lui, anche se sono costretto a ingerire, scartando gli indigesti cubetti di lardo che galleggiano, quella minestra con le cotiche che mia suocera prepara, pur sapendo che la trovo nauseabonda, ogni qualvolta prevede che io possa andare da loro all’ora di pranzo.
Tornato a casa, passo il pomeriggio giocando con Gianpiero, ma lui è inesauribile ed io stanco e nervoso, così dopo un po’, per farlo distrarre, gli passo il mio vecchio cellulare e lui da provetto operatore del settore mi lascia in pace per concentrarsi sul display colorato. Intanto io ricomincio a sentirmi sempre più preoccupato e mi chiedo perché Laura non mi abbia ancora chiamato, magari per chiedermi come sta nostro figlio, cosa sta facendo, se ha mangiato. Forse è meglio che faccia io il primo passo e con una scusa qualsiasi la chiami: magari per chiederle cosa devo preparare per cena o a che ora pensa di rincasare. Cerco il mio telefonino, ma mi accorgo che a Giampiero, per distrarlo, non ho dato il mio vecchio cellulare, ma quello nuovo, e allora provo a toglierglielo ma lui si mette a strillare e devo desistere.
Orgoglio e alterigie di entrambi: io aspetto sia lei a chiamare e lei fa altrettanto e intanto il muro di silenzio che ci sta separando si sta facendo sempre più alto e da ostacolo iniziale si sta trasformando in un rifugio impenetrabile di mutismo. 
Sono davanti al televisore che sto seguendo non so quale programma, quando sento la porta d’ingresso che si apre e allora mi appresto ad assumere quell’espressione studiata e angosciata che uso in codeste circostanze: questa mattina sono andato via sbattendo la porta perché ero arrabbiato con lei e allora penso sia giusto farmi trovare nelle stesse condizioni. E’ una questione di coerenza, di principio. 
Quando entra non le vado incontro e resto incollato al divano con quell’aria di indifferenza che ho sapientemente preparato, ma quando la sento dire: < C’è nessuno? Ehi, uomini di casa, dove siete? > Non so cosa fare. Gianpiero si è addormentato nella sua stanzetta davanti ai cartoni animati e ora sta dormendo profondamente ed io, non sapendo più come comportarmi, resto immobile. Interdetto.
< Ma dove siete? Umberto, Gianpiero? State giocando a nascondino? > Ripete sorridendo e dandomi un bacio appena mi vede. < Ciao Umberto. Scusa il ritardo ma è stata una giornata molto impegnativa, come tutti i lunedì del resto, e ho anche dimenticato il telefonino e ho potuto chiamare, con il cellulare di una collega, solo mia madre perché ricordavo il numero di casa. > 
Io mi alzo sempre più imbarazzato, chiedendomi se veramente avessimo litigato o se mi ero sognato tutto. < Ma che hai? > Mi domanda mentre si sta togliendo il cappotto e corre nella cameretta di Gianpiero. Io le rispondo che ero preoccupato perché non l’avevo sentita per tutto il giorno e, mentendo, le dico che avevo anche cercato di chiamarla, ma che il suo cellulare risultava sempre spento. < Certo che è spento. Eccolo qui dov’è. E’ tra le mani di Gianpiero. Lo avrà trovato lui e se l’è portato a letto. Ma non ti ha detto nulla mia madre? > Mi chiede, mentre mi passa davanti per andare in cucina. < Cosa mi avrebbe dovuto dire tua madre? > Le domando con sospetto, e intanto realizzo che a Gianpiero non ho dato né il mio vecchio cellulare né quello nuovo, ma quello che aveva dimenticato Laura. < Quando l’ho chiamata per dirle di andare lei a prendere Gianpiero all’asilo, le ho anche detto di farti sapere che non portavo chiamarti perché non portavo con me il cellulare e che questa sera avrei fatto tardi perché sarei stata impegnata in una riunione con il sovraintendente archeologico e il direttore del museo. >
Sperando che Laura non si accorgesse del mio imbarazzo, prima ho inviato mentalmente l’augurio di un buon riposo a mia suocera, poi le ho risposto che anch’io avevo avuto una giornata impegnativa e che ero preoccupato per non averla sentita tutto il giorno perché, come le avevo già spiegato, il suo cellulare risultava sempre spento.
< Va la, va la, mascherina. Se avessi provato a chiamarmi avresti sentito il cellulare squillare, visto che lo avevo dimenticato a casa. Chissà dove avevi la testa, tesoro. >
Mi risponde ridendo, mentre mette in tavola due hamburger e l’insalata e poi si siede accanto a me.
Tutta la tensione improvvisamente è sparita. Sono finalmente sollevato, ma anche risentito con me stesso per la mia miopia e soprattutto per colpa del mio comportamento infantile che mi ha fatto trascorrere tutta la giornata tra rabbia e preoccupazione e, ciliegina sulla torta, facendomela concludere con una solenne figuraccia.
Ormai tutta la tensione accumulata si è dileguata come neve al sole e, mentre Laura mi sta raccontando quello che ha fatto durante la giornata e le novità scaturite dalla riunione che ha tenuto con il sovraintendente e il direttore del museo, io l’aiuto a sparecchiare senza interromperla perché mi piace sentire il suono della sua voce squillante e vederla così serena. 
Mentre dopo cena, tenendoci per mano, siamo seduti sul divano e guardiamo la televisione, solo un lieve ma deciso e sordo odio verso mia suocera continua a tormentarmi. E questo pensiero malevolo persiste sino a quando non andiamo a letto. 
 


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